Una barriera di bugie

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Il giorno successivo Thomas e Aris si ritrovarono nello stesso punto del condotto d'aria, nel buio della sera. 
La luce soffusa dei neon, che filtrava attraverso le griglie, disegnava ombre inquietanti sulle pareti metalliche. 
Thomas sentiva il freddo pungente che si insinuava nei suoi vestiti, facendolo rabbrividire.
Aris si spostò con agilità, aprendo lentamente la griglia, cercando di fare il meno rumore possibile. 
Ogni suono metallico sembrava amplificato, come se il condotto fosse una trappola pronta a scattare. 
Con un gesto rapido e preciso, Aris si calò all'interno dell'apertura.
Thomas lo seguì, sentendo il peso del momento sullo stomaco.
Quando i loro piedi toccarono il pavimento del corridoio, il rumore del loro atterraggio rimbombò leggermente e Thomas si abbassò istintivamente, come se questo potesse evitare che qualcuno li sentisse. 
Ma la loro era una corsa contro il tempo, e non c'era spazio per errori.
Si avvicinò alla porta, il cuore che batteva più velocemente; il suo respiro era rapido e pesante, l'ansia portava a fargli pensare che qualcuno sarebbe arrivato da un momento all'altro.
Estraendo il tesserino, lo inserì nel macchinario vicino alla porta «Ti prego, funziona...» mormorò tra sé, mentre fissava con intensità lo scanner.
Un beep metallico risuonò nell'aria.
La porta si sbloccò con un rumore sordo, che fece rimbalzare l'eco contro le pareti vuote del corridoio. 
Thomas trattenne il respiro mentre la porta si apriva.
I due ragazzi, senza perdere un secondo di più, sgusciarono all'interno.

Ciò che si trovarono davanti li lasciò senza fiato, paralizzati dalla paura. 
La stanza era enorme, quasi sterile nella sua semplicità.
Davanti a loro, una distesa di ragazzi attaccati a macchinari di vario tipo.
Erano completamente immobilizzati, collegati a complessi dispositivi medici che sembravano estrarre energia vitale da ognuno di loro.
Un tubo in particolare, che sembrava essere attaccato alla nuca dei ragazzi, si collegavano a grossi contenitori di vetro trasparente.
All'interno di essi vi era un liquido blu che veniva trasportato lentamente dai tubi.
Thomas sentì un brivido lungo la schiena.
Il liquido sembrava troppo familiare. 
Assomiglia a quello che abbiamo usato nel Labirinto per Alby...
In pochi secondi, però, la sua mente lo travolse con un pensiero ancora più terribile. 
Un gelido nodo di paura gli si strinse nello stomaco. 
Cominciò a percorrere quel corridoio di corpi guardando i volti dei ragazzi uno ad uno e sperando di non riconoscere quelli di Newt e Sonya.
Ogni passo che faceva sembrava rallentare, mentre i volti apparentemente senza vita che giacevano tutt'intorno a lui diventavano sempre più indistinti e minacciosi.
Ogni respiro gli pesava nel petto, ogni battito del cuore gli martellava la testa.
Con lo sguardo tremante, cercava di scansare l'orrore che lo circondava.
Lo stomaco si contrasse in una morsa dolorosa.
I volti che incontrava sembravano essere solo uno sfondo indistinto, ma dietro a ciascuno di essi c'era una speranza fragile, una speranza che i volti di Newt e Sonya non si nascondessero tra quelli.
Le mani gli tremavano mentre stringeva la presa sul tesserino che ancora teneva in mano, come se volesse ancorarsi a un frammento di realtà, ma il timore di riconoscerli era sempre più forte.
Ogni passo era una scommessa.
Nonostante volesse correre via, si costringeva a muoversi lentamente, con la paura che l'incontro con uno dei loro volti potesse essere l'ultimo a segnare la fine di tutto.

Solo quando arrivò alla fine della stanza riuscì a tirare un sospiro di sollievo: Newt e Sonya non erano lì.
Sentì comunque una morsa nello stomaco per quei ragazzi.
Voltandosi vide che Aris era rimasto vicino all'ingresso, pietrificato a causa di quella visione raccapricciante.
Thomas si avvicinò a lui, voleva chiedergli se c'era qualcuno che conosceva in mezzo a quei corpi ma non ebbe il tempo per farlo.
La porta si aprì.
Con uno scatto i due ragazzi si precipitarono dietro un pilastro, il cuore in gola. 
Thomas si abbassò il più possibile, cercando di mantenere il respiro sotto controllo.
Un passo, due passi.
Era entrato qualcuno.
Il ragazzo allungò leggermente lo sguardo oltre il pilastro e scorse la figura familiare di Janson. 
Il suo passo era lento, come se non avesse fretta, e si diresse verso il fondo della stanza, dove c'era una scrivania che Thomas prima non aveva nemmeno notato.
Con movimenti decisi, l'uomo premette un pulsante sulla tastiera di un computer e, immediatamente, un ologramma prese forma sopra il tavolo, illuminando l'aria con una luce blu-verde. 
Un volto apparve, quello della dottoressa Paige.
Thomas stentò a credere ai propri occhi. 
Che caspio sta succedendo?  Si domandò, quasi senza fiato. 
«Buongiorno, dottoressa Paige. Mi fa piacere rivederla» disse Janson, con tono cortese, ma con un velo di nervosismo «Anche se devo ammettere che non mi aspettavo di risentirla così presto»
«I piani sono cambiati, Janson. Arriverò prima del previsto, domani mattina presto» la voce della donna risuonò nella stanza, ma era fredda, professionale.
Janson si fece serio, ma non sembrava preoccupato «Oh! Sarà un piacere averla qui. Credo che apprezzerà i progressi che abbiamo fatto. Vede, i primi risultati sono stati veramente incoraggianti. Qualsiasi cosa gli stiate facendo sta funzionando»
La dottoressa non sembrò impressionata «Non abbastanza, invece. Ho ricevuto l'approvazione del Comitato. Voglio che tutti i soggetti restanti vengano sedati e preparati prima del mio arrivo»
Thomas sentì un brivido gelido scorrergli lungo la schiena.
I "soggetti restanti"?
Sapeva che non poteva trattarsi di nulla di buono.
La consapevolezza di non trovarsi in un posto sicuro si fece strada in lui e l'idea di aver intuito chi fossero quelle persone gli fece accelerare il battito cardiaco.
Janson tentennò «Dottoressa Paige, stiamo andando molto velocemente. Dobbiamo ancora fare dei test...»
Ma la donna lo interruppe, con voce ferma «Trova qualcosa di più veloce» il tono glacialmente autoritario non lasciava spazio a discussioni «Finché posso garantirne la sicurezza, questo è il piano migliore» 
«Le assicuro che sono completamente al sicuro» affermò l'uomo, ma i suoi occhi tradivano l'inquietudine.
Thomas, da dietro il pilastro, continuava a osservare, con il cuore che gli batteva sempre più forte.
Ogni parola, ogni frangente della conversazione lo faceva rabbrividire. Nonostante entrambi parlassero di "garantire la loro sicurezza" Thomas non capiva cosa ci fosse di così tanto sicuro se ciò significava fare la fine dei ragazzi in quella stanza.
Poi, improvvisamente, la dottoressa chiese: «Ha trovato il Braccio Destro?»
Janson scosse la testa «Non ancora. Pare che siano sulle montagne»
«Quindi sono ancora lì?» la donna fece una pausa, come se stesse riflettendo «Hanno già colpito due delle nostre postazioni. Vogliono quei ragazzi tanto quanto noi. E io non posso concedermi altre perdite. Non adesso che sono così vicina a una cura. Se lei non è all'altezza del compito, troverò qualcun altro»
La tensione nella stanza stava aumentando, e Thomas sentiva il respiro farsi più pesante.
Quella conversazione stava rivelando troppo.
Janson, visibilmente nervoso, cercò di rassicurarla «Mi creda, non sarà necessario. Posso suggerire di iniziare dagli ultimi arrivati?» 
La dottoressa sembrava non volerne sapere, ma alla fine acconsentì «Faccia come crede»
A quel punto Janson si girò per uscire dalla stanza, ma prima di farlo, la voce della dottoressa lo richiamò «Janson» lo fermò «Non devono soffrire, mi raccomando»
L'uomo non si voltò, ma fece un cenno con la mano, come se tutto fosse sotto controllo «Non sentiranno niente» 
Dopo quelle parole, l'ologramma si disattivò mentre Janson usciva dalla stanza, senza nemmeno guardarsi indietro.
Il cuore di Thomas prese a battere all'impazzata, il sangue gli pulsava nelle orecchie.
Avevano appena sentito quelle parole inquietanti, e ora più che mai dovevano scappare.
Subito!

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