Capitolo 11: "Wasted Time" - Blackbear (Aiden's POV

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La notte era silenziosa, ma il mio cuore batteva così forte che sembrava di poterlo sentire a chilometri di distanza. Ogni passo che compivo mi sembrava pesante, come se la mia anima stessa fosse stata legata a un macigno invisibile. Diana. Avevo bisogno di trovarla. Non riuscivo a smettere di pensare a lei, al modo in cui se n'era andata, lasciandomi con il cuore in frantumi.

Le parole che mi aveva detto mi frullavano nella testa: "Mi fai paura." Quella frase mi martellava il cervello come un martello su un chiodo. Paura. La ragazza che amavo, la mia Sirenetta, pensava che io fossi la causa della sua paura. Non riuscivo a credere a quanto fosse lontano tutto ciò che avevamo costruito in così poco tempo. Avevo visto qualcosa negli occhi di Diana che non avevo mai visto prima. Non potevo far finta di nulla. Dovevo rimediare. Dovevo rimediare a tutte le volte che l'avevo ferita, anche senza rendermene conto.

Mi feci largo tra la folla della festa, ma le risate e la musica sembravano lontane, lontanissime. Tutto ciò che esisteva in quel momento era la voglia di trovarla. Mi avvicinai alla porta, fuori dalla vista di tutti, e la vidi. Diana. La sua figura piccola, solitaria, quasi sperduta nel buio, si stagliava contro la notte. E subito il mio cuore perse un battito. Non potevo credere che l'avessi fatta andare via da sola.

"Diana!" la chiamai, correndo verso di lei, ma la sua reazione non fu quella che mi aspettavo. Si girò, ma non mi guardò negli occhi. La sua testa era abbassata, le sue spalle curve come se il mondo intero le fosse piombato addosso.

"Non voglio che tu mi veda così," mi disse, la voce tremante, ma ferma. "Non voglio che ti preoccupi per me."

Era come se fosse già riuscita a chiudersi dentro una corazza impenetrabile. Ma io non avrei mollato. Dovevo fare qualcosa. Dovevo farla uscire da quell'oscurità che aveva scelto di abbracciare.

"Diana, non voglio che ti senta sola," dissi, cercando di avvicinarmi, ma lei fece un passo indietro, come se avesse paura di essere toccata. "Non voglio che tu soffra più."

Le sue mani tremavano, ma non per il freddo. La guardai negli occhi, e vidi una tristezza che non avevo mai visto prima. Qualcosa dentro di me si spezzò, ma non potevo fermarmi. Dovevo dirle che tutto quello che avevo fatto, ogni singolo gesto, ogni parola, non aveva mai avuto l'intenzione di farla stare male. "Diana, ti prego," dissi, la voce spezzata. "Non te lo meritavi."

Lei non rispose, ma mi guardò finalmente negli occhi, come se stesse cercando di leggere la verità nelle mie parole. Ma io non avevo le risposte. Tutto ciò che sapevo era che la amavo e che non avrei mai potuto farle del male volontariamente. Non avrei mai voluto farla soffrire così.

"Mi fai paura," disse, e la mia anima affondò. Quelle parole... non sarebbero mai dovute uscire dalla sua bocca. Non avrei mai voluto sentire quelle parole rivolte a me.

"Paura?" ripetei, incredulo. "Diana, non voglio che tu abbia paura di me. Non voglio che tu viva nella paura, non quando io sono qui, a proteggerti."

Lei chiuse gli occhi e inspirò profondamente, ma non disse nulla. Avevo bisogno di farla sentire al sicuro. Dovevo provare a ricucire il danno che avevo causato, anche se mi sembrava che fosse troppo tardi. Non avevo idea di come farlo, ma sapevo che dovevo provarci.

Mi avvicinai ancora di più, non c'era più spazio tra noi. I suoi occhi non si sollevarono dal pavimento, ma il suo respiro si fece più rapido, più affannoso.

"Diana..." sussurrai, avvicinando il mio volto al suo. "Non voglio più che tu stia male. Ti prometto che starai bene, che ti farò stare bene. Voglio solo essere quello di cui hai bisogno."

E poi, senza nemmeno pensarci, le presi la mano. Non era una richiesta, ma una promessa. Non la stavo costringendo a fare nulla. Ma volevo che si fidasse di me, che mi lasciasse aiutarla.

Lei alzò gli occhi verso di me, ed era come se vedessi una parte di lei che non avevo mai notato prima. Era fragile, ma non sconfitta. Era una guerriera, anche se non riusciva a vederlo. La guardai intensamente, e in quel momento, sentii una spinta, qualcosa che mi diceva che dovevo fare il passo successivo.

"Vieni con me, Diana. Voglio solo che tu stia bene. Andiamo via da qui."

Mi guardò con occhi pieni di incertezze, ma alla fine annuì. Mi sentivo sollevato, ma al contempo sapevo che non era finita. Dovevo fare molto di più per farla sentire al sicuro, per ricostruire ciò che avevo distrutto. Non sarei mai riuscito a cancellare le sue paure, ma avrei fatto di tutto per placarle.

La condussi in un angolo appartato della festa, dove il rumore sembrava lontano, un posto dove potessimo stare soli, senza distrazioni. La feci sedere su una panchina, mentre io restavo in piedi davanti a lei. C'era un silenzio carico, ma non imbarazzante. C'era solo il respiro affannoso di entrambi, la tensione tra di noi che sembrava farsi più forte.

"Non voglio che pensi che non mi importi di te," dissi, cercando di rompere il silenzio. "Tu... tu sei la mia Sirenetta, Diana. E io ti proteggerò da tutto. Ti prometto che non ti farò mai più sentire così."

Le sue mani tremavano, ma questa volta non si tirò indietro. Ci stava dando una possibilità, e io non l'avrei sprecata. La guardai negli occhi, e qualcosa nel suo sguardo cambiò. Non so se fosse fiducia, ma era qualcosa di più grande. Era un barlume di speranza. E quello era abbastanza per me.

All' improvviso la presi per la vita, e la baciai come avevo appena fatto con Jenna. Ma questa volta, sembrava infinito.

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