Ore 13.00

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ORE 13.00

Saliamo in macchina e, senza aspettare che io abbia comodamente preso posto accanto a lei, Eva parte. Cado malamente dal sedile, finendo sul tappetino grigio dove della muffa verdastra sta lentamente prendendo possesso di alcuni rimasugli di un panino, semi nascosto in un sacchetto giallo brillante. Dopo averlo brevemente annusato storco il naso schifato e anche il mio stomaco, perennemente affamato, mi proibisce di provare ad assaggiare quegli avanzi maleodoranti. Mi arrampico nuovamente sul sedile e poi miagolo per richiamare l'attenzione della giovane alla guida.

Lei mi guarda con aria divertita, credo abbia visto tutta la scena perché mi promette che, prima di raggiungere la nostra destinazione, faremo un breve sosta in un supermercato.

Strabuzzo gli occhi e tento di saltarle in braccio, ma l'unico risultato che riesco ad ottenere è quello di farla sbandare nella stretta stradina circondata da alti pioppi. Dopo averne mancato uno per un pelo, la donna mi intima di accomodarmi sul sedile posteriore ed io obbedisco senza troppi miagolii di disappunto.

Inizio a scrutare fuori dal finestrino sperando che il tempo passi più velocemente. Ovunque guardi vedo solo quegli alberi rinsecchiti che protendono i loro rami spogli verso il cielo bianchiccio, come se volessero invocare un sole che, però, non arriva. Sto ancora contemplando quel paesaggio monotono quando comincio a scorgere le prime abitazioni: ormai dovremmo essere quasi arrivati.

Miagolo contento e, guardando di sottecchi la giovane, mi azzardo a tornare sul sedile davanti. Eva non ci fa caso perché, non appena io mi rannicchio nuovamente vicino a lei, spegne la macchina.

La tappa al supermarket è davvero rapida come mi aveva accennato. La donna scende con i soldi contati e, in meno di cinque minuti, è già di ritorno con le braccia colme di scatolette e pacchetti che decantano la bontà del prodotto all'interno.

"Non so cosa ti piace" bisbiglia "Quindi ho preso un po' di tutto" conclude giocherellando con un lembo della sua giacca verde militare, come se fosse imbarazzata. Più probabilmente avrà paura di essere vista da qualcuno mentre parla con un animale.

"Apriremo la carne quando arriveremo a casa della signora Shaw" si ferma nel mezzo del discorso e poi, ingranando la marcia, sussurra qualcosa che non riesco a sentire.

Il tragitto è abbastanza breve; dopo aver parcheggiato in un grande spiazzo, la donna apre una scatoletta contenete filetti di pollo con ananas. Non so perché un gatto dovrebbe mangiare anche della frutta con la carne, ma il sapore non è male, quindi finisco il cibo in pochi bocconi. La giovane, che è rimasta ferma a fissare la grande villetta azzurra, quando nota che ho già mangiato tutto, mi fa cenno di seguirla.

Arriviamo al portone e, dopo aver suonato il campanello, ci viene ad aprire la stessa donna dell'ultima volta.

Eva, passandosi una mano tra i lunghi capelli corvini, chiede gentilmente se posso entrare anche io; nonostante la faccia disgustata della cameriera, questa volta mi permette di varcare la soglia.

Già dall'anticamera si può notare l'opulenza di questa abitazione: appoggiati a delle mensole di legno pregiato, alcuni oggetti, dalle svariate forme, rifrangono la luce che proviene da lampadari di cristallo creando così degli arzigogolati ghirigori sulle pareti tappezzate da quadri di inestimabile valore.

Passiamo attraverso alcune stanze finemente arredate, quando un bagliore cattura la mia attenzione. Noto un meraviglioso acquario inserito all'interno di una parete divisoria. Sui muri bianco sporco, dei riverberi bluastri danno l'impressione di essere davvero sott'acqua.

Rapito da quella visione, mi fermo a contemplare pesci esotici dai colori talmente brillanti che, per un istante, dubito siano reali. Sto ancora fissando con aria ingorda uno splendido pesce pagliaccio, quando mi rendo conto che sia la cameriera che la mia umana sono sparite. Dicendo addio a quello che sarebbe stato un fantastico spuntino, mi accingo a cercarle.

Non so quale direzione dovrei seguire, quindi mi affido al mio istinto. Uscendo da quel salotto decido di svoltare a destra e mi trovo così di fronte a una porta semiaperta. La spingo leggermente con una zampa e questa si apre appena: devo essere nello studio della padrona di casa, me lo suggerisce l'arredamento piuttosto formale. Sul fondo della stanza, davanti a una finestra con un piccolo divanetto crema, è presente uno scrittoio con degli elaborati intarsi; alle pareti delle cornici dorate contengono alcuni fogli dall'aria importante, come se fossero dei riconoscimenti speciali. Accanto a questi ci sono delle foto: una bellissima ragazza bionda è seduta su una poltrona rossa, in braccio tiene un fagottino azzurro, mentre, alle sue spalle, un uomo guarda entrambi con occhi adoranti. Successivamente, la stessa donna, è immortalata mentre porge una mela verde a un bambino con un grembiulino azzurro e una cartella marrone sulle spalle. Svariate fotografie si susseguono e mostrano sempre gli stessi due soggetti: una madre amorevole e un figlio diletto.

Do un'ultima occhiata alla stanza e decido di proseguire dato che, chiaramente, Eva non si trova qui. Sto per uscire quando la porta si spalanca ed entra proprio la mia umana con la signora Shaw. Quest'ultima si sta tamponando gli occhi scuri con un bel fazzoletto ricamato e, indicando una foto appesa alla parete, sussurra: "Ebbene sì, signorina Tilulla, Alex Mancuse era mio figlio."

Le quattro regine [momentaneamente sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora