MICHAEL
Faceva caldo. Veramente troppo caldo. Non avevo mai passato un'estate stramba come quella. C'erano giorni in cui ci si squagliava e altri in cui veniva giù il mondo. Si alternavano freddo e caldo, umidità e siccità, pioggia e sole. E il mio corpo ne risentiva.
Crollai sul divanetto che c'era nella piccola sala prove a casa di Luke. Mi sentivo distrutto. Forse perché quella notte non avevo dormito bene, oppure perché la festa della sera prima mi aveva stroncato.
Non avevamo iniziato a provare da molto, ma già non ne potevo più. Respiravo a fatica e mi girava la testa.
-Tutto bene Mike?- mi chiese Luke che si era avvicinato a me.
-Basta, ti prego.- brontolai.
-Abbiamo appena iniziato.- affermò il ragazzo biondo, presto raggiunto dagli altri.
-Lo sai che non posso fare sforzi.- mi giustificai.
Il ragazzo mi guardò di storto per qualche istante. -Allora niente sforzi.
Si allontanò da me e andò verso i nostri strumenti. Prese una chitarra acustica e, inaspettatamente, me la lanciò. Fortunatmente riuscii a prenderla al volo e a non farla finire in mille pezzi. -Sei impazzito?- chiesi esterrefatto.
Calum e Ashton, come se niente fosse e come se avessero capito le intenzioni di Luke, presero rispettivamente il basso e la cassa. Il biondo prese un'altra chitarra simile a quella che mi aveva tirato e tornò vicino a me. Mi guardò dall'alto al basso con fare malizioso e mi mostrò un sorriso da furbetto.
-Può darsi.- asserì e uscì dalla stanza, seguito a ruota dagli altri due.
"È impazzito!"
Mi alzai dal divano con la chitarra in mano e raggiunsi i miei amici. Quando li trovai, erano fuori dalla casa, vicino all'auto, intenti a caricarci sopra qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
-Dove andiamo?- chiesi.
I tre si scambiarono occhiate maliziose e poi mi guardarono soddisfatti. -Non fare domande Gordon.- disse Luke che mi aveva tolto lo strumento dalle mani e lo aveva messo nel baule. -Lo scoprirai presto.* * *
Il sole cocente picchiava sulla mia testa, anche se attutito dalle foglie verdi degli alberi. A parte noi, non c'era molta altra gente nel parco più grande della città - che poi, io dico "più grande", ma tanto grande non era. Qualche panchina più in là, un gruppo di amici conversava animamente, qualche coppietta si isolava nei punti più nascosti, per un po' di intimità, e cani a spasso con i rispettivi padroni ci sfilavano davanti ogni dieci minuti.
Mentre osservavo i ragazzi sistemare i vari strumenti ai piedi di un grande tiglio, mi chiesi se mai un giorno avessi avuto la stessa prontezza che avevano avuto Calum e Ashton poco prima. Continuavo a domandarmi come avessero fatto a capire le intenzioni di Luke. C'era una tale empatia tra di loro che quasi sembrava innaturale.
-Sembri spaesato, Mike.- mi disse Ashton che mi si avvicinò. -Tutto bene?
-Sì- biascicai. -Sì tutto a posto.
Il riccio mi sorrise dolcemente e mi appoggiò una mano sulla spalla. -Un giorno lo capirai anche tu.
-Cosa?- chiesi ingenuo.
Una leggera brezza rigenerante mosse le foglie sopra le nostre teste. Alzai istintivamente lo sguardo verso il cielo azzurro.
-Lui.- rispose Ashton facendo un cenno col capo davanti a sè.
Abbassai lo sguardo per vedere cosa stava indicando: il ragazzo biondo intento a sistemare un telo multicolore sull'erba, ancora umida dalle imprevedibili piogge.
-Se non ci fosse lui, non ci saremmo noi.
Sorrisi a quel pensiero così profondo. In quell'istante percepii la profonda stima che Ash aveva nei confronti di Luke. Come seguiva meticolosamente ogni sua mossa, come ne parlava rispettosamente, erano alcuni dei segni di ciò che c'era tra quei ragazzi.
Trascorsi alcuni secondi di silenzio. Il riccio mi guardò, sorrise e si congedò dandomi una leggera pacca sulla spalla.
Forse aveva ragione. Un giorno avrei capito al volo anch'io cosa passasse per la testa a quel ragazzo tanto alto. Avrei fatto le cose senza che me le dicesse, avrei capito con uno sguardo cosa volesse e sarei stato parte di quel mondo veramente. Perché per essere una band non basta avere una bella voce e saper suonare uno strumento. Bisogna farne parte, anima e corpo. E un giorno sarebbe accaduto anche a me, se mai fosse arrivato davvero.
Nel frattempo, avrei dovuto affrontare una delle sfide più grandi che mi si fosse mai presentata. La mia vita non era mai stata una semplice partita a carte, e tanto meno una scatola di cioccolatini. La mia vita faceva schifo. E in quel momento più che mai. Ero in bilico tra l'oblio e la salvezza. Ma più i giorni passavano, più le cose degeneravano. Stavo cambiando e non cercavo nemmeno di negarlo o di rimediare. Era tutto diverso. E faceva male. Perchè ora, quel dolore, faceva parte di me. E dovevo evitare di far provare tutto questo a chi mi stava intorno. Non potevo permettere che Micole soffrisse a causa mia. Non doveva succedere.
