76. La paura

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L'esigenza di sentirsi inadeguati chissà come, quando ti si appiccica addosso. Non te la togli più, anzi la esibisci come fossi al gran teatro. Ci vai a spasso, la trattieni per la mano ne fai sposa, amante e compagna.

C'è carne che brucia sotto lo specchio di quest'anima confusa. Indaga, si interroga, si infiamma e si accusa. Non smette un secondo di girarsi, capovolgersi, lacerarsi per ricomporsi.

Ti chiede di raccontargli chi sei, cosa ne hai fatto del coraggio, del buttarsi a capofitto nelle cose, situazioni, fogli, frasi, fatte. Inerme se ne sta in un angolino in attesa di un ... com'è che dice? Un secondo che valga una vita intera?

Ma se la vita intera ti passa tra le dita e tu la lasci andare. Occupi la mente con pensieri che pensavi non ti sfiorassero mai. Non a te. Non tu che vai a capofitto, non ti lasci condurre dove gli altri vorrebbero. Dove gli altri ti vorrebbero. Ti immaginano.

Ascolti solo la tua inadeguatezza alla vita adesso. Prima c'erano urla incessanti di dolore. Carezze dolci notturne. Braccia sicure dove rifugiarti. Adesso a quelle braccia fatichi ad avvicinarti.

Gli occhi dicono verità ponderate incessanti, che solo il suo sguardo riesce a percepire. C'è paura di renderti cristallo. Di farti andare in mille pezzi. Chi è poi che assembla quel mosaico difficile, buio, da cui con fatica cerchi di riemergere.

Mi stringe la mano per tenermi ancorata a ciò che sono. Ed io lo so che gli occhi, i suoi sono gli unici, che possono, che hanno quel potere che a nessuno è dato sapere di avere.

Tienimi ancorata a questa vita, glielo sussurro la notte. C'è vuoto, ma tu continua a stringermi, prometto di tornare sempre.

La notte scura mi fa impazzire, rende le mie fragilità vere. La sera quando mi viene sonno, crescono le urla nello stomaco, come se ne sentisse la mancanza di quel malessere aleggiante, sicuro, doloroso.

La mia mente torna alle cose brutte come se senza quelle io non fossi più io. La mia pelle ha cambiato colore, odore, consistenza. Mi sono liquefatta. Sono diventata il promemoria delle mie cicatrici. Non ho più voce. Niente da raccontare. Niente da condividere. Sto impazzendo. L'inadeguatezza dei rapporti umani è tornata radicata, scorre nelle mie vene, defluisce dal cervello, pompa nel cuore, invade i miei arti.

Mi rende liquido.

Mi sto liquefacendo.

Trasformando.

Mi manco.

Mi manca.

Non so che farci, io, con la mancanza.

Crepa(il)cuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora