CAPITOLO 12

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Isabel

La festa era un vortice di suoni e luci. Le risate, la musica assordante, il chiacchiericcio degli ospiti: tutto si mescolava in un frastuono indistinto mentre l'alcol mi scorreva energicamente nelle vene. Mi sentivo leggera, quasi galleggiante, mentre mi muovevo tra la folla. Nik era da qualche parte nelle vicinanze, ma ormai la mia testa era troppo confusa per concentrarmi su di lui o su chiunque altro.

Barcollai molto mentre mi feci strada verso il bagno. Avevo bisogno di una pausa, un momento per riprendermi. Quando arrivai, aprii la porta senza pensarci due volte e mi fermai di colpo. Michael era lì, appoggiato al lavandino, con le braccia incrociate al petto. Il suo sguardo era intenso e impenetrabile, e quando alzò gli occhi verso di me, sentii una fitta allo stomaco.

"Michael..." mormorai, ma la mia voce tradì il mio stato di ebbrezza. "Che ci fai qui?"

Lui alzò un sopracciglio ed il suo sguardo rimase fisso su di me, freddo e tagliente. "Potrei chiederti la stessa cosa", rispose seccamente. "Sembra che tu sia ovunque".

Ignorai la sua osservazione e chiusi la porta alle mie spalle, spingendomi un po' più dentro la stanza. "Vorrei solo parlare," dissi, cercando di sembrare il più sobria possibile. "Perché sei sempre così... con me? Cosa ti ho fatto?"

Michael sbuffò e scosse la testa, quasi divertito. "Parlare? Di cosa? Della tua grande entrata in questa scuola? Del tuo cazzo bisogno di attirare costantemente l'attenzione?"

La sua voce era velenosa, ogni parola la sentivo come un'accusa. Mi avvicinai a lui, sentendo la frustrazione crescere dentro di me. "Non è vero! Non sto cercando di attirare l'attenzione, voglio solo capire perché mi tratti così!" Mentre pronunciai quelle parole, barcollai e, prima di riuscire ad aggrapparmi al lavandino, Michael mi afferrò per le braccia e mi aiutò a rimettermi in piedi. Poi ritornò alla sua posizione iniziale, con un braccio appoggiato al lavandino.

E infine rise, ma il suo sorriso era più simile a un ghigno. "Davvero? Sei così ingenua da non capirlo?" Si spinse lontano dal lavandino e fece un passo verso di me, riducendo la distanza tra di noi. "Pensi che non veda cosa stai cercando di fare? Nuova ragazza, nuovo inizio, nuovi giocattoli. Ma sai una cosa? Non mi interessa essere uno di quei giocattoli. Ho altro a cui pensare".

La sua vicinanza era elettrizzante, ma anche intimidatoria. Sentii il cuore battere più forte nel petto, e il mio respiro si fece più corto. "Non è così," sussurrai, cercando di difendermi. "Non è come pensi tu..."

"Davvero?" La sua voce si fece più bassa, quasi un sussurro, ma c'era una sfumatura di crudeltà in essa. "Allora perché sei qui? Perché sei sempre intorno a me?"

Sentii le lacrime bruciare dietro i miei occhi, ma non volevo mostrargli quanto mi stesse ferendo. "Non capisci... non è così facile per me. Sono nuova qui, sto solo cercando di adattarmi".

Michael ridacchiò, un suono freddo e privo di umorismo. "Oh, povera Isabel, la nuova ragazza che vuole solo adattarsi. Che tragedia," disse sarcasticamente. Fece un altro passo avanti, ed in quel momento eravamo quasi faccia a faccia. Potevo sentire il suo respiro caldo contro la mia pelle. "Sai una cosa? Non sarò un tuo amico, né ora, né mai. Quindi smettila di starmi attorno".

Il mio respiro si bloccò. Le sue parole erano taglienti, quasi come lame, e mi sentivo nuda sotto il suo sguardo. "Non sto cercando di farti essere mio amico", mormorai, anche se la mia voce mi tradì.

Si avvicinò ancora di più, e potevo sentire ancora di più il calore del suo corpo, il suo profumo mescolato all'odore di alcol e sigarette. "Davvero, principessa? Allora dimostralo. Perché, per ora, sembri solo una bambina persa che cerca disperatamente di giocare a fare l'adulta. Ma ti avviso: stai giocando con il fuoco".

Il suo sguardo era intenso, quasi feroce, e il suo tono era una sfida. Mi sentii quasi svenire sotto il peso del suo giudizio, e per un momento non seppi cosa dire. Mi aveva tolto ogni sicurezza, mi aveva lasciata a nudo. Ma non riuscivo a sopportare il pensiero di lasciarlo vincere.

Prima che potessi dire qualcosa, Michael si allontanò bruscamente, come se avesse finito di perdere tempo con me. "Non ho tempo per queste stronzate," disse, con un tono di chiusura definitiva. Si diresse verso la porta, ma prima di uscire, si voltò indietro per darmi un ultimo sguardo. "Questo non è il tuo mondo, e non lo sarà mai".

Uscì dalla stanza, lasciandomi da sola, con il cuore che batteva forte e le lacrime che minacciavano di scendere. Mi appoggiai al lavandino, cercando di riprendere fiato, ma la stanza sembrava girare intorno a me. Dovevo uscire da lì, dovevo prendere aria.

Uscii barcollando dal bagno e mi feci strada lungo il corridoio, le gambe traballanti e la mente annebbiata dall'alcol e dalla rabbia. Quando arrivai alle scale, vidi Lucas che mi guardava con preoccupazione, ma allo stesso tempo con disinteresse.

"Isabel, stai bene?" mi chiese, venendo subito verso di me. Mi prese per un braccio, il suo tocco era deciso ma gentile.

"Voglio solo andare a casa," mormorai, sentendo le lacrime che scorrevano giù per le mie guance.

Lucas annuì e mi prese in braccio, guidandomi fuori dalla festa, lontano dalla folla e dal rumore. Mi aiutò a salire in macchina, e presto fummo in viaggio verso casa. Il tragitto era stato silenzioso, ma riuscivo a sentire la presenza di Lucas accanto a me come un'ancora. Quando finalmente arrivammo, mi aiutò a scendere e mi sostenne mentre ci dirigemmo verso la mia stanza. Mi mise a letto con cura, rimboccando le coperte intorno a me.

"Resta qui", mi sussurrò dolcemente, la sua voce era rassicurante. "Domani starai meglio".

Mentre stavo chiudendo gli occhi, il volto di Michael continuava a tormentarmi, ma almeno sapevo che Lucas era qui, e in quel momento, era tutto ciò di cui avessi bisogno.

AMORE E CAOS A MANHATTANDove le storie prendono vita. Scoprilo ora