-No ragazzi, fa troppo caldo!- esclamò Giselle mentre girava sulla sedia oltre la cassa, agitando un giornale davanti alla faccia. -Ma in che mondo siamo?
La ragazza si fermò un attimo e posò il giornale per poter raccogliere i lunghissimi capelli castani in una coda pressoché perfetta.
Appena si fu assicurata di essere a posto tornò a volteggiare sulla sedia e a farsi aria con quel povero quotidiano.
-Dove l'hai preso quello?- le chiesi, indicandolo.
-Questo?- domandò lei, fermandosi. -Era al fondo della cassa di Letisha e ho pensato bene di prenderlo in prestito.
Scossi la testa mostrando disappunto, ma accennando un sorriso divertito.
Giselle era così. Dovevi sempre stare attento a ciò che dicevi, perché potevi passare da essere il suo migliore amico al suo peggior nemico con una sola parola.
Tra lei e Letisha non c'è mai stato nessun tentativo di collaborazione, in realtà. Si sono sempre odiate e non sapevo nemmeno bene perché. Certo, Letisha era presuntuosa e palesemente viziata, ma lei e Giselle non hanno mai avuto un vero e proprio motivo per provare tutta quella repulsione tra di loro. Si detestavano e basta.
Mi sporsi, sbilanciandomi da un lato della sedia per vedere oltre Giselle e, alla cassa numero quattro, intenta a limarsi unghie perfettamente smaltate, c'era quella ragazza, la ragazza che era spesso argomento dei nostri pettegolezzi. Giselle girò leggermente la testa verso dove stavo guardando e scosse a sua volta la testa, più schifata che mai.
Tornò a guardare verso di me e si sporse in avanti. -Quella biondona rifatta prima o poi la strozzo.
Soffocai una risata, divertita dall'espressione seccata che si era formata sul viso della mia amica. Lei alzò gli occhi al cielo e si sporse ancora di più verso di me. -Spero tanto che Carlos la metta nel reparto macelleria.- confessò. -Immagina quelle unghie nella carne sanguinolenta che bella fine farebbero.
Sul mio viso si creò un'espressione disgustata al solo pensiero di quella scena ripugnante. Però, dovevo ammetterlo, mi sarebbe piaciuto vedere la faccia di Letisha dietro quel bancone. Sarebbe stato esilarante.
Nostro malgrado però, Carlos, il nostro capo e responsabile della gestione, manutenzione - e tutto il resto - del Market, non lo avrebbe mai fatto.
-Carlos non la sposterebbe mai lì.
-Già. Quello stronzo.- sputò Giselle senza abbassare di una nota il tono di voce.
Ci furono pochi secondi di silenzio mentre Giselle guardò nel vuoto, davanti a sé. Si doveva essere immersa nei pensieri. Lo faceva spesso. -Ieri sera non diceva così però.- esordì, infine.
La ragazza si lasciò cadere sullo schienale della povera sedia e un sorriso malizioso si formò sul suo viso. Io sbarrai gli occhi, incredula.
-Sei andata a letto con Carlos?- esclamai scioccata. Non riuscivo proprio ad immaginarmi la mia migliore amica a letto con il nostro capo. Mi venivano i brividi per il disgusto. Giselle era così carina, ma faceva spesso cose di quel genere. Mi ero sempre chiesta perché dovesse buttarsi via così.
La ragazza diventò paonazza e riprese a sventolare il giornale con ancora più forza.
-Chi è andato a letto con chi?- chiese una voce maschile in cima alla mia cassa. Kevin, il responsabile della maggior parte dei reparti di quel microscopico supermercato, si avvicinò a noi e si piazzò al mio fianco tenendo le braccia incrociate con un'aria curiosa sul viso.
-Nessuno Kevin.- mi sbrigai a dire io, salvando la mia amica da una patetica figuraccia. Grazie al cielo il ragazzo non insistette. Si limitò a sorridere mentre teneva lo sguardo basso.
Iniziò a fissare in modo strano Giselle. Forse, però, non era il suo sguardo ad essere strano; era lui ad esserlo e basta. -Non pensavo fossi già in menopausa Gi. Hai le caldane?
Ok, senza "forse".
La ragazza arrotolò frettolosamente il giornale e lo tirò addosso al ragazzo, che si riparò alzando le braccia davanti alla faccia.
-Bambini.- sentimmo dire in lontananza poco dopo. Guardammo istintivamente alle spalle di Giselle e vedemmo Letisha, sempre intenta a limarsi quelle maledette unghie, guardarci di storto.
-Cosa hai detto?- sbottò la mia amica.
La ragazza alzò gli occhi al cielo e fece un espressione di disprezzo. -Ho detto che siete dei bambini. Spero che Carlos vi licenzi il più in fretta possibile.
Notai che Giselle stava bollendo di rabbia e pensai che, se fossimo stati in un cartone animato, le sarebbe uscito il fumo dalle orecchie.
-L'unica che merita di essere licenziata, qui, s...- iniziò a dire, ma la bloccai, prima che la situazione potesse peggiorare, dicendo: -Letisha, sai per caso che ore sono?
Si creò un incredibile silenzio, grazie al cielo. La ragazza guardó riluttante verso l'orologio di Swarovski che portava al polso. -Le otto meno un quarto.
-Grazie.- dissi cercado di essere gentile. Non la sopportavo nemmeno io quella ragazza, in realtà, ma a differenza di Giselle cercavo di non darlo troppo a vedere. Letisha sbuffò.
La mia amica non disse altro e si voltò di nuovo verso di me. Notai che stava trattenendo il respiro. Non fiatò per alcuni secondi, ma poi tornò ad essere quella di sempre. Mostrò un bellissimo sorriso bianco a me e a Kevin, ma mi domandai a cosa stesse pensando realmente.
-Io vado a cambiarmi.- ci avvisò Kevin.
-Perché?- gli chiese Giselle. -Sei così sexy con la divisa!
Kevin rise. -Per questo la tolgo. Non vorrei mai che tutte le ragazze del mondo cadano ai miei piedi.- si vantò lui e si allontanò verso il bagno guardando maliziosamente Giselle.
Era sempre così a quest'ora: non c'era mai l'ombra di un cliente, non un'anima viva e noi lasciavamo scorrere il tempo così, ridendo e scherzando. Ora che l'estate e il caldo erano arrivati - a differenza della voglia di lavorare, che se n'era andata - trascorrevamo le giornate tra un reparto o l'altro per farci compagnia.
Mi dondolai da un lato all'altro della sedia con aria stanca. La lunga parlantina di Giselle, però, non mi lasciò respirare nemmeno un minuto.
-Che fai stasera?- mi chiese. Era una domanda che era solita farmi sempre alla fine della giornata. Giselle era piuttosto abitudinaria per questo genere di cose.
-Non lo so.- risposi sinceramente. -Dovrebbe arrivare Michael a prendermi da un momento all'altro. Sai che torna da quel viaggio...
-Ah già.- La ragazza mi guardó, per nulla stupita della mia affermazione. -I fratelli Mic di nuovo all'azione?
Alzai gli occhi al cielo, sorridendo.
Quel soprannome perseguitava me e il mio migliore amico da quando eravamo nati. Ci chiamavano Mic perché le prime tre lettere dei nostri nomi erano le stesse. Che fantasia vero? Ci chiamavano fratelli perchè eravamo cresciuti insieme. Molto probabilmente eravamo sempre soggetto di pettegolezzi in paese, dato che passavamo le giornate insieme. Forse avevano persino iniziato a scommetere su se ci saremmo sposati o meno. Ma ne eravamo consapevoli e non ci dava fastidio. Sapevamo che nulla di tutto ciò era vero e quindi non ci preoccupavamo.
-Arriverà il giorno in cui dichiarerete apertamente i vostri sentimenti l'un l'altra.- mi stuzzicò lei.
-Oh smettila con 'sta storia!- sbuffai. -Sai bene che per me è come un fratello.
-Ma tu un fratello ce l'hai già.- asserì lei. Era la frase che pronunciava sempre quando io dicevo le parole "Michael" e "fratello" una di seguito all'altra. Era piuttosto ripetitiva.
-Miles è un'altra cosa.- borbottai.
-Micole... Michael... Miles... mancate di originalità in quella famiglia.- cantilenò la ragazza.
-Mica l'ho scelto io.
-Comunque fidati di me.- disse ancora, dopo un'attenta riflessione che richiese alcuni secondi di silenzio. -L'amicizia tra uomo e donna non dura a lungo.
La fulminai con lo sguardo. Feci un respiro profondo per trattenermi dall'urlarle contro. -D'accordo. Ora che mi hai fatto il tuo discorso filosofico chiudiamo l'argomento?- esclamai io, cominciando a spazientirmi.
Stava per ribattere quando la porta scorrevole dell'ingresso si aprì.
-Parli del diavolo...- sussurrò Giselle guardando anche lei verso la porta. Un sorriso malizioso le spuntò sulle labbra.
"Cretina."
Un ragazzo dalla pelle pallidissima, un leggero sorriso sulle labbra e una chioma rosso vermiglio, camminava verso di me.
-Ciao Mimì.- mi salutò dolcemente, come al suo solito.
Gli feci un cenno col capo.
Lui mi guardò di storto. -Tutto qui?- esclamò. -Sono stato via per giorni e tutto quello che sai fare è un misero cenno con la testa? Si vede che non ti sono mancato.
Sulle sue labbra un sorriso a trentadue denti gli illuminò il volto. Sapevo che stava scherzando. Lo faceva sempre.
-Infatti non mi sei mancato per niente.- lo stuzzicai io, ma lui non aggiunse altro riguardo all'argomento. Si voltò verso Giselle e la salutò.
-Giselle.- disse. -Sei così rossa!- Allungò un dito verso la guancia della ragazza e gliela tastò, incuriosito.
-È un piacere rivederti anche per me, Michael.- disse lei, spingendolo via. Il ragazzo sorrise divertito.
-Nuovo colore di capelli?- gli chiesi, ricordandomi solo in quel momento che era partito con un colore diverso.
-Sì.- disse lui. -Il verde mi aveva stufato.
Michael era sempre stato unico. Diceva di voler essere differente dalla massa di caproni che ci circondava e allora si tingeva i capelli. Almeno una volta al mese cambiava colore. Quando lo vidi per la prima volta tinto, mi spaventai: aveva quei bruttissimi capelli di un colore talmente chiaro da essere bianco, con una chiazza azzurra sul ciuffo. Dopo diversi giorni passati a rimproverarlo per quello schifo che si era combinato, cambiò colore e si fece tutto blu. Non stava male e io, piano piano, con gli anni, mi abituai a vederlo cambiare colore senza dovermi più scandalizzare ogni volta.
-Non hai paura che ti cadano quei poveri capelli?- domandò Giselle.
Michael non rispose, ma rise semplicemente. Mi guardò per qualche istante e poi allungò una mano verso di me. -Andiamo?- mi chiese. Io, senza pensarci troppo, la afferrai e lo seguii verso l'uscita, ancora mano nella mano.
-Ci vediamo domani Gi.- salutai la mia amica.
Lei mi rivolse un sorriso malizioso e un cenno della mano.
Ero consapevole che quella ragazza avrebbe insistito fino alla morte sulla teoria che io e Michael prima o poi ci saremmo fidanzati, ma io, come lei ben sapeva, avrei continuato a negarla fino alla mia di morte. Mi chiesi perché nessuno credeva nell'amicizia tra uomo e donna. Se esisteva quella tra uomo e uomo e quella tra donna e donna, perché mai non sarebbe dovuta esistere anche quella!
Mentre stavamo oltrepassando la porta d'ingresso mi assalì di nuovo il pensiero delle persone che sparlavano di me e del ragazzo che mi stava ancora stringendo la mano. Le separai istintivamente e notai che lui mi guardò perplesso.
Salimmo sulla sua macchina, che era parcheggiata non troppo lontana dal supermercato: lui alla guida, io al suo fianco. Seguirono alcuni minuti di silenzio mentre eravamo in viaggio, interrotti solo dal rumore del motore.
Per la maggior parte del tragitto guardai i lineamenti del suo viso. Era una cosa che mi capitava di fare spesso, infatti lui non ci faceva nemmeno più caso.
Cercavo sempre di trovare quelle similitudini tra me e lui che tutti vedevano.
In giro si diceva che ci assomigliavamo moltissimo, eppure io, per quanto mi sforzassi, non riuscivo a vederci nulla. Forse il colore degli occhi. Ma nemmeno quello: i miei tendevano all'azzurro ed erano enormi, i suoi erano grigi, o forse verdi - un colore incomprensibile, insomma - e più sottili. Le labbra magari. Sì, forse le labbra.
La sua voce mi risvegliò dai miei pensieri. -Com'è che si chiama quella che sta alla cassa quattro?- chiese, incredibilmente serio.
-È Letisha, Michael...- dissi, leggermente titubante.
-Letisha?!- esclamò sorpreso. -Non me la ricordavo così...
-Così come?- domandai.
-Così... figa.- Un sorriso malizioso apparve sul suo viso. Lo fulminai con lo sguardo e gli diedi una pacca sulla spalla.
-Se ti sentisse Giselle non ti rivolgerebbe mai più la parola.
-Ma tu non sei Giselle.- disse lui, sovrastando la mia voce con la sua.
Ci fu altro silenzio per qualche minuto, poi, sempre lui, lo interruppe.
-Com'è andata a lavoro oggi?- chiese con fare, all'apparenza, tranquillo.
Il fatto che mi rivolse una domanda così scontata mi turbò. A forza di stare con lui avevo imparato che, se mi faceva una domanda banale, non era mai quello che vorrebbe chiedermi veramente.
-Il solito.- risposo io, facendo finta di niente e senza dilungarmi nella descrizione della giornata minuto per minuto. -Tu invece? Com'è andato il viaggio?
-Quello bene.- asserì lui.
-Sei andato a fare quel provino di cui mi hai parlato?
Michael sorrise. -Sì.
Mi rizzai sul sedile, curiosa di saperne di più. -E? Ti hanno preso, no?
Lui rise di gusto. -Micole... Micole...- disse, quasi fossero dei sospiri. -Non sono mica tutti come te.
Lo guardai stranita. -Che vuoi dire?
Lui si fece improvvisamente serio. -Voglio dire che appena hanno visto la mia faccia, i miei tatuaggi e i miei capelli - soprattutto i miei capelli - e mi hanno chiesto da dove venivo, mi hanno detto: "Quella è la porta".
-COSA?!- esclamai, scioccata. -Dimmi che stai scherzando.
Lui scosse la testa, sempre con un sorriso amaro sulle labbra.
-Non ti hanno fatto neanche provare?!
Michael rise, probabilmente per il tono terribilmente acuto che aveva preso la mia voce. -Neanche una nota.- disse infine.
Michael era stato sempre giudicato per il suo "stile". E come lo sapevo io lo sapeva anche lui. Solo che io mi incazzavo e lui se ne sbatteva altamente le palle. Non gli importava del giudizio degli altri e non gliene sarebbe mai importato. Quindi, oltre ad essere giudicato perché stava sempre con me, era anche classificato come "drogato", "pazzo" e "uno-non-a-posto" perchè i suoi capelli avevano sempre un colore diverso. Che società di merda.
-Che bastardi.- borbottai. -Non è possibile! Se solo sentissero la tua voce non direbbero così.
-Ehi, ehi!- disse Michael, che tolse una mano dal volante solo per poterla appoggiare sulla mia coscia. Lo faceva spesso, per tranquillizzarmi. Ma non ero sicura che mi sarei calmata. Ero più incazzata di quanto avrei dovuto essere. Insomma, quello su di giri doveva essere lui! Invece stava lì, a guardare la strada e ogni tanto me, con fare fastidiosamente tranquillo. Mi faceva solo innervosire di più. Come ci riusciva?
-Ci sono molte altre band che hanno bisogno di un cantante, o di un chitarrista.- disse poco dopo. -Se mi hanno mandato via senza avermi nemmeno fatto provare è un problema loro, perché, quando sarò famoso, si mangeranno le mani per non avermi fatto nemmeno oltrepassare lo stipite dell'ingresso.
Michael la pensava così, ma sapete qual'era la verità? Era che lui era troppo buono. Quelle persone che giudicano, come si suol dire, un libro dalla copertina dovrebbero bruciare all'inferno. Ma lui era di un'altra opinione, ovviamente.
-Sei un fottuto pacifista.- dissi, provocando una risata contagiosa al mio amico. Inevitabilmente iniziai a ridere anch'io. Era sempre così. Quel ragazzo aveva la capacità di farmi tornare il sorriso con una facilità estrema. E solo in pochi ne erano in grado. Avevo un carattere complicato e solo lui, solo Michael sapeva sempre come prendermi. Non so cosa avevo fatto per meritarmi un amico del genere, ma ne ero grata.
Poco prima, al supermercato, avevo detto che non avevo sentito la sua mancanza. Beh, non era vero. Quel ragazzo mi era mancato; mi era mancato davvero.× × ×
CIAO A TUTTI!
Vorrei iniziare questa avventura ringraziando chiunque si sia preso la briga di iniziare a leggere questa fan fiction che sarà sicuramente pallosa e un po' monotona nei primi capitoli; purtroppo è inevitabile per introdurre la storia .-. ma che spero vi possa piacere!Inoltre voglio dire che questa è la prima fan fiction che pubblico e spero ardentemente di non deludere le aspettative di nessuno :')
Vostro malgrado questa non è quella che definirei una storia felice, fatta di bacini bacetti e cose da diabete varie. Sarà una pugnalata al cuore. Anche per me. Ahahah no dai, non esageriamo troppo!
Comunque, che dire riguardo alla storia?
Come sicuramente avrete capito, Michael e Micole si conoscono talmente bene da essere migliori amici, cosa non solita per una fan fiction. State tranquilli, però: ho in serbo per voi molte sorprese.Vorrei aggiungere che cercherò di pubblicare un capitolo a settimana, o il prima possibile.
Concludo ringraziandovi ancora, in particolare chi mi sostiene fin dall'inizio.
Grazie♡
~Vale
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Rainy days // Michael Clifford
RandomL'amore è così. Ti travolge quando meno te lo aspetti, ti sorprende e ti fa restare senza fiato. È come una tempesta in estate, di quelle che ti martellano sopra la testa insistentemente e ti stravolgono. E non puoi farci nulla.