Capitolo 12

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13 luglio 2015
Alzò lo sguardo. Era Lui. Indossava una maglietta nera, un po' anonima e dei jeans blu. L'unico tocco di colore erano i suoi occhi verdi. La sua carnagione era abbronzata dal sole. Era davvero bello. "Sei sempre la solita imbrancata..." Disse "levati da quella folla o ti travolgeranno" dicendo questo, fece per andarsene. Non poteva lasciarlo andare così. "Aspetta!" Lui si bloccò senza voltarsi a guardarla. "Dobbiamo parlare..."
"Non ho nulla da dirti." Disse sempre senza guardarla. "Io si!" Gridò. Solo a quel punto lui si voltò. La guardava in silenzio aspettando che lei parlasse. "Quello che è successo anni fa... Non è colpa di nessuno. Nè mia, né tua. Io non voglio che tra noi due ci sia questa tensione. Voglio che tu ti senta in pace con la coscienza e voglio che possiamo essere amici."
"Cosa ti importa della mia amicizia Veronica! Non siamo mai stati amici. E non lo saremo mai. Quello che è successo non può essere cancellato. Che importanza ha avuto quello che siamo stati? Eravamo bambini! E io attribuirò sempre a te il ricordo di ciò che è successo. Vederti mi fa male lo capisci. Vederti mi fa sentire in colpa! Lo capisci Veronica?" Lei lo guardava. Non sapeva cosa dire. Era sconvolta. Forse perché sperava in qualcosa tra loro due. Forse perché pensava che potessero tornare insieme. Invece per lui non significava nulla. Non poteva dargli torto. Infondo erano piccoli. Lui la considerava la causa di tutto quello che era successo. La folla continuava a confluire di fianco a loro. Riki e gli altri era poco distanti da loro che volgevano lo sguardo in tutte le direzioni cercando Veronica.
"Quindi non ti importa di nulla..." Disse lei. Era quello che voleva davvero sapere. Era una domanda che si faceva da anni.
"Perché me lo chiedi adesso? Perché me lo chiedi dopo cinque anni?" Lui la guardava gelido.
"Perché ora non posso più aspettare. Devo saperlo. Abbiamo lasciato tutto in sospeso anni fa. Ora che sono qui davanti a te non posso non chiedertelo." Lo guardava aspettando una risposta. Si sentiva come in bilico su un filo sottilissimo. Una piccola spinta l'avrebbe fatta cadere nel vuoto. Il suo stomaco era completamente sottosopra. Lui esitò. Si guardarono per qualche istante. Poi rispose. "No. Non mi importa nulla."
Il cuore le saltò in gola. Lui la guardava negli occhi mentre lo diceva con uno sguardo perfido. Voleva farle del male. In quel momento voleva che lei soffrisse quanto aveva sofferto lui. Una lacrima. Una sola lacrima le rigò il viso. Lui le passò di fianco guardando avanti e andò via. Lei rimase a guardare il vuoto. Si sentiva svenire.
"Ma dove diavolo eri finita?!" Era Riki. Vide la sua espressione. "Cosa è successo?" Disse preoccupato. Lei cercó di rifarsi un po' di contegno. "Niente... Niente... Andiamo a casa." Disse asciugandosi freneticamente le lacrime.
"Veronica dimmi..."
"TI PREGO PORTAMI A CASA!" Disse scoppiando di nuovo in lacrime. Non voleva parlare, non voleva dire niente. Voleva solo mettere la faccia nel cuscino e piangere. Riki la prese per mano e le asciugò le lacrime. Si diressero velocemente alla macchina e salirono. Fu un viaggio breve e silenzioso. Lei guardava fuori dal finestrino piangendo in silenzio mentre Riki la studiava dallo specchietto retrovisore. Vedeva le luci di Minori allontanarsi piano piano. Poi vide il mare, calmo e silenzioso e le diede un senso di pace. Sentiva il rumore dolce delle onde che si infrangevano sulla battigia: un rumore ritmico e costante. Chiuse gli occhi. Arrivati sotto casa di Veronica lei si era addormentata. Così lui la prese in braccio e la portò su in camera sua. La distese sul letto e prima di andare via le diede un lieve bacio sulla fronte. Quella di Veronica fu una notte piena di incubi. Si rigirava nelle coperte ansimando e grondando di sudore. Si era svegliata e riaddormentata diverse volte. Sempre lo stesso sogno ogni volta. Sognava lui, che la guardava negli occhi e le diceva "Non mi importa nulla di te!" E sognava quegli occhi verdi e gelidi che da verdi passavano a rossi. Le pupille diventavano due fessure. Diventavano occhi maligni e spaventosi. Quando si fecero le sei del mattino decise di andare in giardino. Non ce la faceva a stare tra quelle coperte troppo calde. Si sentiva soffocare. Si mise sull'amaca vicino alla pianta di gerani a guardare l'alba. Daniele non aveva tutti i torti. Erano passati tanti anni e lei si era fatta viva solo poche volte. Ma non aveva mai avuto il coraggio di parlargli. Non era mai riuscita ad affrontarlo. Questo perché anche lei si sentiva in colpa per quello che era successo. Ma più pensava a lui e più si rendeva conto che il sentimento che provava era vero e reale. Le parole che lui le aveva detto la sera prima si erano impresse come una cicatrice nella sua mente. Il sole stava salendo su in cielo e tingeva il paesaggio circostante di un rosso acceso. Un uccellini si posò su un albero e incominciò a cinguettare allegramente. Ma lei non riusciva a distrarsi. Neanche l'acqua sui polsi funzionò a calmarla. Iniziò a dondolarsi lentamente sull'amaca e piano piano si riaddormentò.

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