Era una cosa tra me e lei. Una sfida personale. Dovevo affrontarla da solo.
Non avevo altra scelta.* * *
MICOLE
Nonostante fossero state le otto di sera, l'aria pesante e calda che era arrivata nel pomeriggio non se ne era ancora andata. Kevin e Giselle erano alla mia cassa, come ogni sera che si rispettasse, e Letisha era alla cassa numero quattro, intenta a leggere una rivista di gossip.
Non le avevo ancora tolto gli occhi di dosso e non sapevo nemmeno perché. Se ne stava lì, tutta tranquilla, come se niente fosse, mentre io mi irritavo soltanto. E continuavo a non sapere il motivo. Pregai che Mike arrivasse in fretta. Ero ansiosa di vederlo, ed era strano. L'abitudine, ormai malsana, che c'era tra di noi stando l'uno con l'altro, era diventata una cosa meccanica. Quel giorno, tuttavia, sentivo la necessità di farmi stringere dalle sue braccia. E più guardavo Letisha e più l'intrepidazione aumentava.
Scossi la testa per distogliermi dai miei pensieri.
-Non ci posso credere.- esclamò Kevin mentre teneva lo sguardo fisso oltre le porte scorrevoli del negozio.
-Cosa?- chiese Giselle guardando nella stessa direzione del ragazzo, cercando di capire cosa fosse frutto di tanta attenzione. Io, ovviamente, feci lo stesso.
-Non avete sentito?- chiese il ragazzo.
-No.- dissi io continuando a non capire.
-Cazzo, vi devo mandare in un pensionato. Ormai siete da buttare.- ribattè ironico lui.
-Cosa avremmo dovuto sentire?- chiese la mia amica.
-Un tuono.
"No. Anche la pioggia no." mi disperai tra me e me. Non potevo credere che, nonostante la cappa di caldo pazzesca, si mettesse anche a piovere. La mia vita stava passando di male in peggio. E Mike non si faceva vedere.
"Come sono drammatica."
-Cristo- si esasperò Giselle. -Avevo appena fatto lavare la macchina!
-Poverina- la prese in giro Kevin. -Te ne compro una nuova se vuoi.
Giselle era il tipo di ragazza che aveva i genitori particolarmente ricchi e che poteva chiedere loro qualsiasi cosa. Era piuttosto viziata, essendo figlia unica, anche se lei sosteneva che non fosse vero. Per questo il nostro amico la prendeva spesso in giro.
La ragazza davanti a me si avvicinò a Kevin e gli tirò uno schiaffo sul braccio. Lui non fece una piega e iniziò a ridere di gusto.
-Piuttosto- esordì Gi leggermente infastidita. -Potresti lavarmela tu, o pagarmi l'autolavaggio.
-Come se stesse piovendo per colpa mia.- ribattè lui.
I due continuarono a battibeccare, ma io non li sentivo più perché in quell'istante le porte si aprirono e ogni mia certezza scivolò via. Kevin aveva ragione. Stava piovendo e anche in modo piuttosto deciso. Un ragazzo entrò nel supermercato leggermente bagnato. Aveva il cappuccio alzato, la testa bassa e le mani nelle tasche dei jeans neri. Alzò per pochi istanti lo sguardo verso di me e smisi di respirare. Era Michael. I suoi capelli non erano più colorati, erano neri, e i suoi occhi spenti, privi di luce.
-Ehi Mike.- provai a chiamarlo, ma lui non smise di camminare e non si voltò verso di me. Rimasi in silenzio a osservarlo. Il ragazzo raggiunse la cassa dove era seduta Letisha e quest'ultima gli mostrò un sorriso raggiante mentre gli lanciava le braccia al collo. E quando il viso di lei si sporse verso di lui e lo baciò con tanta foga, percepii i miei sensi venir meno. Mi mancò il resipro e mentre i due si allontanavano mano nella mano mi accorsi che l'unico rumore presente era quello della pioggia battente. Il rumore del mio cuore che gridava quanto tutto questo fosse sbagliato. Quello che vidi non era il mio migliore amico. Era soltanto una copia mal fatta.× × ×
VI PREGO DI SCUSARMI
Sono stata assente troppo a lungo e vi chiedo scusa, ma PURTROPPO frequento la quarta del liceo linguistico... e ho detto tutto. .-.
Non vi posso promettere di essere più attiva, ma farò il possibile, promesso. C:
Vi chiedo ancora scusa, spero che il capitolo sia di vostro gradimento anche se è più corto del solito.
Grazie della comprensione♡
~Vale
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Rainy days // Michael Clifford
RandomL'amore è così. Ti travolge quando meno te lo aspetti, ti sorprende e ti fa restare senza fiato. È come una tempesta in estate, di quelle che ti martellano sopra la testa insistentemente e ti stravolgono. E non puoi farci nulla.