Capitolo 7 - Un ristorante particolare

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Non ricordo di avere mai dormito fino dopo le undici del mattino, anzi, sin da bambina i miei genitori mi hanno abituata a svegliarmi presto e la domenica mamma mi tirava giù dal letto all'alba per aiutarla nelle pulizie di casa, dandomi in cambio una paghetta di ben dieci dollari.
Potere e riuscire a dormire fino quasi l'ora di pranzo è un evento memorabile.
Quando osservo il cellulare e mi accorgo dell'orario per poco non mi prende un colpo, poi ricordo che è il mio giorno libero e posso tranquillamente crogiolarmi tra le coperte ancora per qualche minuto. Controllo i social network a cui sono iscritta, scrivo qualche messaggio ai miei genitori e alle ex compagne di classe, giusto per far sapere che sono ancora viva, una volta soddisfatta e scambiato qualche chiacchiera spensierata decido che è ora di alzarmi e fare una doccia.

Programma del giorno: colazione – anche se forse sarebbe meglio dire "pranzo" vista l'ora -, studio fino a cena magari con la prova di qualche ricetta, relax con la visione di una serie tv e poi di nuovo a letto. Non male. Trascorrere del tempo con gli altri è bellissimo, ma a volte stare con sé stessi è impagabile.

Esco dalla doccia e avvolgo il corpo in un asciugamano caldo, nonostante siamo alle porte dell'estate mi piace questa coccola, sentire il morbido pulito sulla pelle ha un non so che di rassicurante. Controllo il cellulare, c'è la chiamata di un numero non presente in rubrica. Altro insegnamento dei miei genitori: richiamare sempre chi mi ha cercata, perché potrebbe trattarsi di qualcosa di urgente. Spero solo non sia un call-center, ultimamente hanno la pessima abitudine di tartassare chiunque durante gli orari più improbabili.

«Pronto?» risponde una voce maschile un po' lontana, come trasmessa da un vivavoce.

«Salve, ho trovato il suo numero tra le chiamate perse e...»

«Amelia, sono Allen.»

Sgrano gli occhi... Come diamine fa ad avere il mio numero?

Lo hai scritto sul curriculum, genio.

Scuoto leggermente la testa e solo dopo una manciata di secondi mi rendo effettivamente conto di chi c'è dall'altra parte del telefono.
Arrossisco e nonostante sia da sola in casa, cerco immediatamente qualcosa da mettere indosso come se potesse vedermi. Devo trattenere il respiro prima di prendere parola.

«Buongiorno.»

«Ti ho disturbata?»

«No, affatto.»

«Bene, sei libera per pranzo?»

In un attimo cancello l'intero programma della giornata «Sì, certo.» squittisco tutta contenta, non devo fare neanche troppa fatica per mentire.

«Bene, allora se puoi, raggiungimi tra un'ora in un posto. Ti invio l'indirizzo.» Sembra più un ordine che una proposta, eppure non me la sento di disobbedire.

Chiudo la chiamata dopo esserci salutati velocemente, butto il cellulare sul letto e mi rifilo un pizzicotto così forte da sentire un dolore lancinante. Cavoli, è tutto vero, non sto sognando! Lo chef Allen Bearly mi ha invitata a pranzo fuori! Forse vorrà confessarmi quella fantomatica sorpresa che mi ha tenuto nascosto per ben due settimane. Il cuore esplode di gioia quando sento il trillo di un messaggio, non c'è nulla se non un indirizzo di GoogleMaps di un posto che non conosco, dalle immagini sembra un palazzo come tanti altri ma non fa niente. Se Allen lo ha scelto, vuol dire che merita.

La felicità viene meno quando apro il mini armadio all'altro lato della stanza e il dilemma di ogni donna, che fino ad oggi non avevo mai compreso seriamente, si fa pericolosamente strada dentro di me. Sbianco, sento il respiro mancare mentre gli occhi vagano inutilmente tra gli abiti.

«Cavolo, non ho niente da mettere!»

Andremo in un ristorante di lusso? 

«Certo che sì, stiamo pur sempre parlando dello chef Bearly.»

Frugo gettando sul letto ogni gruccia, con abiti che svolazzano alle mie spalle, tutti scartati perché non consoni all'occasione. Il tempo scorre e la mia disperazione sale, questo finché non trovo una scatola abbandonata sul fondo dell'armadio. Dentro, come un miraggio nel deserto, trovo l'unico abito elegante in mio possesso e che ovviamente avevo dimenticato: un regalo da parte dei miei genitori per avere concluso gli studi con il massimo dei voti, un vestitino nero al ginocchio di Chanel. Nulla di che, è molto semplice e senza fronzoli e l'ho indossato solo durante il giorno della proclamazione, sotto la toga della scuola. «Beh, direi che meriti una seconda occasione!»

Trattengo il respiro mentre infilo le bretelline sottoli, lasciando che lo scollo abbracci gentilmente il seno, mettendolo in mostra senza risultare volgare. Sono trascorsi parecchi mesi dall'ultima volta che l'ho indossato, ma grazie al cielo calza ancora alla perfezione. Non avendo il tempo e soprattutto le capacità per un'acconciatura, lascio i capelli sciolti e sottolineo gli occhi con una linea di matita nera; niente rossetto, sono sicura che andrebbe via alla prima passata di tovagliolo.

Infilo dentro una borsetta portafoglio, cellulare e chiavi di casa, chiamo un taxi e al conducente indico l'indirizzo che mi ha inviato Allen. Arriviamo dopo meno di venti minuti, pago e quando scendo mi sento un po' intimorita alla vista del palazzone anonimo.
Deve trattarsi per forza di uno di quei ristoranti di lusso sulla cima dei grattacieli.

Entro un po' impaurita e mi dirigo alla reception dove un uomo mi guarda dall'alto in basso con aria di superiorità, squadrandomi senza fare troppi complimenti attraverso i suoi occhialetti sottili «Desidera?» domanda con tono palesemente scocciato.

Deglutisco a vuoto e annuisco convinta, non lascerò svanire il mio buonumore per così poco. «Salve, dovrei andare qui» lo informo allungandogli il telefono per fargli leggere il messaggio di Allen, così da avere una prova che non sto mentendo.

«Bene.» taglia corto il receptionist dello stabile, guardando poi lo schermo di un computer. «Il signor Bearly la sta aspettando all'ultimo piano. Può prendere l'ascensore in fondo a questo corridoio.»

Ultimo piano? Cavoli, avevo ragione, si tratta proprio di uno di quei meravigliosi ristoranti di lusso con tanto di terrazza che si affaccia su Manhattan! Sono così eccitata che a malapena trattengo la voglia di correre dentro l'ascensore. Premo il pulsante dell'ultimo piano e in un lampo, come per magia, le ante si aprono su un breve corridoio, con un'unica porta sulla destra. Il cuore batte all'impazzata, pulsa dentro al petto con violenza e le gambe tremano fino a quando non raggiungo l'ingresso del locale. Prendo un paio di lunghi respiri, raddrizzo la schiena e stringo la borsetta come fosse un'àncora di salvezza. Immaginavo qualcosa di diverso per l'ingresso di un ristorante, sulla porta, men che meno sul campanello, non c'è scritto nulla che possa richiamare al nome di un locale. E dov'è Allen? Sono in anticipo? È già dentro ad aspettarmi?

E smettila con queste paranoie!

Raccolgo tutto il coraggio possibile e premo sul campanello dalla targhetta anonima.

Vestito con un paio di jeans neri e una semplice maglietta grigio scuro, dietro la porta compare Allen con un sorriso smagliante stampato sul volto, talmente bello e radioso che sembra illuminare tutta l'aria attorno a noi, perfettamente a suo agio con indosso delle pantofole nere.

Un momento...In che senso "pantofole"?

«Ciao Amy, benvenuta nella mia umile dimora.» saluta tutto contento.

Oh. Mio. Dio.
Altro che ristorante di lusso... Mi ha invitata a casa sua! 

Macaron Love - Gerini Alice (racconto)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora