Capitolo 2

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3 luglio 2015
Veronica richiuse il diario sogghignando tra se e se. Stava mettendo in ordine le cose nella sua nuova camera. In quella vecchia non entrava più. Ormai era troppo grande per quel lettino così piccolo e un letto più grande non sarebbe entrato tra quelle quattro mura che effettivamente erano la sua stanza. Sarebbe diventato uno sgabuzzino. Lei prese la vecchia camera dei nonni. Loro non andavano più in villeggiatura con loro. Erano troppo vecchi e stanchi e preferivano starsene tranquilli a casa loro. Stava spostando gli abiti dal vecchio armadio a quello nuovo   quando sul fondo dell'armadio aveva trovato una grande scatola di cartone. Sopra c'era scritto con un pennarello rosso:"Attenzione. Non aprire! Questa è la scatola del tesoro di Veronica." È vicino c'era disegnato un grande teschio stilizzato, come quelli sulle bandiere si pirati. Aveva sorriso tra se e se. Aveva tolto il coperchio di cartone ed era stato come aprire una finestra nella sua mente. Una ventata di ricordi l'aveva invasa. C'erano dentro delle conchiglie che aveva preso anni fa con la Zia Selly, un peluche che aveva vinto a ferragosto ad un tiro a segno, le biglie che usava per fare le gare con gli amici e sul fondo, ben nascosta c'era un' agenda rossa, malconcia e con un lato ammuffito. Il suo cuore aveva avuto un sussulto. Non la prendeva tra le mani da cinque anni. Se la ricordava bella e con la copertina di un rosso lucente. Ora sembrava più ammuffita della sedia dove sedeva tutto il giorno zia Selly. L'aveva presa come se fosse una reliquia e si era messa a leggere. Non si ricordava di quanto fosse spocchiosa e saccente a dodici anni. Eppure molte cose non erano cambiate. Era come sempre nella solita, vecchia Maiori, era come sempre con il suo storico gruppo di amici ed era come sempre il capo della comitiva. Solo che, semplicemente, non se ne vantava come allora. Quell'anno aveva compiuto diciassette anni e notó una strana correlazione tra il suo presente e l'anno in cui scrisse il diario. Sia allora che in quel momento aveva appena terminato il suo penultimo anno scolastico. Nel 2010 doveva andare in terza media. Adesso in quinto liceo classico. Spesso si chiedeva per quale evento catastrofico avesse scelto quell'indirizzo. Studiava come una pazza giorno e notte. Molte volte aveva avuto voglia di andare a zappare la terra. Pensava fosse più produttivo. Ma alla fine riconosceva sempre l'importanza e la bellezza delle materie che studiava (quando le studiava, ovviamente. Il che capitava ogni morte di papa).  A differenza del suo umore nel 2010, era terrorizzata all'idea dell'ultimo anno. Dopo avrebbe iniziato l'università e sapeva che quella che stava vivendo era effettivamente la sua ultima estate da adolescente. Sapeva che stava crescendo e la cosa le dava una certa amarezza. Non si sentiva grande, si sentiva la solita bambina di sempre. Le sembrava che il tempo passasse troppo in fretta e aveva paura. Paura di crescere e di cambiare.
"Veronica! Vatti a vestire tesoro! Mi ha detto Annamaria anche i ragazzi sono già tutti al campetto. Hanno bisogno di un ottavo per la partita di calcetto."
Sua madre non comunicava. Sbraitava da una parte all'altra della casa. Delle parole che la madre aveva appena gridato aveva capito solo "Annamaria" ,"ottavo", "calcetto". Aveva dunque dedotto che doveva mettersi il completino e andare a giocare. Quella era un'altra cosa che non era cambiata: era sempre stato un maschiaccio. Se la cavava in quasi tutti gli sport e ai ragazzi non dispiaceva farla giocare quando non c'erano abbastanza giocatori. Si tolse la maglietta e i pantaloni. Rimase in intimo e si guardò allo specchio. Si avvicinava e si allontanava con il viso dal suo riflesso. Guardava i suoi occhi. Grazie al sole erano passati da marroni a verde mimetico. Le piacevano di più. Le era rimasto quell'aria da bambina. Spesso la scambiavano ancora per una dodicenne. La cosa prima le dava molto fastidio ma ormai ci aveva fatto l'abitudine. Sembrare più piccola di quanto fosse in realtà non le dava fastidio. Aveva come ogni cosa i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Spesso, spacciandosi per più piccola, aveva degli sconti, se c'era l'ingresso ridotto per i bambini al luna park. Al contrario però spesso era costretta a cacciare la carta d'identità per entrare in discoteca perché le davano dodici anni. Era imbarazzante e frustrante, ma che ci poteva fare?
Continuava a rigirarsi su se stessa e cercava di ricordarsi come fosse a dodici anni. I suoi capelli biondini erano più ricci di allora ma meno chiari, i suoi lineamenti erano più marcati, il seno era cresciuto molto, e aveva fatto una bella vita stretta. Si infilò il completino del Napoli che fece scomparire completamente la sua femminilità. Era bassa e il completo era da uomo e quindi le risultava troppo grande. Assomigliava a un mobiletto per il bagno azzurro.
Sospiró. Quella mattina non aveva voglia di giocare. Aveva un forte mal di testa e non era dello spirito giusto per una partita. Scese le scale e prese lo zaino in silenzio. Era già fuori dal portone quando sentì di nuovo la mamma urlare. Questa volta recepì solo un farfugliare indistinto. Come il verso di un chihuahua. Così decise di girare i tacchi e tornare a vedere cosa volesse. Rientrò in casa mente la madre le stava urlando "hai capito?!?". Appena la vide rientrare disse in tono autoritario:
"Ah, sei qui. Volevo dirti che ho incontrato la signora Capone. Mi ha detto che il figlio sta poco bene. Perché non gli mandi un messaggio?"
Veronica sgranò gli occhi:
"Mamma sai che non ci parliamo da anni!!!"
"Ancora per quella stupidaggine?! Su non fate i bambini! Eravate piccoli!"
"Dillo a lui mamma..."
La madre di tutta risposta scosse la testa e continuò a stirare i panni come se nulla fosse. Riprese a canticchiare tra se e se la stessa canzone che cantava ogni mattina e che sembrava conoscere solo lei. La mamma era mora di capelli, al contrario della figlia, ma avevano gli stessi bei ricci voluminosi. Aveva gli occhi marroni e profondi e delle piccole rughe di espressione le solcavano la fronte e si diradavano attorno agli occhi. Tutti dicevano che erano identiche. Lei non trovava tutta questa somiglianza, ma lo prendeva come un complimento visto che la mamma era molto bella.
Veronica entrò nel giardinetto di fronte casa sbattendo i piedi. Era un'abitudine che aveva preso quando era bambina. Lo faceva per far scappare eventuali serpenti che si nascondevano nell'erba alta. Era stato suo cugino a insegnarglielo. Diceva che spaventata i serpenti e li faceva andare via. Si avvicinò alla pianta di gerani dove era parcheggiata la sua moto blu. Staccò la catena rumorosamente e poi la tolse dal cavalletto. Aprì con il telecomando elettronico il cancello e accelerò. Andava veloce e il vento le entrava anche da sotto il casco. Il paesaggio le passava sotto agli occhi come un film. Posti familiari che sapevano di casa. Amava quel posto.
Durante tutto il tragitto verso il campetto pensò alle parole della mamma. Era combattuta se scrivere al ragazzo o meno. Non si parlavano da cinque anni. Ogni tanto si erano mandati qualche messaggio di auguri per le feste, ma non era mai stata una vera e propria conversazione. Lei non aveva mai smesso di pensare a lui, nonostante tutto. Lui al contrario non riusciva a dimenticare quello che era successo anni prima. Le crebbe una grande curiosità, una grande voglia di rivederlo. "Sarà cambiato?" Si chiedeva. Avrebbe voluto parlargli, almeno un ultima volta. Avrebbe voluto chiarire le cose tra loro che anni fa avevamo lasciato in sospeso. Spesso aveva desiderato scrivergli, ma  non pensava fosse la cosa più appropriata. Non aveva mai avuto una vera e propria scusa per farlo. Questa volta però una scusa pronta per iniziare la conversazione ce l'aveva. Scosse la testa per scacciare quel pensiero e accelerò con il motorino a tutta velocità. Il sole batteva forte quel giorno e arrivata al campetto capì che avrebbe sofferto un gran caldo. Avevano scelto un pessimo orario per giocare: dalle cinque alle sei. Terribile scelta. Era l'orario più caldo della giornata. Ma l'unico campo disponibile quel giorno era proprio a quell'ora infernale. Sospirò e si andò a bagnare la testa sotto l'acqua fredda. Fecero le squadre e lei capì subito che avrebbero vinto. Erano troppo squilibrate. Pose la palla al centro del campo sorridendo. L'adrenalina era a mille. L'arbitro fischio, e la partita ebbe inizio.

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