Cap. 11 - Garrett. Per due che non si vedono da anni, vi muovete rapidamente.

20 6 0
                                    

Ventuno giorni a Natale...

_❆ . ❆ ❆ ❄️ ❆ ❆ . ❆_

«Quindi Tamara Farnes è tornata in città».

«Già».

«E avete trascorso del tempo insieme».

«Mh-mh».

«Credi che inizierai ad articolare delle frasi di senso compiuto o continuerai a lungo con i monosillabi, amico?». Dylan si sporge dal tettuccio della casetta in legno che stiamo montando e la sua massa di capelli chiari mi si para davanti agli occhi.

Sbuffo e gli faccio cenno con la mano di tornarsene di sopra, riprendendo a fissare un chiodo col martello. «Continuerò fin quando non la smetterai di girarci attorno. Va' dritto al punto e basta».

«Ti piace ancora?», se ne esce dal nulla.

Smetto per un attimo di colpire la parete, perché di certo non mi aspettavo questa domanda. «Sono passati otto anni Dylan».

«Non hai risposto».

«È arrivata da appena qualche giorno».

«Continui a non rispondermi, amico».

Sbuffo di nuovo per l'irritazione e scarico tutta la mia frustrazione su quel maledetto chiodo.

La testa di Dylan si affaccia ancora dal bordo del tetto. «Ti dispiace aspettare che io scenda da quassù prima di far crollare tutto quanto?».

Serro la mandibola guardandolo in cagnesco, ma questa volta applico meno forza quando colpisco di nuovo. «Troppo diretto», gli dico piantando il chiodo. «Riprova».

Avverto uno scalpiccio dal tetto sopra alla mia testa. «In una scala da uno a "me la farei sopra ad ogni superficie disponibile", a quanto ammonta la tua frustrazione sessuale da quando è qui?».

Batto un colpo sul soffitto proprio sotto ai suoi piedi. «In quale razza di modo questo dovrebbe essere meno diretto, Dyl?».

Lui salta giù dal tetto, atterrando al di là della finestrella e scrollandosi la polvere dalle mani. «Non lo è. Ma adesso sai che può solo andare a peggiorare e magari risponderai alla prima domanda».

Idiota.

Mi sposto sotto alla luce che filtra dalla finestra priva di vetri e fingo di essere molto concentrato a cercare qualcosa nella cassetta degli attrezzi. «Forse. Non credo», rispondo alla sua precedente domanda, scrollando le spalle per mostrarmi incurante.

«Quindi posso provarci con lei».

Gli sbatto contro il petto il foglio con il progetto finale. «Solo se sei disposto a tirarle le trecce mentre la prendi nel tuo studio da medico».

Un sorriso gli si apre in volto, mentre porta una mano ad afferrare il foglio, ma continua a fissarmi. «Wow, siamo già alle fantasie sessuali? Per due che non si vedono da anni, vi muovete rapidamente».

Afferro un altro paio di chiodi per l'asse e gli mostro il dito medio. «Dimentica che te l'ho detto».

Questa è la terza casetta che montiamo da questa mattina. Il mio migliore amico di sempre, Dylan – che non se ne è mai andato da Whitefield e non lo farebbe nemmeno per un milione di dollari – si è prestato ad aiutarci senza la minima lamentela. Con qualcosa tra le mani, sembra assumere sempre una vitalità diversa.

È uno che detesta non avere nulla da fare.

Brutto un occhio fuori dalla finestra, per vedere come procede la restante parte di noi.
Dall'altro lato della strada, proprio qui di fronte, gli altri volontari sono adesso alla quarta.

La sciarpa che salvò (incasinò) il Natale.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora