Capitolo sette - piedi di piombo

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La prima cosa che feci quando mi alzai il mattino seguente fu quella di mettere sotto sopra il mio portagioie. Ce l'avevo, dovevo solo cercarlo da qualche parte. Era l'unica immagine che mi aveva perseguitato per tutta la notte.

Ovviamente non avevo dormito.

E come potevo? Il primo giorno alla Columbia era stato strano e soprattutto mai mi sarei immaginata di poter rivedere Daniel.

Non riuscivo nemmeno a dare un nome alle emozioni che avevo in corpo.

Era rabbia? Rancore? O in fin dei conti ero contenta di vederlo? Forse si, avevo sperato per anni di poterlo rincontrare, eppure quella speranza credevo fosse svanita dal nulla fino a dimenticarlo.

Ma non era così.

Buttai la scatoletta vuota sul letto.

Ero sicura di averlo portato con me in qualche modo, ma non mi ricordavo dove l'avessi messo.

Poi mi venne in mente.

Estrassi dall'armadio un'altra piccola scatola, era quella che definivo "dei ricordi" perché all'interno era piena di fotografie.

Mie, di papà, di mamma, delle mie amiche, con Tony, e poi infondo ad essa legato all'unica fotografia che avevo di Daniel, sull'altalena del mio vecchio giardino, c'era quel nastrino rosso.

Lo avevo visto legato alla moto di Daniel, sapevo fosse esattamente quello. Aveva lo stesso colore, lo stesso ricamo. Aveva conservato il nastro rosso per tutto quel tempo.

Perché?

«Non ci posso credere che non ci hai raccontato niente!»

Qualcuno alle mie spalle entrò in camera e interruppe quello che stavo facendo. Mi girai.

Erano Debora e Felice.

«ragazze vi prego non urlate, ho già mal di testa»
dissi portandomi una mano sulla fronte per poi chiudere tutto quello che avevo aperto.

Tranne il nastro, quello mi serviva.

«Tuffo nei ricordi?»
chiese Debora sedendosi sul mio letto.

Sapevo che avrei dovuto raccontare tutto nei minimo dettagli, ma la verità era che non avevo davvero voglia.

«No, stavo soltanto cercando questo.»
mostrai il nastro rosso e poi fui costretta a raccontare ciò che fosse successo la sera prima.

«Allora, da dove comincio?» Raccontai di Luke che avevo conosciuto al bar la mattina prima, e di Emily che mi aveva convinto ad andare alla festa. Dissi che alla fine era una gara clandestina di moto e che lì avevo gareggiato con Luke. Poi avevo scoperto che Daniel Miller fosse a New York.

Loro sapevano chi fosse. Me ne avevano sentito parlare per giorni anni fa e poi d'un tratto non lo avevo più nominato.

Sembrava che lo avessi dimenticato.

«Non posso crederci, ma che ci fa Daniel Miller a New York?»
Chiese Felice, ma subito dopo entrò nel discorso anche Emily che in tutto quel tempo era in bagno.

«Studia alla Columbia, ovviamente. Non vive nei dormitori ma ha un'appartamento qui vicino con Ned. Ned è quello che organizza le migliori feste del college. Quelle vere intendo.»

«Che sai dirmi di lui, Emily? Chi è Daniel qui?»
le chiesi, non che volessi sapere ogni cosa di lui, ma la mia domanda era più che lecita. L'ultima volta che lo avevo visto amava i prati, cantare e suonare, ora invece picchiava la gente e gareggiava.

«Nessuno lo sa veramente. È misterioso, silenzioso. È il peggior nemico di Luke Hamilton e questo basta a tutti per avvicinarsi.»

Ma perchè si odiavano così tanto? Nessuno lo sapeva. Io non potevo credere che fosse soltanto per le moto. Daniel era troppo intelligente per odiare qualcuno per così poco, e Luke... beh non lo conoscevo.

«Ma Daniel è più piccolo di Luke, è impossibile che si conoscano dall'inizio.»

«È vero. Daniel è arrivato l'anno scorso ma si conoscevano già per le gare. E quando è arrivato si è preso tutto ciò che era già di Luke, senza nemmeno fare uno sforzo»
aggiunse Emily, ma io non capivo. A cosa si riferiva?

Volevo chiederglielo.

Volevo continuare a parlare di Luke e Daniel all'infinito ma il promemoria sul mio iPhone cominciò a squillare. Dovevo andare a lezione.

«Ragazze forza, dobbiamo andare, al massimo Sophia ci potrà raccontare la parte più succulenta durante il tragitto» disse Felice aprendo la porta della mia stanza. Tutte e tre frequentavamo lo stesso corso, ci eravamo iscritte alla Columbia per lo stesso motivo ed ero felice di poter avere al mio fianco persone di cui mi fidavo veramente.

Quando arrivammo, non c'era ancora praticamente nessuno in aula, così imparai a non essere poi così severamente puntuale. Tra gli ultimi banchi, intravidi Luke che mi salutò con un semplice sorriso, io ero troppo imbarazzata per avvicinarmi di mia spontanea volontà, così lasciai che la lezione cominciasse e che la mia attenzione si spostasse sul professore.

Forse fu una delle ore più belle della mia vita e stranamente dimenticai tutti i problemi del giorno prima.

A fine lezione ci catapultammo tutti fuori dall'aula e io e le ragazze ci incamminammo alla ricerca dei nostri armadietti. Quelli fortunatamente erano vicini tra loro.

Quando aprii l'armadietto, inserii i libri che non mi servivano più al suo interno e dallo specchietto riuscii a riconoscere la sagoma di Daniel dietro di me.

Stava attraversando il corridoio con un altro ragazzo, probabilmente con Ned.

Dovevo parlargli, non potevo rimandare.

Chiusi l'armadietto con la chiave e senza avvisare le ragazze cominciai a seguire Daniel.

Lo chiamai facendomi spazio tra la folla che si era creata nel corridoio.

«Daniel!»
ad un certo punto mi sentì, si girò e i nostri sguardi si scontrarono.

Gelai il sangue, tutto il discorso che avrei voluto fargli mi morì in bocca. Ma questo non fu un problema perché Daniel nonostante mi avesse notata, girò lo sguardo e proseguì per la sua strada.

Mi aveva ignorata.

Ci rimasi male.

Per qualche istante i miei piedi sembravano incollati al pavimento, mi sentii una stupida nell'averlo chiamato e nell'essere stata rifiutata. Un gruppo di ragazze alle mie spalle rise reputandomi una vera imbranata. Ma in fin dei conti avevano ragione.

«Sophia, tutto okay?»
qualcuno mi toccò la spalla e finalmente mi salvò da quella situazione imbarazzante. Mi voltai ed era Luke. Le ragazze che poco prima ridevano di me, si ammutolirono.

«Ciao Luke, si tutto okay.»

«Ti voglio portare in un posto, ti va di venire?»
mi chiese riuscendo ad attirare la mia attenzione totalmente su di lui. Come potevo dire di no? La sua compagnia mi piaceva e forse avrei voluto sapere molto di più di lui. I racconti di Emily non mi bastavano. Avrei voluto conoscerlo perché eravamo più simili di quanto credessi.

«Certo, l'importante è che non coinvolga la mia faccia spiaccicata sul pavimento.»
ridemmo insieme, poi scosse il capo e mi avvolse un braccio attorno alle spalle. E fortunatamente mi salvò da quei piedi di piombo incollati in mezzo alla gente.

HEARTS - Quel filo che ci unisceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora