Capitolo 4: She's in the Rain - The Rose

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La nostra nuova casa non è altro che una piccola costruzione incastrata tra due palazzi più alti, quasi soffocata dalla loro presenza. Il giardino davanti è praticamente inesistente, ridotto a una striscia di erba ingiallita e qualche pianta abbandonata che tenta disperatamente di crescere in mezzo alla desolazione.

Mamma mi guarda con un sorriso stanco, come se cercasse di convincermi che tutto questo andrà bene. Io, però, non riesco a nascondere la mia perplessità. Non importa quante volte ci siamo trasferite, ogni volta mi colpisce la stessa sensazione: come se stessi entrando in una vita che non è la mia.

Apro la porta e il primo impatto è l'odore.

Polvere.

Come se nessuno avesse mai vissuto qui, o peggio, come se fosse rimasto vuoto per troppo tempo. Il pavimento di legno scricchiola sotto i miei piedi, e ogni passo rimbomba nelle stanze vuote, amplificando il silenzio inquietante che riempie la casa.

Il corridoio è stretto, le pareti dipinte di un bianco spento, quasi grigiastro. Ci sono piccole crepe agli angoli, segni di un tempo passato troppo in fretta e mai riparato. Alla mia sinistra c'è una piccola stanza, probabilmente il soggiorno, con solo una vecchia poltrona di pelle sformata appoggiata vicino a una finestra polverosa. La luce entra fioca, rendendo tutto ancora più cupo.

La cucina è altrettanto triste. Un tavolo di legno, segnato da graffi e anni di usura, è l'unico mobile che sembra essere lì da tempo. Le ante dei pensili sono scolorite, e c'è un frigorifero che sembra provenire da un'altra epoca, con la superficie ingiallita e il ronzio meccanico leggermente inquietante.

«Che ne dici?» chiede mamma, con quella solita voce dolce che però tradisce un po' di ansia.

«È... diversa,» dico, cercando di scegliere una parola che non suoni troppo negativa. Non voglio farla sentire peggio di quanto già sembri.

Lei annuisce, capendo senza bisogno di altre parole. «Ci abitueremo, vedrai. È solo questione di tempo.»

Mi limito a un cenno, sapendo che non c'è nulla da dire per cambiare la situazione. Prendo la mia valigia e mi incammino verso le scale. Ogni gradino sotto i miei piedi scricchiola con un suono che rimbalza lungo le pareti, quasi a ricordarmi che questa casa è vecchia, vissuta, stanca.

Arrivo al piano superiore e trovo una fila di porte chiuse. Apro quella in fondo, che diventerà la mia stanza. È piccola, più di quanto mi aspettassi. Il letto è appoggiato contro la parete di fronte alla finestra, e c'è una scrivania scolorita vicino all'angolo. Tutto sembra grigio, impolverato, come se la vita si fosse fermata qui molto tempo fa.

Mi avvicino alla finestra e la apro. Un soffio d'aria fredda entra subito nella stanza, portando con sé l'odore pungente della terra bagnata. Il giardino sul retro è poco più di un ammasso di erbacce, cespugli disordinati e qualche fiore selvatico che resiste, aggrappandosi a una vita che non gli appartiene.

Mi siedo sul letto, sentendolo cedere sotto di me. La stanza è spoglia, fredda, eppure, in qualche modo, tutto questo sembra già familiare. Ogni volta è la stessa storia: una nuova casa, una nuova città, una nuova vita. Ma per quanto possa cercare di far sembrare tutto diverso, dentro di me so che non cambia mai veramente nulla.

La vita che avevo prima... non esiste più. Qui comincia la nuova Diana, ancora una volta.

Tiro fuori il cellulare e controllo l'orario. Le 19:45. Il giorno sembra già finito, eppure la notte sembra appena cominciata.

Questa casa potrebbe diventare la mia, ma per ora... è solo una scatola vuota.

Mi sistemo sul letto, avvolta da un'aria fredda che entra dalla finestra semi-aperta. Non ho ancora mangiato, ma non ho fame. Come sempre. La cena è rimasta intatta in cucina, come tante altre volte. Mamma lo sa, ma non dice nulla. Forse perché non c'è molto da dire.

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