Capitolo 3

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-Uno hobbit e tredici ... Nani.

Non potevo credere alle mie orecchie.

Gli hobbit di rado si allontanavano così tanto dalla loro amata Contea, se non per grandi necessità, e solitamente non mostravano alcun interesse verso quello che succedeva fuori dai confini della loro terra. Erano un popolo pacifico, che conduceva una vita semplice e amava il cibo, bere e dare feste che duravano anche giorni.

Durante tutto il tempo trascorso nella Terra di Mezzo, non ne avevo mai conosciuto uno e quella sembrava l'occasione perfetta per conoscere quel popolo che tanto ammiravo per il loro odio della guerra. Infatti gli hobbit non usavano armi, bensì preferivano utilizzarle come oggetti ornamentali da appendere alle pareti.

Quasi li invidiavo: quante volte avevo desiderato condurre una vita semplice e tranquilla, senza mai conoscere l'orrore della guerra, la solitudine, il dolore; quante volte avevo desiderato avere una vita normale, crescere con la propria famiglia nella propria casa, nella propria terra. Ma soprattutto quante volte avevo desiderato vivere con chi amavo di più al mondo.

Invece i Nani li conoscevo bene.

Durante la mia assenza a Gran Burrone, per alcuni anni avevo vissuto vicino ai Colli Ferrosi dove dimorava gran parte del Popolo di Durin, il più antico e grande tra i sette clan dei Nani.

I Nani erano simili agli , ma di piccola taglia e di fisionomia robusta, caratterizzati da lunghe barbe. Lavorano instancabilmente e incessantemente nelle loro miniere, attratti con persistenza dai metalli preziosi. In un primo momento mi erano sembrati egoisti, per la loro avarizia e le loro esigenze materialistiche, da sempre motivo di contrasto tra i nostri popoli.

Ma quando ero arrivata nella loro terra mi avevano accolto con rispetto, come se fossi una loro regina, facendomi cambiare totalmente opinione su di loro. I Nani erano leali oltre ogni misura, profondamente legati tra di loro, e pieni di coraggio. Più volte avevano coperto le mie tracce dagli Elfi che mi cercavano, dandogli false notizie, mettendo tutti in loro in pericolo: non era mai saggio mentire agli Elfi, ma per me lo avevano fatto.

Loro capivano il mio desiderio di non essere trovata.

Dopo alcuni anni dovetti lasciarli, per non metterli ulteriormente in pericolo, e per ringraziarli gli diedi in dono alcuni frammenti del ciondolo che mi avevano donato i Valar e che avevo raccolto da terra dopo essere stato distrutto da Sauron davanti ai miei occhi. Essi ne rimasero meravigliati: per loro la bellezza e il valore, quei frammenti andavano fuori d'ogni misura. Mi promisero che li avrebbero tenuti al sicuro nei loro forzieri, come se fossero un enorme tesoro, e che mai avrebbero dimenticato il mio gesto.

-Fammi strada amico mio- dissi a Lindir.

Lo seguii all'interno del palazzo e appena misi piede nell'ampio ingresso mi sentii finalmente a casa. Era passato così tanto tempo da quando non sentivo l'odore familiare dei fiori appena sbocciati e dei libri antichi ordinati in alte librerie. La luce del sole illuminava la stanza e lo scroscio delle cascate riempiva l'aria.

-Ti era mancato, dico bene?

-Non sai quanto ma ... non potevo tornare.

-Perché?

Ecco la domanda che temevo di più.

-Perché qui ho troppi ricordi di lui, che prima o poi mi avrebbero logorata dall'interno. Non potevo rimane un giorno di più, dovevo fare qualcosa. Dovevo ritrovarlo. In questo momento stanno riaffiorando tutti i ricordi, tutto quello che ho cercato di tenere da parte in questi anni, per non cadere ancora nel dolore. Ovunque io guardi, vedo lui: lo vedo aspettarmi qui all'ingresso per andare a passeggiare nel bosco, lo vedo sfogliare uno di questi libri, assorto nella lettura e con un grande desiderio di conoscere, sdraiato su questi cuscini e con la luce del sole che gli illuminava il volto.

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