14.

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Questa notte non ho chiuso occhio, ogni volta che provavo ad addormentarmi i pensieri negativi riuscivano a farmi sbarrare le pupille.

Sono seduta sul divano da dieci minuti, sto aspettando Gabriel che finisce di prepararsi e poi raggiungiamo lo studio dove troveremo il fisioterapista.

Le mani mi tremano, ho la testa piena e nessuna idea su come svuotarla, in questo momento vorrei ballare, vorrei essere a lezione. Continuo a pensare che se mi fossi fermata subito forse, ora sarei a lezione.

Vybes si avvicina, una volta davanti a me mi tende la mano, la afferro sorridendogli, mi aiuta ad alzarmi così da non sforzare il ginocchio, leggermente gonfio.

Una volta fuori dalla casetta mi prende la mano camminando piano, al mio fianco. «Sento le rotelle del tuo cervello girare fino a qui» mi sorride «non riesco a non pensare» mi appoggio un po' più a lui aumentando, per quanto possibile, il passo «ho paura di uscire Gab» guardo avanti, gli comunico la mia paura più grande in questo momento.
«Non uscirai» parla dopo pochi attimi di silenzio «e poi io come faccio qui dentro da solo» alleggerisce la situazione ridendo. Mi fa sorridere perché intuisco la preoccupazione nella sua ironia.

Entriamo nella sala, è un ambiente stretto, un piccolo lettino nero è collocato al lato sinistro invece nella parte opposta c'è una piccola scrivania con sopra un computer. Tutti gli strumenti, le varie creme e fasce che servono sono esposte in degli scaffali vicino al lettino.

«Buongiorno» esclamiamo contemporaneamente io e il ragazzo al mio fianco mentre entriamo «buongiorno» ha risponderci è un uomo giovane, degli occhiali delicati gli cadono sul naso e un sorriso gli illumina il volto «devi essere Lea giusto?» annuisco togliendomi il giubbino e lasciandolo nelle mani di Gabriel che mi rivolge un tenero sorriso.

Dopo avergli spiegato come e in che contesto è iniziato il dolore che in questi giorni mi accompagna mi fa scendere dal lettino facendo gli ultimi controlli.

Ci posizioniamo davanti al dottore, seduto dietro al suo computer «puoi stare tranquilla» sorrido sinceramente lasciandomi andare in un sospiro di sollievo, mi stringo a Gabriel che da quando ci siamo alzati e messi in questa posizione mi ha stretto la mano non lasciandola mai e acquisendo una espressione che fa sembrare lui più in ansia di me.

«ti spiego meglio» si toglie gli occhiali poggiandoli delicatamente sulla superficie di fronte a lui «a salvarti è stato il fatto che ti sei fermata subito» annuisco con la mano ancora stretta in quella del ragazzo che mi sta vicino «il tuo corpo ti ha dato una avvertimento, il dolore che tu accusi è 'l'inizio' di uno strappo ma essendoti fermata, perché non ti stai allenando giusto?» mi guarda dal basso con uno sguardo severo «no no no» nego con il volto in continuazione «bravissima, quindi lo strappo non c'è, come ti ho già detto il tuo corpo ti sta avvertendo, ti sta dicendo di fermarti» il mio sorriso si allarga, sono sollevata semplicemente perché non è niente, sono riuscita ad ascoltare il mio corpo e di questo ne vado fiera.

«Ti lascio questo» mi passa un foglio «lo devi dare ai medici che ti consegneranno una nuova ginocchiera» annuisco leggermente in ansia «a parole povere, è un tutore meno forte diciamo» firma un altro foglio lasciandolo tra le mie mani «hai solo bisogno di qualcosa di più forte della ginocchiera che hai, il tuo ginocchio ha bisogno di stare stretto, come se fosse imballato, quasi immobile» mi spiega accuratamente la situazione «ma quindi mettendomi quella posso ballare in puntata?» l'unico mio pensiero però ricade sempre sulla danza e sulla mia esibizione «puoi ballare, ma il tutore che ti darò lo dovrai portare sia mentre balli sia quando stai a casa, l'unico momento in cui lo puoi togliere è per andare a dormire» gesticola velocemente io in risposta  annuisco felice.

La strada verso la casetta è tranquilla, il ginocchio, in assenza di ginocchiera o tutore, è ancora indolenzito di conseguenza il passo è lento come all'andata, ma in questo momento sento di poter saltare e toccare il cielo.

La mano è ancora perfettamente incastrata con quella del castano al mio fianco, ha un sorriso sincero ed è proprio questo che mi fa capire quanto ci tiene a me.

Porta il braccio sulle mie spalle non lasciando la mia mano, schiocca un bacio sulla mia tempia prima di entrare dal cancello e quindi ad acquisire le giuste distanze.

La mattina passa lenta, la mia testa pensa continuamente e solo alla lezione di questo pomeriggio, non vedo l'ora di raggiungere la sala, mi sembra tantissimo tempo che non faccio quello che amo di più al mondo anche se sono solo due giorni che non ballo.

La cucina è movimentata, ci passo in mezzo dopo aver ascoltato la produzione che mi diceva di prendere la scatola sul muretto vicino all'entrata che, come avevo potuto intuire, conteneva il tutore.
È abbastanza comodo, il ginocchio si muove quasi del tutto liberamente. Sono cinque minuti che giro per la casa senza mai fermarmi, faccio avanti in dietro per la cucina per poi decidermi a
cucinare qualcosa.

Poso a tavola il piatto ripieno di pasta alla sugo, mi siedo iniziando a mangiare, pochi secondi dopo al mio fianco si siede Nicolò a cui ho raccontato ogni dettaglio della visita almeno cinquanta volte da stamattina.

«Vybes mi sta rincoglionendo» si porta le mani sul volto che ha assunto in espressione distrutta «perché?» gli rispondo ridendo portandomi un'altra forchettata alle labbra «perché si sta facendo mille paranoie» lo guardo interrogativa non capendo «ma secondo te si è pentita» lo imita, provando a ricreare il suo accento romano. Il mio volto si arrossa per le risate «ti prego vagli a dire che non ti sei pentita sennò mi fa scoppiare la testa» indica con il braccio le stanze accennando un sorriso furbo «vabbene lo faccio solo perché ho ancora bisogno di te» gli strofino la mano trai i capelli alzandomi, lascio il piatto nel lavandino con il pensiero di tornare per lavarlo.

Entro nella camera arancione sorridendo. Non ho intrapreso un discorso su ciò che è successo con lui solo perché avevo timore di ciò che pensava, nelle mia mente lui se n'era pentito pensando fosse tutto uno sbaglio. Sapere che le sue paranoie si fondono con le mie mi fa capire quanto siamo simili e mi ricorda il perché ci capiamo così tanto.

Mi avvicino a passo svelto al suo letto dove lui è steso con le cuffiette «fammi spazio» lo spingo leggermente, mi stendo al suo fianco, non ho intenzione di aprire il discorso o altro, io voglio godermi la tranquillità che lui mi trasmette, se lui inizia ad aprirsi su ciò che è successo tra di noi allora ne parleremo.

Posa il computer e le cuffie al lato del letto, fissa il soffitto e io faccio altrettanto «non voglio che pensi che quello che è successo tra di noi sia uno sbaglio» inizia a parlare lui, «perché io ho fatto ciò che volevo e tuttora non me ne pento» le sue mani si toccano, si infastidiscono e i suoi occhi sono fissi sulla parete ricoperta da una luce soffusa proveniente dal corridoio «anche io lo volevo» annuisco girandomi verso di lui.

Un silenzio tranquillo cala nella stanza, non c'è imbarazzo né paura solo tranquillità e contentezza per le notizie che questa giornata ci ha portato.

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spero che la storia vi stia piacendo!
grazie a tutti lettori ❤️

intertwined - Vybes Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora