Francesca
Ero seduta nel mio letto della prigione, le pareti umide e fredde che sembravano chiudersi sempre più intorno a me. Erano passato un giorno da quando avevano portato via il mio bambino. Sono immersa in un dolore che sembrava non avere fine.
Perché? Perché il destino doveva essere così crudele? Avevo perso tutto: il mio trono, il mio Marcus, e ora anche mio figlio. Un bambino innocente, che non aveva fatto nulla di male. Era stato condannato solo perché non era perfetto agli occhi di una società corrotta.
Avevo immaginato un futuro diverso per lui, un futuro in cui avrebbe potuto crescere libero e amato. Ma quel futuro mi era stato strappato via, lasciandomi solo con un vuoto insopportabile.
Mi accarezzai il ventre piatto, ricordando i giorni in cui sentivo il suo piccolo cuore battere dentro di me. Quelle sensazioni erano ormai un lontano ricordo.
Ogni notte, chiudevo gli occhi e speravo di sognarlo. Di vedere il suo volto, di sentire il suo respiro. Ma ogni volta mi svegliavo in lacrime, consapevole che quei sogni erano solo illusioni.
La prigione era diventata il mio mondo, un mondo. Mi sentivo come una prigioniera non solo di queste mura, ma anche del mio stesso dolore.
Guardai le sbarre della mia cella, ogni barra un simbolo della mia prigionia. Eppure, dentro di me, sentivo ancora una scintilla di speranza. Una scintilla che mi diceva di non arrendermi, di non permettere che questo fosse il finale della mia storia.
Sentii la cella aprirsi, il suono delle cerniere arrugginite che strideva nelle mie orecchie. Mi alzai, il cuore che batteva forte nel petto. Davanti a me c'era un soldato, il viso impassibile. «Domina,» disse con voce fredda, «siete stata esiliata da tutti gli imperi. Sarà giustiziata.»
Giustiziata? Perché? Non avevo fatto nulla di male, nulla che giustificasse una simile sentenza. Ma sapevo che non avrei ottenuto risposte chiare da quel soldato. L'ingiustizia sembrava essere l'unica legge a cui mi ero sottoposta da quando avevo perso tutto.
«Marcus dove? Volete dirmelo?» chiesi, la voce tremante di disperazione. Avevo bisogno di sapere che almeno lui era al sicuro.
Il soldato mi guardò con disprezzo. «Non posso rivelare i segreti della monarchia.»
Sorrisi amaramente. «Io sono la monarchia,» ribattei, con un filo di voce, «dove è Marcus?»
Il soldato mi ignorò e mi lasciò di nuovo sola nella mia cella. Le sue parole riecheggiavano nella mia mente, un eco di disperazione che non riuscivo a dissipare. Mi sedetti di nuovo sul freddo pavimento, il cuore pesante. Livia era stata portata via ieri, subito dopo il parto. La sua assenza era un vuoto doloroso, una ferita aperta che non potevo guarire.
Volevo solo vedere Marcus, sentire la sua voce, sapere che era vivo. Forse, in qualche modo, aveva visto nostro figlio. Avevo bisogno di sapere, avevo bisogno di una speranza, anche se piccola. Sei mesi senza notizie, sei mesi di angoscia e solitudine. Non sapevo se Marcus fosse vivo o morto, ma sapevo che entrambi eravamo morti dentro. Morti in un modo che nessuno avrebbe potuto comprendere.
Guardai le pareti della cella, spoglie e oppressive. Ogni giorno era una lotta contro la disperazione, ogni respiro un atto di resistenza. Le memorie di Atlantide, dei giorni in cui eravamo felici, sembravano lontane, quasi irreali.
Come avevamo fatto a cadere così in basso? Come avevamo perso tutto ciò che avevamo amato? La mia mente tornava sempre a Marcus. Era lui che mi aveva dato la forza di andare avanti, e ora senza di lui, mi sentivo persa.
Mi alzai e camminai per la cella, le mani che accarezzavano le fredde pareti di pietra. Ogni passo era un modo per mantenere la mia sanità mentale, per ricordare a me stessa che ero ancora viva, che avevo ancora una speranza.
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CESCA-La Maledizione Dell'imperatrice
RomanceAnno 168. Cesca, figlia illegittima e disprezzata dal padre, vive in un costante senso di esclusione. Alla morte di quest'ultimo, eredita il trono degli Imperi Perduti, ma il potere porta con sé una maledizione oscura. Le tensioni esplodono quando i...