Capitolo 17

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Continuavo a camminare, seguendo le tracce del Principe dei Corvi ancora fresche sul terreno fangoso ricoperto da innumerevoli foglie secche, ed aggrappandomi ai rami degli alberi per riuscire a sorreggermi. Più mi addentravo nella foresta, più facevo fatica a respirare e la cicatrice sul petto sembrava essere sul punto di riaprirsi per quanto bruciava. Al contrario la ferita al fianco che mi era stata inflitta da Davoch non si era ancora rimarginata del tutto, forse dovuto ad un altro degli strani effetti di Bosco Atro.

La Fiamma si stava indebolendo.

I rovi mi graffiavano continuamente, tanto che iniziai a non sentire più i palmi delle mani per quanto erano lacerati dalle spine. Grosse ragnatele ricoprivano le chiome degli alberi, avvolgendole quasi completamente nei loro lunghi fili biancastri, contrastanti con l'oscurità di quella tetra foresta. Tra i rami riuscivo a percepire dei veloci movimenti: i mostruosi autori di quelle tele non erano molto lontani, ma stentavano ad avvicinarsi.

Avanzai nelle tenebre per un tempo che mi sembrò infinito, ero ormai sul punto di interrompere l'inseguimento per permettere alle ferite di rimarginarsi del tutto, quando davanti ai miei occhi comparve un'antica fortezza abbandonata: Dol Guldur, un tempo chiamata Amon Lanc.

Era stata la grande reggia degli Elfi Silvani di Oropher, prima che di essere conquistata dalle forze di Sauron al tempo in cui egli aveva sottomesso gran parte delle Terre Selvagge grazie al potere dell'Unico Anello. Gli Elfi Silvani dovettero quindi abbondare quella maestosa fortezza, rifugiandosi nella parte più a Nord di Boscoverde il Grande. Dopo che Sauron venne sconfitto a Mordor, Amon Lanc non fu più abitata a causa della grande oscurità che l'aveva avvolta, finendo così per diventare una rovina.

Le impronte lasciate da Davoch finivano in un piccolo spiazzo roccioso, esattamente di fronte al ponte di pietra che conduceva alla fortezza. Come struttura era simile a quello presente ad Imladris, ma alcune parti dei bordi erano crollate nel vuoto, mentre i pochi pilastri che lo reggevano sembravano sul punto di cedere.

La parte più ragionevole di me stessa mi diceva di non proseguire, di non entrare in quella fortezza oscura. Eppure l'odio che provavo per il Principe mi incitava a non dare retta a quella voce interiore: desideravo vederlo soffrire, esattamente come lui aveva fatto nei confronti di innumerevoli persone innocenti.

Avanzai con cautela, riflettendo bene su dove appoggiare i piedi; nonostante la leggerezza tipica degli Elfi il ponte avrebbe potuto crollare da un momento all'altro, ed io non avevo le forze di invocare la Fiamma per volare. Varcai uno stretto arco dalla punta acuta, avvolto da grossi rovi rampicanti, e subito fui investita da un vento gelido che mi fece rabbrividire fino alle ossa. Vi era un silenzio quasi surreale, come se il tempo si fosse fermato. Iniziai a camminare per stretti corridoi, alcuni senza neanche più un soffitto, le cui macerie impedivano di passare con facilità; il sole era coperto da una fitta coltre di nuvole e nebbia che ricopriva l'intera fortezza, lasciandola perennemente nelle tenebre.

Il palazzo si estendeva in altezza, con alte torri erose dal tempo, mentre all'interno era una sorta di labirinto di corridoi che portavano a piccoli ambienti, un tempo sfarzose sale o splendidi giardini interni. Le piante rampicanti sembravano aver avvolto nelle loro spine l'intero palazzo, aumentando così il senso di oppressione e di malessere che provavo nell'attraversarlo.

In una mano reggevo la spada, imbrattando l'elsa con il mio sangue, mentre l'altra continuava a premere sulla cicatrice a mezzaluna sul petto, sempre più fastidiosa e dolorosa oltre ad ogni limite di sopportazione. Era come se sentissi di nuovo la lama del pugnale squarciare la mia pelle, privandomi così della vita.

Arrivai ansimante in un ultimo locale, molto più grande degli altri: il soffitto a cupola era ancora parzialmente integro, e mostrava maestosi affreschi ormai rovinati dal tempo e coperti dai rovi, mentre il pavimento di pietra grigia era crepato dai massi caduti e da numerose piante velenose che erano cresciute lottando contro la fredda roccia.

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