Momenti Di Libertà Con Gli Amici

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C'erano giorni che sembravano senza fine, e poi c'erano quelli che, pur essendo brevi, erano come un rifugio. Quelli passati con i miei amici erano quei momenti in cui riuscivo a respirare, a sentirmi vivo, a dimenticare per qualche ora le tensioni che mi attanagliavano a casa. Con loro ero semplicemente Marco, senza etichette, senza giudizi, senza paure. Eravamo come fratelli, uniti da una complicità che non avevo mai trovato in nessun altro posto.

Non c'era bisogno di fare nulla di speciale per stare bene insieme. Bastava esserci, semplicemente. A volte ci trovavamo in un angolo della città e facevamo le cose più impensabili, ma quelle erano le cose che mi facevano ridere, che mi facevano sentire che avevo ancora un pezzo di infanzia da vivere.

Uno dei nostri passatempi preferiti era fare scherzi. Erano sciocchezze, ma per noi erano pura adrenalina. Ci mettevamo a suonare i campanelli delle case e scappavamo via ridendo, sentendo il suono delle porte che si aprivano e le voci confuse che cercavano di capire chi fosse stato. Le risate erano contagiose, e non ci importava nulla di chi ci avrebbe scoperti. Quella libertà di fare qualcosa di stupido e di ridere insieme mi dava un senso di felicità che non avevo mai provato prima.

Poi, c'erano i pomeriggi in cui ci mettevamo a guardare le macchine che passavano per la strada. Non avevamo niente di meglio da fare, ma quell'attività aveva qualcosa di speciale. Non era tanto il guardare le auto, ma il modo in cui cercavamo di scoprire dove andavano, chi c'era dentro. A volte, facevamo il segno ai camionisti, e loro rispondevano suonando il clacson. Era un gesto così semplice, ma in quei momenti, sembrava che tutta la città fosse nostra. La strada, le macchine, i camionisti che rispondevano al nostro saluto con un suono di clacson: erano tutti piccoli pezzi di un mondo che sentivo più mio che mai.

Mi sentivo libero con loro. Era come se, per qualche ora, non importasse niente di ciò che stava succedendo a casa, non importava nulla di quello che mi aspettavo una volta tornato. Con i miei amici, il mondo era un posto più leggero, più divertente, e mi faceva sentire che c'era ancora speranza, che forse la vita non doveva essere solo un susseguirsi di dolore e preoccupazioni.

A volte, anche dopo aver fatto il nostro giro di scherzi e risate, ci fermavamo in un angolo a parlare, a raccontarci storie assurde o a sogno a occhi aperti su come sarebbe stato vivere in un mondo senza problemi, senza obblighi. Mi piaceva sentire le loro risate, il suono di quelle voci che, per un attimo, mi facevano dimenticare quanto fosse difficile il mio mondo reale.

Mi resi conto che, pur non avendo una famiglia che mi sostenesse, avevo trovato in loro qualcosa che ci si avvicinava. Erano i miei fratelli, quelli che avevano saputo ascoltarmi quando avevo bisogno di farlo e che mi facevano sentire come se tutto fosse possibile. In loro trovavo una forma di amore che, anche se diversa, mi dava quella speranza di cui avevo tanto bisogno.

Quei momenti, così semplici e puri, mi facevano sentire che avevo qualcosa per cui sorridere. E in quei sorrisi, in quelle risate, c'era più di quanto avessi mai trovato a casa. Era la certezza che, sebbene il mio percorso fosse tortuoso, avevo almeno qualcuno che mi capiva, che mi stava vicino. E quei piccoli gesti, come il suono del clacson dei camionisti o le risate durante uno scherzo, erano la dimostrazione che, nonostante tutto, c'era ancora qualcosa di bello nel mio mondo.

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