Ore 18.30

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ORE 18.30

Ci impieghiamo più tempo del previsto per raggiungere la casa di Eva dato che lei, decidendo di volersi distrarre per qualche minuto dall'intricato caso che le sta ininterrottamente affollando la mente con domande alle quali non riesce a trovare una risposta, allunga la strada passando attraverso viuzze a me sconosciute. L'aria che si respira per queste stradine non ha nulla a che vedere con quella del centro città, solitamente satura di piccole e fastidiose particelle grigiastre dall'odore disgustoso. Passando accanto al fiume che serpeggia lungo il borgo, ho l'occasione di osservare, per la prima volta in assoluto, quelle meravigliose acque che, sebbene non siano limpide, evocano un benessere che riesce a saturare la mente e il corpo con una ritrovata vigorosità e gioia.

Sono quasi deluso quando, dopo un'ora di cammino, scorgo il deprimente palazzo nel quale la mia umana vive. Lei, lanciandomi un fugace sguardo, sospira, comprendendo la mia amarezza.

Una volta raggiunto il suo appartamento, stremato, mi accoccolo sull'appiccicaticcio parquet emettendo solo qualche versetto di disappunto; scavalcandomi con noncuranza, la donna entra in cucina e qualche minuto dopo un profumo delizioso si spande tra le mura di questa vecchia casa: non avrei mai osato sperare che quel paradisiaco aroma sarebbe potuto, un giorno, tornare ad inebriare le mie giornate, eppure adesso è qua con me, una presenza tangibile che, spargendosi tra le stanze, mi porta alla memoria vecchi ricordi inevitabilmente sbiaditi dallo scorrere del tempo. Non posso fare a meno di intristirmi, anche se adesso so che Eva mi vuole bene e anche io provo lo stesso affetto per lei, ci sarà sempre un pezzettino della mia memoria che, sbadato, correrà tra le braccia di Maggie e dei miei vecchi padroni.

Sono ancora intento a rimuginare sopra questo fatto quando, inaspettatamente, suona il citofono. La donna, raggiungendo il salotto con indosso un grembiule macchiato da chissà quale intruglio, risponde e, alzando gli occhi al cielo, apre rassegnata.

"È la nostra scorta Micio." mi spiega, ridendo amaramente. So bene che non si è incupita per il fatto di avere un poliziotto a casa che controlla i nostri spostamenti, eppure sono convinto che Eva sperasse con tutta sé stessa che fosse arrivato qualcun altro.

Ancora intento a ipotizzare congetture, non mi rendo neppure conto che l'agente è entrato in casa e, osservandomi con disprezzo, inizia a starnutire senza sosta.

La mia umana, nascondendo un sorriso involontario con una pattina, gli propone di cenare con lei, lui, senza distogliere gli occhi dal mio manto, accetta con uno sbrigativo cenno del capo e, quasi correndo, si dilegua oltre la porta della cucina.

Non riuscendo più a trattenersi, la donna emette un leggero risolino che spazza via ogni traccia di tristezza dai suoi meravigliosi occhi marroni. Alzandomi e strusciandomi contro i suoi polpacci, miagolo nella sua direzione e lei, sollevandomi da terra, mi posiziona sul pianerottolo, chiedendomi scusa e spiegandomi che, dato che quel ragazzo è così allergico al mio pelo, io non posso proprio stare in casa.

Cercando di mostrarmi superiore rispetto alla situazione, mi volto e mi lecco una zampa con noncuranza. Eva, sbuffando leggermente e passandosi una mano tra i capelli, mi dà un ultimo buffetto sulla testa e poi chiude l'uscio.


Le quattro regine [momentaneamente sospesa]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora