La Maschera Della Felicità

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A scuola ero diverso. Lì, lontano dagli sguardi freddi di casa, potevo finalmente lasciarmi andare. Ero vivace, allegro, sempre pronto a scherzare e a far ridere i miei compagni. Quando ero con loro, riuscivo a nascondere quello che sentivo davvero, quella tristezza profonda che a casa non potevo evitare. A scuola nessuno sospettava nulla, perché io non mostravo mai quello che avevo dentro. I sorrisi erano la mia maschera, la mia armatura contro il dolore.

Sapevo che i miei compagni mi vedevano come il ragazzo felice e spensierato, quello che non aveva problemi e riusciva a divertirsi sempre e comunque. Forse, se mi guardavano così, era perché in fondo ci speravo anch'io, che le cose potessero essere diverse. Mi impegnavo a far credere agli altri, e anche a me stesso, che tutto andava bene. Ma ogni risata, ogni battuta, era solo un modo per tenere a bada le lacrime.

Alcune volte, i professori mi rimproveravano per l'eccessiva vivacità, e i miei compagni ridevano di questo. Mi piaceva, in un certo senso, attirare l'attenzione su di me a scuola, perché sapevo che almeno lì non ero invisibile. Forse i miei voti non erano sempre eccellenti, ma i miei amici mi apprezzavano per quello che ero. Non ero un fallimento agli occhi di nessuno.

Ma ogni volta che la campanella suonava e il giorno scolastico finiva, quel nodo allo stomaco si ripresentava. Tornare a casa significava indossare un'altra maschera, quella dell'obbedienza e del silenzio. Le battute, i sorrisi, le risate di scuola si spegnevano. Sentivo ogni passo avvicinarmi a un mondo che non mi apparteneva, un mondo dove non c'era posto per me.

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