La punizione

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Quella sera, quando tornai a casa, stranamente non c'era nessuno dei miei parenti. Leni solitamente si trovava sul divano ad aggiornare i suoi profili social prima di andare ad allenarsi, ma non era lì.

Pensavo di trovare Tom in cucina, infatti mi diressi proprio lì, ma nemmeno di lui riuscii a trovare traccia. La sua macchina non era né in garage, né nel viale di casa, ne tantomeno in cortile, quindi pensai fosse uscito.

Ero per la prima volta rientrata a casa da sola, prendendo lo scuolabus, perché aveva iniziato a diluviare. I vestiti vecchi di Tom erano zuppi d'acqua, come i miei capelli. Inoltre, avevo perso il mio ombrello: durante la quarta ora di lezione, quando ero sull'albero del parco insieme a Masha, qualcuno aveva scassinato il mio armadietto e frugato nel mio zaino, ma per fortuna avevano preso solo un panino con salmone e insalata, e il mio ombrello. Era un peccato che me lo avessero rubato, Bill me lo aveva comprato quando siamo andati a New York la prima volta, da Louis Vuitton.

Mi diressi verso la cucina, ispezionando bene il salotto con i grandi divani di pelle bianca e i pavimenti di marmo con rifiniture in oro e legno nero. Varcai la grande soglia dell'arco a volta che separava la sala ristoro dal cucinone. Le luci erano spente, e davanti a me si trovava una grande vetrata da cui si poteva vedere l'immenso giardino verde dei Kaulitz, sommerso dalla pioggia con le gocce di essa che cadevano dalle querce che erano collocate davanti alle mastodontiche finestre. Il cielo era grigio e dalle nuvole cadevano lampi e fulmini, mentre potevo udire i tuoni.

Spero solo che Bill non si bagni troppo. Aveva detto che sarebbe venuto qui per cena, e sono quasi le cinque.

Mi sedei davanti al tavolo da pranzo, sulla sedia che solitamente veniva riservata all'aiutante privata dei gemelli. Afferrai il mio telefono, che se ne stava nella mia tasca.

Aprii Snapchat, che scoprii essere l'app più usata per chattare con gli amici. Che strani gli Americani.
Iniziai a guardare le storie delle mie compagnie di scuola, fin quando non mi imbattei in una foto di due ragazze su un albero. Ingrandii l'immagine, e non mi ci volle molto per capire che era la foto che ci aveva fatto quel paparazzo quella mattina, a me e Masha.

Socchiusi gli occhi e sbuffai, sbattendo la schiena contro la sedia.

<<Porca Troia...>>.

Non avrei mai avuto un minimo di pace probabilmente.

La voglia di sedermi e rilassarmi se ne andò completamente, e mi alzai di scatto, rimettendo la sedia al al proprio posto. Diedi un'occhiata fuori, e poi corsi al piano di sopra.

Aprii la porta della mia camera, che con il passare del tempo sembrava essere ancora più grande. Heidi aveva fatto installare un camerino, anche se non avevo idea del perché avesse la necessità di avere almeno uno di quei cosi in ogni camera. Si, insomma, c'erano anche nella camere per gli ospiti!

Aprii la porta del bagno e mi avvicinai pian piano alla doccia. Aprii l'acqua e guardai la finestra: non c'erano le tende, ma camera mia era al terzo piano, e inoltre potevo vedere solo i tetti di Los Angeles, abitando su una collina.

Mi tolsi la maglietta e pantaloni lasciandoli cadere sul pavimento, per poi sfilarmi l'intimo.
Allungai un dito per sentire la temperatura dell'acqua calda e mi infilai precipitosamente sotto il getto di essa.
Adoravo lavarmi, non perché soffrissi di qualche malattia che mi facesse puzzare, ma perché il bagno era l'unico posto della casa completamente silenzioso. Dalla mia camera si potevano tranquillamente udire le urla di Leni che parlava al telefono, oppure i passi traballanti di Tom che portava in braccio Heidi verso la loro stanza, per fare cose che avrei preferito non intuire. Ma il bagno era calmo, pacifico.

Oh father o' mine - Tom Kaulitz (Italian version)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora