17 - Caos

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Rein


"Non spegnerti."


Le correnti fredde mi attraversano ripetutamente il ventre, abituandomi sempre al loro freddo spezzante.

Un'onda mi colpisce il volto e vado sott'acqua per trenta secondi e risalgo sopra con il petto irregolare.

Chiudo gli occhi stanchi e  mi appoggio sul pezzo di legno rimasto della canoa che ci avrebbe portato dagli Yaculi a ciel sereno.

Rimango con la bocca schiusa respirando per poi toccarmi il viso bagnato dalle gocce infinite provenienti dal cielo.

«Merda» impreco tra me e me.

Mi guardo intorno in modo sistematico, ma non riuscivo a vedere niente, tutto oscuro e sfocato, tutto così spaventoso.

Muovo le dita delle mani gelide , di cui ormai sento come se mi fossero state tagliate da quando mi ero immerso in questa pozza senza fine e respiro.

«Reiiiin!» urla una voce troppo conosciuta «Reiiin»

Alzo la testa e riconosco quel viso squadrato ma allo stesso tempo dolce «Aaron!» 

Mi stava rincorrendo con un passo svelto e sgrano gli occhi sorridendo «che ci fai qui?!»

Alza le mani «SONO VENUTO A RIPRENDERTI!» urla forte scandendo le parole.

Lo guardo.

Lui mi guarda.

Alzo gli occhi al cielo.

«Cazzo Aaron, non riesci a prendere una cosa sul serio!» urlo

Mi guarda con uno sguardo arrabbiato per poi scoppiare a ridere come un bambino.

Ad una certa si ferma e tende le mani davanti a sé e la stessa scia verdognola che lo aveva salvato raggiunge me creando una liana marrone consumata e robusta attorno al  pezzo di legno a cui ero avvolto.

Con forza Aaron mi tira verso di lui e riesco a toccare con le mani la riva del fiume umida.

Mi aggrappo con tutte le forze rimaste nel mio corpo e riesco a salire su e a ritrovarmi in piedi vicino ad Aaron.

 «Okay, non ti abbraccio perché sei fradicio, però sappi che ti voglio bene» sorride

Lo guardo male e scoppia nuovamente a ridere.

«Dove siamo?» gli chiedo con le mani incrociate al petto tremante.

«Quasi dagli Yaculi» mi risponde.

Respiro a fatica concedendomi qualche minuto per recuperare qualche forza per concedermi di muovere una gamba.

«So che sono di troppo, ma...» borbotta tra sé e sé allargando le labbra in una smorfia strana e divertente «dobbiamo correre dagli Yaculi».

Annuisco.

«Tieni» mi passa una coperta in pile che fuoriesce dalla sua felpa priva di macchie d'acqua.

Afferro desideroso la coperta che mi rotolo intorno al corpo alla ricerca di calore che viene consumato dai miei indumenti bagnati.

Mi sento il braccio strattonare e subito dopo Aaron si stacca da me e con la mano mi fa cenno di andare.

Mi avvicino a lui e al suo passo afferrando la felpa che fino a qualche mezz'ora fa era unta di fango e gocciolante d'acqua.

Era asciutta, come se non avesse toccato l'acqua o la pioggia avesse deciso completamente di esonerarlo dalla sua strage.


***

La coperta avvolta ormai non ha più nessun effetto contro il mio corpo se non farmi rabbrividire ogni volta che il suo tessuto fradicio si struscia contro di me.

Un cancello si eregge davanti a me e arriccio il naso e riporto indietro i capelli bagnati che mi ostruiscono la vista per vederci meglio.

Il cancello degli Yaculi, il popolo più bello e sfarzoso.

Aaron mi guarda e poi porge nuovamente il suo viso verso l'alto per ammirare la sfarzosità di quel cancello abbellito da colori che anche sotto la pioggia spiccano evidentemente.

La pioggia appena arrivati al confine di questo posto è diventata più tranquilla ed accettabile, mentre dal cielo completamente nero e perso, inizia nuovamente a prendere il colore ciano perso da ore, sotto ancora i rumori dei tuoni e i colori dei fulmini che diventano sempre più lontani.

Siamo arrivati.

Siamo vivi.

«Rein, abbiamo finito di ammirare il cancello o...?» mi domanda Aaron con uno sguardo pieno di domande che non riesce a non farmi comparire un sorriso sulle labbra. 














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