-Da quando si va alle feste in jeans e maglietta?- chiese Michael, mentre mi guardava sdraiato sul mio letto. Teneva una mano dietro la testa e l'altra sul ventre. Un sorriso da ebete gli dipingeva il volto e i suoi occhi mi guardavano con la classica espressione da fratello maggiore.
Sbuffai. Era la terza volta che criticava il mio abbigliamento. Quando ci si metteva, era peggio di una ragazzina.
-Da quando ci vado io.- affermai, sicura di me. -Puoi scordarti che mi cambio un'altra volta.
Michael rise, ma non obbiettò più ciò che avevo indosso.
-Sai dove andrete?- mi chiese.
-No.- rispondo. -Voleva che fosse una sorpresa.
Il ragazzo si mise a sedere e mi guardò stranito. -E tu ti fidi di quello lì?- domandò infine.
Scossi la testa con disappunto. -Quello lì ha un nome, anche se so che non ti va a genio.
-Astuta la ragazza.- finse di complimentarsi con me.
Afferrai una maglietta che avevo lasciato sul pavimento e gliela lanciai contro, nonostante fossi consapevole di non fargli nulla.
Michael iniziò a ridere mentre si divincolava dal tessuto che gli copriva il volto. Mi rilanciò la t-shirt e la ripiegai per rimetterla al suo posto.
-Potresti venire con noi.- proposi senza pensare veramente a cosa voleva dire passare la serata tra Eugene e Michael.
-Non posso.- rispose lui senza esitazione. -Ho un appuntamento.
Iniziai a ridere. -Entrambi non abbiamo mai avuto un appuntamento vero e proprio per anni e ora usciamo entrambi la stessa sera?
Il ragazzo si unì alla mia risata. -Questo vuol dire essere veri migliori amici.- affermò. -Si condivide tutto.* * *
-Manca ancora molto?- chiesi, persa a guardare fuori dal finestrino paesaggi sconosciuti illuminarsi degli ultimi raggi solari.
Eugene, intento a guidare ormai da più di mezz'ora, rise. -È la decima volta che me lo chiedi.
-E tu la decima che non mi rispondi.- sbuffai esasperata.
Ero impaziente di vedere dove mi avrebbe portato il ragazzo-della-birra, cosa si sarebbe inventato per far riuscire al meglio la serata. Purtroppo più passava il tempo e più mi innervosivo. Non era semplice per me restare ferma sul sedile: era la prima volta che uscivo con un ragazzo, la prima volta che andavo ad una festa, la prima volta che ero senza Michael. Ma dato che, come si suol dire, "c'è sempre una prima volta", cercai di mantenere al massimo il mio autocontrollo.
-Siamo arrivati.- annunciò mentre svoltavamo in un viale alberato, costeggiato da innumerevoli ville bianche una identica all'altra.
Parcheggiammo davanti a una di queste, in mezzo ad altre macchine già presenti. Quando il motore si spense e Eugene tolse la chiave dal cruscotto iniziai a preoccuparmi.
-Mi potresti gentilmente spiegare cosa ci facciamo in un quartiere di ricconi e perché stiamo per entrare in una di queste case?- domandai mentre scendevo dall'auto.
Eugene mi raggiunse sul marciapiede con un sorriso raggiante stampato sul volto. I due nei sulla guancia sinistra sparirono, nascosti da un' adorabile fossetta. Quando fu al mio fianco mi cinse le spalle con un braccio e, senza togliere lo sguardo da me, ci avviammo sul vialetto che attraversava il giardino della villa davanti a noi.
-Lo scoprirai tra poco.- affermò. -Non sei mai stata ad una festa?
Scossi la testa.
Il suo sorriso aumentò. -Allora per essere la prima, vedrai, sarà spettacolare.
Sorrisi speranzosa.
Salimmo i tre gradini che davano sul piccolo portico in legno. La musica proveniva da dentro l'abitazione ad un volume troppo alto e, per un attimo, dubitai che ci avrebbero sentiti arrivare.
Eugene suonò il campanello e nemmeno tre secondi dopo la porta di legno si aprì, senza che nessuno dei due se lo aspettasse.
Oltre all'ingresso un ragazzo poco più alto me dai capelli rossi ci squadrò dalla testa ai piedi.
-Eugene!- esclamò con gioia. Travolse l'amico con un abbraccio scoordinato e gli diede alcune sonore pacche sulla schiena. -Finalmente sei arrivato.- disse euforico. -Mi stavo giusto chiedendo dove tu e il tuo bel culetto sodo foste finiti.
Mi trattenni dallo scoppiare a ridere mentre mi avvicinavo timida al ragazzo al mio fianco.
-Devi sempre farmi fare brutta figura, non è vero?- rispose sarcastico e alludendo, molto probabilmente, a me.
-Ah, ma ti sei portato la ragazza!- quasi urlò il suo amico, tornando a guardarmi. Cominciai a credere che fosse già mezzo ubriaco. -Hammond Kemp.- annunciò allungando una mano verso di me.
La strinsi, senza troppa esitazione.
-Immagino che il tuo nome sia bello quanto te.- disse Hammond, mentre ancora teneva la presa e gli occhi fissi su di me.
-Micole Ward.- dissi, cercando di non mostrare l'imbarazzo che mi aveva provocato quella frase.
-Nah- enfatizzò lui, lasciando finalmente la mia povera mano. -Tu sei molto meglio.
Arrossii inaspettatamente e il ragazzo mi fece l'occhiolino.
-Niente male davvero.- continuò guardando malizioso Eugene. Quest'ultimo mi prese la mano e mi attirò maggiormente a sè. Quel contatto inaspettato mi provocò un brivido lungo tutta la schiena.
Hammond alzò le mani al cielo. -Amico, giuro che non la sfiorerò nemmeno con un dito.
-Bene.- disse schietto Eugene. -Perchè potrei tagliartele quelle mani zozze.
La mie guancie arrossirono prontamente e per un istante avrei voluto sprofondare.
L'amico, ormai convinto di non avere più possibilità, si fece da parte e, con un gesto molto teatrale, ci fece entrare in quella villa che dedussi essere casa sua. Quando mi resi conto di essere ancora aggrappata al braccio di Eugene mi allontanai da lui. Non volevo che la gente pensasse cose strane.
La casa si estendeva su due piani e avevo l'impressione che anche la festa si espandesse in egual misura. In ogni stanza, una luce soffusa continuamente accesa illuminava l'ambiente, e, a intermittenza, luci psichedeliche davano l'impressione di essere in una discoteca. La musica insistente e martellante rimbombava ovunque e ragazzi e ragazze si dimenavano in balli alquanto strani.
Le prospettive non erano le migliori in assoluto.
-Tutto bene?- mi chiese Eugene, che si era avvicinato al mio orecchio per farsi sentire.
Annuii, ma lui, da perfetto malfidente, mi avvolse le spalle con un braccio e mi condusse in quello che doveva essere il salotto. C'erano ragazzi seduti sul primo gruppo di divani che parlavano accaniti, altri impegnati a guardare la televisione - non chiedetemi come fosse possibile, dato che non sentivo nemmeno i miei pensieri - e infine un gruppo di ragazzi vicini alla finestra aperta che in una mano tenevano un bicchiere pieno di chissà quale alcolico e nell'altra una sigaretta. Tutti sembravano divertirsi parecchio, ma io mi sentivo terribilmente fuori posto.
-Vuoi bere qualcosa?- mi domandò Eugene, ancora al mio fianco.
Non lo avevo mai fatto, bere alcolici. Non sono mai impazzita per l'alcol. Lo trovavo uno spreco di soldi e di tempo. Tuttavia quella sera avrei potuto concedermelo. Pensai che, se fossi stata anche solo brilla, sarei riuscita a divertirmi di più. -Sì, grazie.- gli risposi tirando fuori tutta la voce che avevo.
Eugene sorrise, soddisfatto. -Allora aspettami qui. Non ti muovere.- disse. Dopo di che, sparì da dove eravamo arrivati.
Mi appoggiai alla parete alle mie spalle e mi guardai intorno.
Dovevo ammettere che la casa era davvero enorme e che era davvero molto bella.
Probabilmente quella era una di quelle feste che si facevano quando i propri genitori non sarebbero stati presenti per qualche giorno, come in quei insensati film americani. Ne aveva tutte le caratteristiche.
Fortunatmente in quell'istante la musica raggiunse un livello molto più umano e le canzoni divennero tutte orecchiabili. Chiunque avesse fatto tutto ciò, lo avrei sposato.
La gente intorno a me non parve lamentarsi del cambiamento, anzi, si rallegrò.
Un altro gruppo di ragazzi e ragazze entrò nella sala e poi un altro ancora. Non avevo la minima idea di quanti fossimo, ma per i miei standard era già troppo.
Abbassai lo sguardo sulle mie mani. Erano fredde, come sempre. Pensai che avrei dovuto mettermi a ballare per potermi scaldare, ma in quel momento proprio non ne avevo voglia. Mi avvolsi il grembo con le braccia e chiusi le mani a pugno.
Quando rialzai gli occhi mi parve di vedere una chiazza verde tra la folla. Una chiazza verde molto familiare. Mi sporsi da un lato per vedere meglio, ma la mia vista fu limitata bruscamente dal petto di Eugene e la sua camicia bianca. Alzai la testa verso di lui e sorrisi spontaneamente. Lui ricambiò immediatamente.
Era incredibilmente vicino a me, ma la cosa, stranamente, non mi preoccupò.
Nelle mani teneva due bicchieri e avvicinò uno di essi a me. -Assaggia.- disse.
-Che cos'è?- chiesi io, sospettosa di cosa avrebbe potuto rifilarmi.
-Tu assaggia. Fidati di me.
Senza pensarci ancora su troppo, gli tolsi il bicchiere dalle mani e bevvi un sorso del suo contenuto. Inaspettatamente la mia bocca venne invasa dal dolce stucchevole della fragola. Ingerii quel che era rimasto e glielo restituii. Eugene mi guardava stupito del mio atteggiamento così spavaldo. Mi sorrise compiaciuto e bevve a sua volta dal proprio bicchierino.
-Eugene!- sentii da lontano. Tra la gente intravidi Hammond avvicinarsi a noi leggermente barcollante. Arrivò vicino al ragazzo di fronte a me e gli appoggiò con scarsa delicatezza una mano sulla spalla. -La musica ora è di tuo gradimento Signor "abbassa questa robbaccia"?- chiese.
-Molto Signor "questa robbaccia te la ficchi nel culo".- ribattè lui.
Hammond iniziò a ridere di gusto, piegandosi letteralmente di due. -Mi fai morire.- affermò tirandosi su e dandosi una sistemata. -Venite di là.- aggiunse poco dopo. -Tra poco farò partire un lento e se non vi vedo in pista a ballare, giuro che vi verrò a cercare.
Diede una sonora pacca sulla povera schiena di Eugene e se ne andò senza aggiungere altro. Ci guardammo per un tempo che parve infinito, sorridendoci timidamente. I suoi occhi erano più belli ogni secondo che passava. Più lo guardavo e più lo trovavo bellissimo. Era impossibile dire il contrario.
-GENTE MUOVETE IL CULO E ANDATE TUTTI A BALLARE QUESTO MAGNIFICO LENTO. SUBITO DOPO CI SARÀ IL GRANDE EVENTO DELLA SERATA. SE CERCHERETE DI SCAPPARE VI APRO IN DUE.- comunicò una voce che proveniva probabilmente da un microfono. Hammond.
Una risata generale partì in tutta la casa. Ognuno smise di fare quel che stava facendo e si diresse verso la sala attrezzata per ballare.
Io e Eugene ci lasciammo trascinare dalla corrente, senza opporci. Venimmo spintonati da tutte le aprti da gente più o meno ubriaca. L'odore nauseante di alcol e sudore mi diede un giramento di testa, ma qualcosa di morbido e caldo afferrò inaspettatamente la mia mano. La mano di Eugene. Guardai il ragazzo con gli occhi sgranati e le guancie probabilmente più rosse della storia. Lui non si voltò, rimase impassibile, come se fosse la cosa più normale del mondo.
Strinsi maggiormente la presa mentre le nostre dita si intrecciavano. Raggiungemmo la pista e tutto quell'ammasso di gente si sparse per tutto il salone. Era talmente grande che non ci furono problemi di spazio.
Eugene si mise davanti a me, lasciando la mia mano, e mi guardò dritto in volto. Era serio, concentrato. Si avvicinò al mio viso mentre le dolci note di un pianoforte riempivano l'aria. Per un attimo trattenni il respiro.
-Ti avverto. Un tronco si muove meglio di me.- mi sussurrò all'orecchio.
Risi nel sentire quelle parole e lui fece altrettanto. Una voce melodiosa di una ragazza si aggiunse alla melodia.
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Rainy days // Michael Clifford
RandomL'amore è così. Ti travolge quando meno te lo aspetti, ti sorprende e ti fa restare senza fiato. È come una tempesta in estate, di quelle che ti martellano sopra la testa insistentemente e ti stravolgono. E non puoi farci nulla.