Cap. 6 - Tammy. Gesù Bambino è diventato strabico.

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Ventisei giorni a Natale...

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«È morto il Bambino Gesù!»

A quell'affermazione pianto i piedi sull'ultimo gradino delle scale, indecisa se scendere o meno.

Posso farcela?

Non sono del tutto sicura della risposta, anzi per niente, a dire la verità.

È domenica e sono appena uscita dalla cameretta dove dormivo qua a casa della nonna, perché ieri sera ero troppo stanca per tornare a casa dai miei dopo l'intensa partita a Monopoli che io, lei e Freddie ci siamo fatti.
Lui ancora dorme beato nella stanza di fianco alla mia.

La porta è proprio in cima ai gradini, dietro alle mie spalle e in fondo non è poi così tardi per fare retrofront e tornarmene a letto...

«Tammy presto! Trova la colla, dobbiamo riattaccare tutti i pezzi a Gesù Bambino!». La nonna è seduta sul pavimento e pare in preda al panico, circondata dai frammenti della statuina del Messia.

Alla fine affronto l'ultimo scalino, primo perchè mi ha sgamata e poi perchè a quanto pare mi piace vivere in modo pericoloso. «Nonna cos'è successo?», pronuncio cauta avvicinandomi.

«Si è ammazzato!», urla.

Poi si alza in piedi con una facilità di cui non mi capacito e prende ad aprire i cassetti. «Stava lì fermo sul mobiletto e questa mattina l'ho trovato per terra in mille pezzi. È una tragedia, Tammy! Non possiamo fare il presepe senza il figlio di Dio!».

La sua disperata ricerca termina quando trova un tubetto di attak sul fondo buio della cassettiera. Si appoggia sul ripiano della tivù e comincia a riassemblare i pezzi.

Io mi chino per raccogliere un componente rimasto a terra, quasi strozzandomi per parlare. «Nonna le... ehm, chiappe di Gesù Bambino».

Lei le afferra e provvede a restituirle al legittimo proprietario, senza troppe cerimonie.

Mia nonna sta riattaccando il sedere al Bambino Gesù dopo che questo ha tentato il suicidio.

È ufficiale, non posso farcela.

«Tesoro, andresti a sistemare nel presepe la capanna di Giuseppe e Maria? È dentro quella scatola laggiù», mi indica.

Prendo il centro della natività e lo posiziono sul tappeto di muschio finto di fianco al caminetto, con tanto di bue ed asinello rannicchiati a terra.

Per nonna Iole il presepe è sempre stato essenziale, nel processo di addobbare la casa. E l'ha sempre fatto da sola. Mi svegliavo una mattina, correvo qua a casa sua e semplicemente compariva lì, sempre nel solito posto, alla destra del caminetto.

Corre per accucciarsi con me e posa con delicatezza il Bambino ricomposto dall'attak, sulla paglia della sua culla.
Io storco la testa guardandolo da più prospettive.
«Nonna è strabico».
«Come?»

Glie lo indico. «Gesù Bambino. È strabico. Hai incollato male gli occhi».

Lei prima sgrana la vista e poi mi fa cenno di stare zitta con la mano. «Sciocchezze! È perfetto!», esclama tornando in piedi e spolverandosi i vestiti sgargianti. «Allora, il presepe di casa White è pronto. Adesso manca solo quello vivente, per tutta Whitefield!».

Il fatto che mia nonna sia una White e sia nata e cresciuta a Whitefield, doveva pur dirmi qualcosa sulla sua ossessione per questa cittadina. E sulla condanna del mio futuro.

Più che a me, avrebbe dovuto dirlo al nonno in realtà, che in questo modo avrebbe potuto pensarci due volte, prima di infilarle un anello al dito.

Ma mi piace pensare che l'avrebbe fatto lo stesso.

La sciarpa che salvò (incasinò) il Natale.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora