Vivere praticamente tutta la mia vita insieme a Michael mi ha portato ad essere quella che sono. Il fatto che lo aspettassi per dargli un pezzo della mia merenda durante l'intervallo alle elementari mi ha portato a non avere molte amiche femmine.
Ero quel tipo di persona che cercava sempre di mettere le cose a posto, che pretendeva di poter aiutare tutti, pur essendo consapevole di non essere in grado di farlo. Lo sono sempre stata. Cercavo sempre di essere carina e gentile con tutti e appena qualcuno mi rivolgeva più di cinque parole - soprattutto se era un ragazzo a farlo - cominciavo a costruire giganteschi castelli mentali che venivano poi distrutti in tre secondi netti.
Col tempo divenni più un maschiaccio che una di quelle ragazze perfette, dal culo sodo e le gambe da dea dell'Olimpo; non nel senso che ora mi scaccolavo o che ruttavo come un maiale, ma che, il più delle volte, il mio linguaggio era più scurrile di quello di Michael.
Lui era l'opposto. Ok che da piccolo era esagitato e mi faceva fare cose da pazzi per le quali venivamo sempre rimproverati entrambi, ma ora era una sottospecie di angelo. Aveva una pazienza infinita, talmente tanta che iniziai a sospettare che andasse a comprarne delle tonnellate al supermercato ogni giorno - non in quello dove lavoravo io però, lì non la vendevano. Era un ragazzo d'oro, incompreso dalla maggior parte delle persone, in questo mondo di merda. E nonostante tutta la gente che parlava male di lui, non l'avevo mai sentito insultare nessuno. Mai. In sedici lunghissimi anni.
Chiusi l'acqua che scorreva fredda sul mio corpo e afferrai l'accappatoio. Nonostante avessi detto a Michael di sbrigarsi per non finirmi tutta l'acqua calda, feci la doccia più ghiacciata di tutta la mia vita, ovviamente. Fortunatamente fuori c'erano quasi trenta gradi, per cui non fu un disastro totale.
Mi diedi una spazzolata ai capelli, ma non li asciugai. Lo avrebbero fatto da soli. Odiavo i miei capelli: neri e ricci. Erano indomabili e inguardabili. Dovevo consumare litri e litri di balsamo ogni volta che mi facevo la doccia, solo per avere sempre lo stesso risultato.
Dopo aver lottato con la spazzola che era rimasta impigliata in un nodo, corsi nella mia stanza e chiusi la porta alle mie spalle. La stanza era buia, ma dalla finestra entrava la luce bianca del lampione che si trovava dall'altra parte della strada, che mi permise di potermi muovere senza dover accendere la luce.
Presi un reggiseno e uno slip dai cassetti vicino al letto matrimoniale e li indossai.
La porta si aprì di colpo; i capelli rosso fuoco di Michael spuntarono improvvisamente. Saltai sul letto per lo spavento.
Il ragazzo, come se niente fosse entrò nella stanza guardandomi come se fossi un marziano. Indossava soltanto i boxer e, su una spalla, teneva a penzoloni un asciugamano fradicio. Continuava a fissarmi mentre cercava di rimettersi il piercing che aveva sul sopracciglio destro.
-Lo sai che ultimamente va di moda bussare, Gordon?- lo rimproverai, usando il suo secondo nome per infastidirlo. Lo odiava terribilmente.
-Da quando è un problema bussare o no?- chiese lui, facendo il finto tonto.
-Da quando sono in camera mia e sono mezza nuda!- esclamai. Non che la cosa mi infastidisse veramente; mi aveva già vista più volte in intimo.
-Tranquilla, mica mi scandalizzo.- Lo sentii ridere, nonostante cercasse di nascondersi.
-Lo trovi divertente?
-Suvvia Micole!- esclamò lui, mentre si dirigeva verso l'armadio, di fronte al letto. -Non fare la suscettibile.
Michael si voltò di spalle e si mise a cercare qualcosa dentro il mobile. Era qui talmente spesso che, da qualche parte tra i miei vestiti, c'erano anche i suoi.
Guardai la sua schiena e la sua pelle così pallida che sembrava non uscire mai di casa. Guardai i suoi tatuaggi sulle braccia forti che mi avevano sollevato poco prima. Guardai i suoi capelli ancora un po' bagnati e spettinati. Poteva sembrare qualsiasi cosa, meno che un angelo. Eppure lo era. Come si suol dire "L'abito non fa il monaco".
Quando si voltò di nuovo verso di me aveva una maglietta nera addosso e un'altra bianca in mano. Mi lanciò quest'ultima. Me la misi senza tante cerimonie e mi infilai sotto le lenzuola. Poco dopo anche Mike si mise sotto quelle coperte, insieme a me. Era una cosa che facevamo da sempre, sin dalle prime volte che lui restava a dormire da me. Ultimamente Michael aveva preso l'abitudine di non guidare la sera tardi - non mi aveva mai spiegato il motivo vero e proprio però - per cui erano più le volte che dormiva da me che quelle in cui stava nel suo letto, ma, come aveva detto lui poco prima, mica mi scandalizzavo.
Mi rannicchiai da una parte del letto, girata verso di lui e lui si girò a sua volta nella mia direzione. Si avvicinò a me e con una mano mi accarezzò dolcemente la guancia. Si sporse leggermente in avanti e mi diede un bacio sulla fronte. Guardai i suoi occhi e li vidi brillare. Gli sorrisi.
-Mi canti una canzone?- gli chiesi, come facevo almeno un paio di volte a settimana.
La sua voce era diventata come una droga per me. Così dolce e al contempo così forte da farmi rabbrividire al solo pensiero. Avrebbe potuto cantare la canzone più stupida e no sense sulla faccia della Terra e sarebbe diventata automaticamente la più bella dell'universo.
Lo sentii ridacchiare. -Cosa vuoi che ti canti?
-Quella a cui stai lavorando.
Rise di nuovo. -Non è finita Mimì.
-Per favore!- lo pregai, mettendomi a sedere con le gambe incrociate, impaziente. -Mi piace così tanto!
Il ragazzo mi rivolse un'occhiata di storto tirando le labbra in un sorriso malizioso. Si alzò di colpo e andò verso un angolo della stanza, dove vi era una chitarra acustica usurata. La prese e tornò a sedersi, di fronte a me, anche lui a gambe incrociate. Pizzicò un paio di corde per assicurarsi che fosse accordata e, poco dopo, iniziò la magia.
Note dolci invasero la stanza e una brezza fresca - che non sapevo minimamente da dove potesse venire - mosse leggermente alcune ciocche dei miei capelli. Poi Michael cantò.
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Rainy days // Michael Clifford
RandomL'amore è così. Ti travolge quando meno te lo aspetti, ti sorprende e ti fa restare senza fiato. È come una tempesta in estate, di quelle che ti martellano sopra la testa insistentemente e ti stravolgono. E non puoi farci nulla.