Il Ritorno Alla Realtà

27 3 0
                                    

Ogni volta che rientravo a casa dopo una giornata passata con gli amici, mi sembrava di tornare indietro nel tempo, come se ogni sorriso che avevo vissuto si scontrasse con la realtà di quella porta che si chiudeva dietro di me. Non importava quanto avessi cercato di dimenticare il dolore per qualche ora, una volta varcata la soglia di casa, tutto tornava come prima: le urla, le punizioni, le parole taglienti che avevo imparato a temere.

I miei genitori non vedevano di buon occhio i miei nuovi amici. Per loro, erano solo una distrazione, una minaccia a quello che volevano per me. Non capivano che quei ragazzi mi facevano sentire vivo, che mi davano una sensazione di normalità che non avevo mai conosciuto. Non volevano che frequentassi quella compagnia, convinti che mi stessero portando fuori strada, che fossero una cattiva influenza.

"Non hai bisogno di loro," diceva mio padre, con la sua voce dura, come sempre. "Non vedi che non stanno facendo nulla di buono per te? Stai solo perdendo tempo con loro."

E mia madre, se possibile, era ancora più severa. "Quelli non sono amici, Marco. Se passassi più tempo a studiare, invece di fare il pagliaccio con loro, forse avresti dei voti decenti."

Ogni volta che tornavo a casa, mi sentivo come se dovessi giustificarmi, come se fossi sempre sotto interrogatorio. Non importava se ero stato fuori con gli amici, se avevo riso o mi ero divertito. Il mio valore si misurava solo in base ai voti, alle aspettative che avevano su di me, e il resto non contava.

"Marco, dove sei stato?" mi chiedeva mio padre, con la voce che tradiva già un'accusa. "Che cosa stavi facendo? Perché non studi? Hai fatto i compiti?"

E le domande continuavano, una dietro l’altra, come se il mio tempo fuori fosse solo un crimine da spiegare. Non c'era mai un momento in cui non dovessi rispondere a tutti i "perché". Ogni domanda mi faceva sentire sempre più piccolo, come se dovessi giustificare ogni istante della mia vita, ogni singolo passo che facevo lontano da casa.

Non potevo dire che ero felice, perché loro non lo avrebbero capito. Non avrebbero mai capito che il mio bisogno di stare con gli amici non era solo per divertirmi, ma per trovare un po’ di calore, per sentirsi accettato. Non avevo bisogno di parole vuote, avevo bisogno di qualcuno che mi vedesse per quello che ero, senza giudicarmi. Ma quel qualcuno non c’era a casa.

La mia vita a casa era fatta di silenzio, domande e sensi di colpa. Ogni parola, ogni gesto che facevo sembrava scatenare una tempesta di rimproveri. Ma più mi facevano sentire in colpa, più mi rendevo conto che quegli amici, quella compagnia che avevo trovato, erano l'unica cosa che mi dava la forza di andare avanti. Ogni giorno con loro mi dava una ragione in più per sperare che un giorno le cose sarebbero cambiate.

la luce nel buio  Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora