~ CAPITOLO I ~
ATTRAZIONE FISICA
"L'attrazione iniziale rappresenta la prima fase di un rapporto d'amore e nella maggior parte dei casi è puramente fisica."
Finito il pranzo, che a mio parere somigliava più a pranzo, cena e spuntino di mezzanotte, i parenti rimasero per alcune ore da noi, gustando un ottimo tè al latte.Mentre i "grandi" erano di sotto a degustare quel "digestivo", noi "piccoli" eravamo di sopra a girare, di nuovo, una bottiglia di champagne vuota.Il nostro gioco della bottiglia non era nulla di sconvolgente dal punto di vista sessuale. Mi spiego: sì, c'era "sesso", ma parlato, non attuato. A turno, ognuno di noi sette, doveva girare la bottiglia e a seconda di dove puntava il collo di quest'ultima la persona che aveva girato doveva fare una domanda inerente al sesso o alla vita sessuale dell'altro o comunque inerenti al sesso.Sì, è una cosa da pervertiti, ma essendo tutti e sette in piena crisi ormonale, chi più e chi meno, avevamo bisogno di esternare certe "voglie". E poi era anche istruttivo, ci si davano dei consigli e chi sbagliava insegnava agli altri come non sbagliare.Io, in tutta quella combriccola, ero l'unica vergine, e a causa di quello venivo tempestata di domande più personali.Toccava a Jenny girare.Eravamo tre ragazze e quattro ragazzi, ma erano i ragazzi a prevalere su di noi, un po' perché noi ragazze li lasciavamo fare e un po' perché erano sempre molto rispettosi e non si approfittavano di noi, facendoci fare le sguattere o cose varie. Gli zii li avevano educati per bene.La bottiglia puntò esattamente su di me, come se fosse stato tutto già calcolato. Erano venti minuti che stavamo giocando e non era mai caduta su di me.Ci fu un "oh" collettivo. Tutti noi sapevamo che Jenny era una vera stronza in fatto di domande personali, ma dato che l'ultima volta mi avevano chiesto di tutto, speravo, o meglio, credevo, che non mi avrebbe fatto altre domande inerenti alla masturbazione.«Eccoci di nuovo a Lea....Dimmi, cara la mia cuginetta pervertita, hai mai sfiorato la parte più delicata di un uomo?» domandò risoluta.«Oh, Dio....Da quello che mi ricordo no...» continuavo a pensare, ma non mi veniva in mente nulla.«Ne sei sicura? Non ricordi quando venisti con me e Trevor al bioparco e tu sfiorasti per sbaglio, con la mano, il pantalone di Trevor?»«COSA?!» domandammo tutti noi.Non mi ricordavo nulla. Avevo al massimo cinque anni! Nemmeno sapevo di essere stata ad un bioparco con Trevor, Jenny e gli zii!Ovvio che lei se ne ricordava! Aveva già otto anni!Mi girai verso Trevor, al mio fianco che guardava allibito sua sorella più grande di tre anni.«Ma ero piccola! E poi era successo per sbaglio!» cercai di proteggermi.«No, mia cara. Prima accetterai che sei una sotto specie di ninfomane, prima avrai ragazzi che ti faranno passare le tue voglie da predatrice» disse con tutta la calma possibile.Lei era laureata in psicologia, stava facendo la specializzazione ed era un portento. La maggior parte delle volte riusciva a capire esattamente cosa ti passava per la testa, anche se tu non avevi parlato.Per tutti noi era una specie di seconda madre. Aveva cresciuto ognuno di noi, si era presa cura prima di me, Trevor e Kevin, dopo due anni dalle nostre nascite erano nati Matty, fratello di Kevin, e Susan, sorella di Troy, il più grande in assoluto. Lui aveva già venticinque anni, e sì, poteva crescerci lui, ma era sempre impegnato con il rugby.Che poi loro erano una parte di parenti, erano i figli dei fratelli e della sorella di mamma, papà aveva anche lui tre fratelli, tutti maschi, e ognuno di loro aveva minimo tre figli.Non so per quale motivo ma i miei avevano deciso di fare solo me. A detta loro gli bastavo io, e non avevano tutti i torti!Ma tornando a quel gioco da pervertiti. Jenny continuava a guardarmi. Potevo metterci la mano sul fuoco: prima di partire mi avrebbe presa in disparte e mi avrebbe detto che dovevo trovarmi un ragazzo e se non ne volevo uno dovevo almeno trovarmi un "amichetto". Cosa facile! Certo!Il gioco continuò normalmente e fu il momento di Troy.Nessuno di noi provava più imbarazzo, eravamo così affiatati che poche domande ci mettevano in difficoltà. Vabbè! Io ero un caso a parte!«Kevin mi ha detto che ancora non hai trovato nessuno...»Trevor si era avvicinato di più e mi stava parlando a bassa voce per non farsi sentire dagli altri che stavano creando un putiferio, dato che Matty se ne era uscito chiedendo a Troy se alla sua ragazza le piacesse di più la penetrazione anale rispetto a quella "tradizionale". Troy non gli voleva rispondere, secondo lui era una cosa troppo personale. Ma secondo me non aveva ancora fatto nulla con la sua nuova ragazza.«E da quando Kevin va a dire in giro i fatti miei?» con lo sguardo seguivo la bottiglia che aveva ripreso a girare per poi puntare contro Jenny.«Da molto! Dai, non ti arrabbiare. Certe cose le dice solo a me...Lea, siamo cresciuti insieme, non sentirti in imbarazzo a parlare di certe cose con me o con noi...» indicò di sfuggita gli altri.«Mi sento in imbarazzo perché voi me lo chiedete sempre! Provato a non domandare più, poi vedrete che verrò io a cercarvi per dirvi le cose» gli sorrisi girandomi verso di lui.Era simpatico Trevor, era sempre dolce e affabile, Jenny, infatti, se lo godeva appieno: ogni volta che avevano tempo uscivano e si divertivano insieme. Io essendo figlia unica passavo molto tempo con loro, per mia scelta, e loro passavano del tempo con me, non ero un peso, non facevo mai i capricci e se mi dicevano di stare ferma io lo facevo. Infatti gli zii spesso mi portavano in vacanza con loro, perciò mi facevo le vacanze con i miei genitori e poi partivo con gli zii, in pratica partivo ogni anno, più volte l'anno.Forse dovevo ritrovare la voglia di passare del tempo con le persone davvero importanti per me e tralasciare il benedettissimo colpo di fulmine che, effettivamente, più lo aspettavo e lo desideravo più lui tardava a venire.
«Jenny, lo so cosa vuoi dirmi. E la risposta è sempre la stessa!» la fermai sul nascere.Eravamo ancora in camera mia, ma eravamo solo noi due perché la piccola e tenera Jenny mi aveva tenuta per il braccio per farmi restare lì con lei. Non aveva ancora parlato che io l'avevo già preceduta.«Tranquilla, Lea. Volevo solo darti una buona notizia» mi sorrise.«Oh...Scusami....» mi andai a sedere sulla poltroncina della scrivania.«Lo sai che da un po' esco con un ragazzo, no?» annuii.«Bene. Ieri sono stata a casa sua e per puro caso ho scoperto che suo padre insegna alla London University e che è amico stretto del direttore. Ora a te sta la scelta: provare di nuovo con l'esame o startene qui a piangerti addosso senza ritegno aspettando che qualcuno di abbastanza decente ti sposi e che poi t'ingravidi così da fare la donna di famiglia» ecco chi era Jenny, una che andava dritta al punto.«Ma dovrò aspettare un anno per rifare l'esame...» le ricordai.«Lea, svegliati che l'acqua calda l'hanno scoperta da un paio di secoli! Il direttore è un amico strettissimo del padre di Josh, il mio ragazzo, perciò si è reso disponibile di farti fare l'esame, di nuovo!» si sporse in avanti.