Cap. 3 - Tammy. Gli estoni ce l'hanno messa nel sacco.

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Ventotto giorni a Natale...

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Ci sono diverse cose che ancora non mi spiego del Natale.

Per esempio, a chi accidenti è venuto in mente di tagliare un abete, agghindarlo a festa con decorazioni da pelle d'oca (angioletti, nastri, animaletti...) e piazzarselo nel salotto come un oggetto da venerare ogni mattina, quando scendeva le scale per fare colazione?

Così mi sono informata – perchè nessuno vuole vivere nell'ignoranza, persino futile come quella dell'albero di natale – ed ho scoperto che è tutta una trovata dei giovani scapoli di Tallinn, in Estonia. A quanto pare questi sconsiderati allestirono un abete gigante nella piazza principale, dove uomini e donne andavano a ballare alla ricerca dell'anima gemella.

Ora, io con questo gruppetto di Estoni vorrei scambiarci due parole.

Perché tutti sono alla ricerca della propria anima gemella, ma mica si mettono a sradicare delle innocenti piante per saltellarci tutt'intorno imitando un'antica danza tribale.

Non gli è balenato per la testa il pensiero che la loro assurda trovata potesse tramandarsi come una maledizione nel corso degli anni?

Ad ogni modo, c'è poco da lamentarsene adesso: gli Estoni ce l'hanno messa nel sacco e per colpa loro mi tocca trascinarmi dietro un ammasso di aghi verdi che continuano a bucarmi le mani.

In più sono uscita di casa speranzosa e con le migliori intenzioni, lo giuro, ma oggi fa persino più freddo di quando sono arrivata qualche giorno fa. Non mi stupisce che la mia famiglia non abbia esitato neppure un secondo prima di spedire me in questa missione suicida per portare a casa il nuovo abete.

Continuo a sperare che i miei anticorpi si palesino da un momento all'altro, ma temo siano in un profondo letargo e a giudicare dal brivido che mi scuote ora da capo a piedi, suppongo che nessuno nel mio corpo stia provando a svegliarli.

Vigliacchi. A buscare un raffreddore non sarò solo io. Siamo una squadra per l'amor del cielo!

Sono sfinita e mi volto per vedere quanto mi sono allontanata dal negozio. Sento le ginocchia spezzarsi in quattro pezzi quando mi accorgo di aver fatto a malapena qualche metro.
«Maledetti Estoni», sibilo tra i denti.
«Che ti hanno fatto gli Estoni?»

Presa di sprovvista da quella voce e dall'apparizione improvvisa di un corpo alla mia destra, schizzo in aria e mi sfugge la presa dall'abete, che prende a rotolare sull'orlo della strada con un sonoro tonfo.

«Cavolo!», borbotto correndo a riprendermelo.

Lo sconosciuto, a quanto pare medico, dell'altro giorno mi segue a ruota e mi sembra di sentirlo trattenere una risata. «Prima torni a casa per le feste e poi ti trovo a trascinare un abete per la strada. Per essere una che rivendica il ruolo da Grinch, ti stai dando parecchio da fare».

«Controvoglia!», puntualizzo subito. «Mi sto dando da fare controvoglia. E mi sto anche facendo un male cane, se proprio vuoi saperlo. Sono ostinati, questi abeti di oggi!».

Tento di alzare, non con poca fatica, l'albero dalla strada.

«Oddio, l'ho ucciso!», constato prendendomi la testa tra le mani.

Lui fa spallucce. «È solo un po' spelacchiato».

«Spelacchiato è l'aggettivo che usi per un gatto vecchio e raggrinsito quando non vuoi essere troppo cattivo. Non per un albero di natale».

Sbuffo e me lo posiziono alle spalle, riprendendo a marciare. «Stupida tradizione, non si potrebbe usare che so, un bonsai? Piccolo magari. Facile da trasportare e pratico da maneggiare».

La sciarpa che salvò (incasinò) il Natale.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora