Capitolo 11

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Sono in questa sua Audi nera, enorme, si sta seduti comodi qui, sembra nata proprio per accogliermi. Sento il vento sfiorarmi i capelli e percepisco che il finestrino è abbassato, l'aria fresca di giugno che ti grazia solo la mattina ora è tutta per me, per il mio viso. Respiro profondamente, immagino dove mi sta portando. Sì perché ho una benda sugli occhi, me l'ha messa appena sono scesa dal pianerottolo con il mio zaino in mano.

-Non voglio sentire lamentele, ora il tuo zaino lo dai a me e tu indossi questa.- mi ha detto.

-Te lo puoi scordare.- mi sono impuntata io, braccia conserte.

Allora lui mi ha guardato divertito ma con uno sguardo di ammonimento.

-Piccola bambina dispettosa e brontolona, ti va di fare un bel gioco? Prometto che poi ti porto a mangiare il gelato se fai la brava.-

-Io sono già brava, mi sono fatta trovare pronta in cinque minuti!- ho quindi sentenziato -Ora tu dimmi quale ragazza si fa trovare sul pianerottolo con letteralmente cinque minuti di preavviso.-

-Questa bellissima e bravissima bambina a cui ora benderó gli occhi e poi porterò a prendere un gelato.- ha insistito.

Ho scoperto nel giro di pochi minuti quanto sappia essere insistente e fermo, forse anche più deciso di me e ora sono qui mentre ascolto la sua musica fastidiosa che non ne vuole sapere di cambiare mentre mi chiedo dove mi starà portando. Ne approfitto per riposare gli occhi cercando di recuperare le energie che le tre ore di sonno di questa notte non hanno potuto portare al mio corpo. I piedi mi fanno male da tutto quel ballare e mi ricordo che dovrei mettermi qualche soldo da parte per comprarmi delle scarpe da ballo nuove. Probabilmente dovrei mettere i soldi delle mie serate come insegnante e taxi dancer in un salvadanaio, penso che in tre mesi potrei già convertirlo in un paio di dancin' nuove di zecca. Che sogno, quelle scarpe. Le ho desiderate dalla prima volta che le ho viste indosso alla mia insegnate di ballo almeno dieci anni fa, ma poi ho sempre ripiegato su una simil marca cinese perché il mio portafogli si poteva permettere quello.

-Cosa stai architettando in quella tua mente malefica?- mi chiede Timothèe.

-Non lo immaginerai mai.-

-Stai pensando a dove ti sto portando?-

-No.-

-A come picchiarmi e rubarmi la macchina per tornare a casa nel caso in cui il posto in cui ti porto non sia di tuo gradimento?-

-Plausibile, ma no.-

-Allora non mi viene in mente altro.-

Sorrido al suo segno di resa.

-Mi sto riposando. Anzi, ti dirò di più. Sto quasi prendendo sonno.-

-Non ti facevo così dormigliona.- mi incalza, ma sento che dalla sua voce c'è una vena di risata trattenuta.

-Dormire tre ore lo consideri da dormigliona?-

-Sei stata poco bene?- ora la sua voce è preoccupata. Mi arriva la sua mano nel braccio, credo mi stia guardando.

-Sono uscita, Timothèe.- rido, ma sento che lui non fa altrettanto. Anzi, il discorso sembra chiudersi con un suo "Ah." Non capisco se sia ironia o meno, senza vedere il suo viso, quel che è certo è che non sembra più essere Giugno dentro a questa macchina.

-Allora dovrò stare più attento, sei molto richiesta.- il suo tono ironico vacilla, risulta poco credibile, mi aggrappo a quel senso di fastidio che ho potuto percepire nella sua voce per giocare un po'.

-Io credo tu abbia ragione.-

-Certo, capisco chiunque ti stia facendo la corte in questo momento. Sarebbe da idioti non farlo.- accetta di giocare con me e scaglia la sua arma della verità placando la mia ironia. Un punto a lui.

Neve - con Timothèe ChalametDove le storie prendono vita. Scoprilo ora