«Ragiona, Jenny. Il padre di questo Josh, il tuo ragazzo, non può aver persuaso così bene il preside da potermi far fare un esame di ammissione a corsi già iniziati! È impossibile!» provai a spiegarle meglio la situazione.«Ma allora sei di coccio! Lea! Uno ha dato forfè all'ultimo momento e si è liberato un posto! L'università sta richiamando tutti i primi dieci con i voti "migliori" per far rifare l'esame e prenderne uno! Capisci che potrebbe essere la tua occasione?! Ne ho già parlato con la zia e per lei va più che bene! Lea, sono tutti stanchi e preoccupati di vederti in questo stato! Sei così brava ed hai così tanta passione che fai un baffo al miglior chirurgo del mondo! Perciò ritira fuori i libri, studia più delle altre volte e va lì facendo vedere chi sei veramente! L'esame lo avrai il ventisei di Novembre, alle nove devi essere lì e mi raccomando, non farmi fare brutta figura! Ho garantito al padre di Josh che sei molto molto brava!» posò la mano sulla maniglia della porta e se ne andò.Restai un po' imbambolata a pensare. Avevo voglia di farlo, ma la paura di fallire ancora, mi bloccava.«Lea! Vieni a salutare la nonna!» mi urlò mamma.Alzai gli occhi al soffitto e sbuffai, per poi alzarmi e scendere le scale.«Mamma mia, come si è fatta bella! Vieni qui, Lea, dà un bacio alla nonna»Scesi gli ultimi gradini e mi fiondai tra le braccia di quella signora paffuta con la pelliccia ad Ottobre.La nonna aveva più di ottant'anni, ma sembrava star bene, aveva il colesterolo alto, ma tutti un po' alto ce l'hanno, perciò era in buona salute.Mi stritolò mentre io cercavo di respirare il più possibile.«Fatti vedere» mi allontanò appena senza però mai lasciare le mie povere braccia.«Ma, nonna! Mi hai già ammirata» mi lamentai.Erano tutti nel corridoio vicino alla porta di casa, tutti lì a fissare me.«Come sei bella! Fa la brava, mi raccomando» mi strizzò di nuovo fra le sue braccia e mi coccolò.Quando finalmente mi lasciò, andai a salutare gli zii e le zie, tutti mi ripetevano che mi ero fatta proprio carina. Più loro me lo dicevano, più io rimanevo di cacca. Erano venuti da poco! Mi avevano già vista! Cosa avevano che non andava?!Finiti i saluti, grazie al cielo, uscirono piano piano di casa. Quando la mamma chiuse la porta tirai un sospiro di sollievo. Poi mi girai e mi andai a sedere sulle scale slacciandomi le scarpe per rimanere scalza e distendere i piedi.«Allora, che intenzioni hai?» papà cingeva la vita alla mamma, ed entrambi mi fissavano in attesa di una risposta.«Ho paura» confessai.«Di cosa? Lea, noi tutti siamo qui con te, crediamo in te! Solo te non riesci a fidarti di te stessa!» disse mio padre.«Lea, tesoro, riprovaci. Sappiamo tutti che al primo esame eri in mezzo a raccomandati!» continuò mia madre.«Ma la seconda volta no!» specificai.«La seconda volta avevi la febbre!» precisò papà.«...E se non passo nemmeno questa volta?» alzai lo sguardo.«No, Lea. Siamo più che sicuri che questa volta è la volta buona» mi sorrise la mamma.Vedendo che non dicevo più nulla, e il mio sguardo era di nuovo su i miei piedi, girarono i tacchi e andarono un cucina.«Dobbiamo andare adesso o sistemiamo prima la casa?» urlai per farmi sentire.«No, andiamo adesso...Rimettiti le scarpe, tesoro» urlò di rimando la mamma.Era proprio fissata con queste scarpe.Tutti sanno che quando ti togli delle scarpe scomode, non si riescono mai rimettere a causa del piede gonfio, e dato che al mio mancava poco all'esplosione nucleare, m'implorava di ficcarlo dentro le mie Vans morbide e calde.Salii di corsa le scale portandomi appresso le altre scarpe, e con una fretta da battere anche Bolt, mi fiondai sul comodino, per poi aprirlo e tirare fuori le scarpe comode.«POSA QUELLE SCARPE, LEA!» mi richiamò all'ordine mia madre, che a giudicare dalla voce doveva trovarsi all'ingresso.Non le diedi ascolto, o meglio i miei piedi e le mie mani non le diedero ascolto, dato che me le ritrovai ai piedi senza nemmeno accorgermene. Giurai di aver sentito sospirare di sollievo i miei piedi.Mi ripresi in fretta da quell'estasi meravigliosa e scesi le scale.«Certo che sei tremenda!» protestò lei.«Tieni, porta questa»Papà mi mollò sulle braccia una scatola bianca, quelle per le torte.La poggiai sul comò all'entrata e m'infilai il cappotto. Ma la domanda mi venne spontanea: quando aveva fatto quella torta?«Che torta è?»«E' quella con la panna e le fragole»Oh...la nuvola immangiabile! Poverini, non gli bastava dover vivere in una casa sfigata, dovevano anche digerire per mesi e mesi la torta di mia madre.«Pensavo la regalassi alla zia...» dissi senza capire.«No, ha detto che aveva il frigo pieno e non c'entrava...perciò la do ai nuovi vicini...» mi sorrise mentre si metteva sulla spalla la borsa.Allacciai il mio cappotto nero e ripresi la scatola che pesava almeno dieci chili. Ma con che cosa faceva i dolci? Con la calce struzzo?!Papà mi aprì la porta e uscii per prima. Aveva smesso di piovere, ma una terribile nebbia si era posata ovunque ed era difficile vedere a dieci metri di distanza.Mi lasciai guidare da mio padre fino all'altra sponda della strada deserta, per poi continuare da sola fino all'immensa porta bianca intarsiata e con alcune zone in vetro.La mamma suonò il campanello che rimbombò in tutta la casa. Sbirciai dentro vedendo che era già sistemata e pronta da vivere. A terra era posato un raffinato parquet scuro posizionato verticalmente. L'arredamento era sui toni chiari e rilassanti.Troppo presa dall'ispezionare l'interno da non mi rendermi conto che una donna con capelli scuri e lunghi e uno stupendo sorriso ci stava venendo ad aprire.«Buonasera...» disse la donna che aveva al massimo quarantatré anni.«Buonasera. Noi siamo i Kallen, speriamo solo di non aver disturbato...» si fece avanti la mamma.Il porticato era così grande da accoglierci tutti.«No, anzi, accomodatevi» la donna si fece da parte per farci passare.La mamma si fiondò per prima, poi la raggiunse papà, e lasciarono me fuori con la torta assassina in mano. Si stavano asciugando accuratamente i piedi sul tappeto marrone posto all'entrata.La donna mi sorrise, aveva un sorriso meraviglioso, rimasi a fissarla ammaliata per almeno tutto il tempo in cui i miei stavano facendo di tutto per non sporcare di fango quel pavimento nuovo.Poi toccò a me, appena misi piede in casa la donna mi prese di mano la scatola e ci sbirciò dentro.«Oh, non dovevate» disse cordialmente ai miei genitori.Mi asciugai le scarpe e chiusi la porta. I miei già si erano tolti il giacchetto, mancavo solo io.«E' una torta con pan di spagna, crema fatta da me e ricoperta di panna e fragole» specificò la mamma«MH! Deve essere ottima!!...Arrivo subito, la poso in cucina...Volete un tè?» domandò sempre più cordiale.«Grazie» sorrise mia madre.Mi guardai attorno ispezionando ancora meglio la casa.Appena si entrava si veniva accolti da un grande openspace, in cui a sinistra si trovava un salotto con sofà, televisione e cose varie, mentre a destra si andava verso la cucina. Al centro si trovava una grandissima scalinata bianca con la ringhiera in ferro battuto nero, aveva una grande curva che dava alla casa un senso di morbidezza e accoglienza.La donna tornò da noi con le mani vuote.«Venite» ci guidò in cucina.Era magnifica, probabilmente era la cucina più bella al mondo. Grande, spaziosa, con un'immensa isola al centro che fungeva da piano bar, su cui ci stavamo appropinquando per bere del tè caldo.«Io sono Anne, tra un po' dovrebbero arrivare anche mio marito Des e i miei due figli» ci sorrise ancora.Anne stava armeggiando con una teiera per riscaldare l'acqua, dopo di che aprì uno scompartimento e ne estrasse delle tazze che ci posizionò davanti.«Avete una bellissima casa, siamo sicuri che vi troverete molto bene in questo quartiere» sorrise la mamma.Già, come no! Secondo me sarebbero scappati urlando e si sarebbero nascosti in qualche isola dispersa nell'oceano Indiano.Mi venne da ridere, ma grazie al cielo nessuno se ne rese conto perché troppo presi dalla conversazione. Stavano parlando del quartiere, ci mancava solo il meteo e stavamo apposto.Grazie, di nuovo, al cielo si sentì la chiave girare nella serratura e un "Siamo a casa!" da parte di un uomo, probabilmente suo marito.Anne si affacciò dalla cucina e appena arrivò un uomo paffutello, lo prese sotto braccio e lo portò verso di noi, che eravamo in piedi, da buoni educati, per stringere la mano a tutti.I miei si presentarono a Des, e poi presentarono anche me che gli strinsi la mano.«Gemma e Harry, dove sono?» domandò Anne guardandosi attorno.«Sono andati a poggiare le cose nelle loro camere e Harry voleva farsi una doccia» rispose Des che ci sorrise.«Che ne dite di andare in sala? Adesso vi porto il tè, così lo prendiamo davanti al fuoco» propose Anne che non mollava il braccio di Des.Annuimmo tutti e ci facemmo guidare da Des sino alla sala.Ci sedemmo sul divano a tre posti, mentre l'uomo accendeva il fuoco. Probabilmente era come quelli americani, quelli a gas, dato che si accese subito e con una fiammata da mettere una strizza tremenda a chiunque, anche ai vigili del fuoco! Mi aspettavo di vedere le sopracciglia di Des bruciare, invece, quando si girò verso di noi era perfetto e intatto.«Da quanto tempo vivete in questo quartiere?» domandò Des mentre si sfilava il cappotto e lo appendeva all'attaccapanni vicino ai nostri umidi, come il suo.«Sono diciannove anni che siamo qui. Si vive bene ed è vicino a tutto, perciò per noi è perfetto, e poi nostra figlia ha le sue amicizie e cambiare casa non ci è mai venuto in mente» rispose papà che si era accomodato mettendo la gamba sopra l'altra, come solo i maschi sanno fare, e un braccio che poggiava sul bracciolo del divano bianco. Mentre io e la mamma eravamo composte e non ancora a nostro agio, ma più il calore del camino si faceva spazio nella stanza enorme, più la situazione si riscaldava di conseguenza, rendendo quel momento quasi piacevole.Des si era seduto sulla poltrona vicino a mio padre e stavano parlando di come prendesse bene la tivù via cavo in quel quartiere, la mamma provava a seguirli, mentre io me ne stavo in mezzo a loro due a fissare il camino che scoppiettava felice.Sembrava che in quella casa quella famiglia ci vivesse da anni, ma da quello che ne sapevo erano solo poche ore che erano lì dentro, eppure sembrava essere vissuta. Forse era la casa perfetta per loro.A salvare mia madre dallo sbadiglio cronico, che ormai aveva assalito anche me, arrivò Anne con il vassoio in mano che cercava di non far crollare miseramente a terra.Lo posò sul tavolino basso e distribuì le tre tazze a noi e poi ne diede una suo marito che le baciò la mano poco dopo. Sul vassoio rimasero due tazze. Probabilmente per i loro due figli.Allora il ragazzo bagnato aveva un nome, sempre se era loro figlio invece di essere il traslocatore.«Salve a tutti» esordì una ragazza.Alzai lo sguardo e la osservai scendere, con grandissima eleganza, le scale che giravano appena. Quando sbucò in sala rimasi a bocca aperta. Era bionda, di un'altezza giusta e il suo viso era meraviglioso, quasi da invidiare.Venne verso di noi, strinse la mano a mio padre, a me e a mia madre, presentandosi come Gemma, scusandosi per il ritardo e informando la madre che suo fratello aveva quasi fatto e si stava vestendo per scendere.Gemma si posizionò sul bracciolo della poltrona del padre, mentre afferrava con una mano la tazza e ci soffiava dentro per freddare appena il tè bollente. Des le posò una mano sul ginocchio dandole delle piccole pacche mentre le sorrideva.«Gemma è un portento in economia. Ora lavora in una grande banca di Londra, ma vorrebbe andare in Germania alla banca europea, ma è dura» spiegò il padre.Ecco, oltre bella era anche intelligente!«Beh, complimenti! In bocca al lupo per tutto, cara» esordì mamma.«Grazie» Gemma abbassò il capo e arrossì leggermente tanto da nascondersi nella tazza prendendo un grande sorso.Quando provò ad ingoiare lessi nei suoi occhi il dolore. Speravo che non si fosse bruciata l'esofago, ma quando mandò giù il sorso ringraziò di nuovo e riprese fiato.Vidi gli occhi di Anne andare verso la scala e seguire una figura. Mi girai anch'io, ma probabilmente era già agli ultimi gradini e non riuscii a vedere chi fosse. Ma usando quella poca intelligenza che avevo, capii che era Harry, e speravo fosse il ragazzo bagnato.«Harry. Finalmente» esordì la madre.Aveva gli occhi che sbrilluccicavano, dedussi che Harry fosse il suo "preferito", probabilmente era più legata a lui.Mi girai di nuovo verso le scale.Aveva i capelli asciutti e un maglione rosso, ma comunque era il ragazzo bagnato-asciutto.Gioii dentro di me, per fortuna non era uno dei traslochi, altrimenti come avrei potuto rintracciarlo e stalkerarlo il giorno?!Ci alzammo di nuovo pronti a presentarci al ragazzo.Come prima strinse la mano a mio padre, e poi passò a me.Sentii una specie di scintilla attraversarmi la spina dorsale, che mi fece raddrizzare appena la schiena, lui sembrava leggermente scioccato, e anche lui leggermente raddrizzato. Forse uno dei due aveva dato la scossa e entrambi l'avevamo presa. Mi presentai, come di prassi, recuperando quel minimo di ritegno che non avevo quasi più. Poi si staccò da me e passò a mia madre.Non so se era un colpo di fulmine, non so se era solo una scossa data dalle nostre mani unite, ma una cosa la sapevo: lui era davvero un bel ragazzo, e non m'importava come e quando, lo dovevo conoscere e diventarci amica.E come in una partita di domino in cui sbagli e fai crollare tutto, le tessere della mia "vita" crollarono in senso positivo. Volevo conoscere lui, volevo migliorarmi e volevo ritentare ed entrare alla London University.
-Spazio Autrice-
Mentre sono qui, sul mio letto caldo insieme al mio gatto Harry, che mangiamo mango, ho deciso di aggiornare :)
Sta ancora prendendo via la storia, vi chiedo un attimo di pazienza :)
Però, conoscendone lo sviluppo e la fine, non posso fare altro che essere fiera di averla scritta ^-^Scusate eventuali errori/orrori D:
BACI Xx
STAI LEGGENDO
Seasons Of Love
Fanfiction"Come facciamo, noi umani, a capire se siamo innamorati seriamente?"