«Lea...Posso entrare?» domandò bussando alla porta del suo bagno.
Ero entrata in casa sua senza nemmeno salutarlo e lui non aveva fatto domande. Ero nervosa, speravo di avere la conferma che non era vero.
Ma io me lo sentivo, sentivo che c'era qualcosa.
Avevo salito le scale in una maniera talmente veloce che nemmeno lui riusciva a starmi dietro, chiedendomi di rallentare. Correvo. Non volevo che Anne, o Gemma, o Des mi vedessero a quell'ora della notte dentro casa loro a fare irruzione senza un motivo apparente.
Prima di venire da lui avevo fatto casa mia-super market tutta a piedi alle due del mattino, ero stanca morta ma volevo scoprire se era vero o no.
Ero in quel bagno da almeno mezz'ora a fissare il test di gravidanza che la commessa mi aveva venduto come il più sicuro e valido.
Lo fissavo senza capire cosa dovessi fare.
Harry continuò imperterrito a bussare alla porta in legno, sempre più preoccupato, aumentando così i colpi alla porta, rischiando di svegliare la sua famiglia.
«Lea! Mi stai mettendo paura! Esci!» cercò di tenere a bada il suo tono misto fra il preoccupato e l'arrabbiato.
Lui non sapeva cosa avessi in borsa. Non sapeva perché ero lì, nel suo bagno. Sapeva solo che doveva venirmi ad aprire la porta senza svegliare nessuno, quando gli avevo mandato il messaggio.
Come avrei potuto dirgli che ero incinta dopo nemmeno un anno che ci frequentavamo?
Continuò a bussare, ma con una calma apparente, solo per persuadermi ad aprire. Ma non volevo. Prima volevo pensare in santa pace a come poterglielo dire senza farlo scappare.
«Lea? Amore, aprimi» disse disperato.
Sbuffai una risatina. Ai suoi occhi dovevo apparirgli una matta col botto, ma ero tutto, in quel momento, tranne che matta.
Erano due settimane che mi sentivo strana, sempre con sbalzi di umore, continui attacchi di nausea, e il ciclo in ritardo, ma non diedi peso agli sbalzi d'umore, e ai ritardi, dato che altre volte li avevo avuti e spesso diventavo molto lunatica, e non diedi peso nemmeno alla nausea dato che in quel periodo Harry mi portava a mangiare ovunque per ingurgitare tutto quello che ci capitava a tiro e anche lui aveva mal di stomaco. Non diedi peso a nessuna di quelle cose, perché quasi normali per me, ma io mi sentivo diversa , difficile da spigare, ma comprensibile quando ci sei te in quella situazione.
E poi quella notte non riuscivo a dormire, dovevo sapere se era vero. E la risposta fu affermativa: incinta.
Certo che a vent' anni rimanere incinta è l'ultimo dei tuoi desideri, ma essendo contraria all'aborto, non me la sentivo di sbarazzarmene, e poi era anche figlio di Harry, non potevo prendere una decisione senza nemmeno domandarglielo.
Perciò decisi, anche lui doveva sapere.
Mi alzai lentamente dal water con la tavoletta abbassata e tenni stretto fra le mani il test. Quando lui sentì i miei passi sulle piastrelle del bagno, smise di bussare e probabilmente si raddrizzò con la schiena.
Avevo il cuore a mille, come l'avrebbe presa? Mi avrebbe lasciata senza problemi o mi sarebbe stato affianco senza sentirsi costretto? Le domande mi assalirono nel momento in cui girai la chiave della serratura per aprire la porta.
Quando girai per l'ultima volta, abbassai la maniglia e spalancai la porta in legno, ritrovandomi Harry, mezzo addormentato e con una preoccupazione leggibile chiaramente nei suoi occhi più scuri del solito.
Non riuscii a spiccicare parola e il fatto che lui non dicesse niente fece sì che quel silenzio perdurasse per una serie infinita di secondi, finchè non abbassò lo sguardo verso la mia mano sinistra e vide quello stecco in plastica.
Chiusi gli occhi sentendo le lacrime premere per uscire, così mi prese fra le sue braccia stringendomi, provando a calmarmi. Aprii il palmo facendo cadere a terra il test.
«Shh... Andrà tutto bene...Shh....» continuava a ripetermi con la voce che gli tremava, mentre con una mano mi accarezzava i capelli e con l'altra mi sfiorava la schiena.
Non riuscii più a reprimere i singhiozzi, così mi lasciai andare in un vero e proprio pianto liberatorio.
Anche lui piangeva, ma in silenzio.
C'incamminammo verso il suo letto disfatto e ancora caldo, così ci mettemmo sdraiati, avvinghiati, come se nessuno dei due volesse lasciar spazio tra i due corpi, perché bisognoso dell'altro. Ed era così, almeno per me, non volevo lasciarlo. Mai.
Quando iniziai a calmarmi, alzai lo sguardo verso di lui, avendo una conferma sul fatto che stesse piangendo.
Fissava il soffitto della sua camera, illuminato solamente dalla sua abatjour sul comodino. Le lacrime gli solcavano il viso stanco. Sentendo il mio sguardo su di se, distolse l'attenzione dal soffitto e mi guardò accennando un sorriso debole.
Allungai una mano, asciugandogli le altre lacrime che scendevano. Quando, con il pollice, tolsi gli ultimi residui, Harry, con la sua mano, prese la mia portandosela alle labbra, per poi scoccarci sopra un piccolo bacio.
A quel gesto altre lacrime ripresero ad uscire senza preoccuparsi di bagnare la felpa del suo pigiama. Mi riprese fra le sue braccia per stringermi.
«Ti amo, Lea. E tutto questo lo affronteremo insieme. Ci sono io qui con te» continuò a stringermi la mano e il corpo con l'altro braccio, mentre io mi sfogavo da quel grande peso che, dopo le sue parole, sentivo essersi alleggerito molto.
Quando il cellulare gli squillò per "svegliarlo" noi eravamo ancora con gli occhi aperti, nella stessa posizione di alcune ore prima.
Quando interruppe quel suono fastidioso, dovette lasciarmi la mano, ma quando riposò il telefono sul comodino tornò tutto come prima.
Era un martedì mattina ed entrambi avremmo dovuto avere lezione, ma nessuno dei due aveva intenzione di alzarsi e affrontare una giornata infinita.
«Che facciamo, Harry?» domandai dopo ore senza parlare.
Stava giocherellando lentamente con le dita della mia mano e con lo sguardo era intento ancora a perlustrare il soffitto che, evidentemente, aveva un aspetto migliore del mio in quel momento.
«...Non lo so» rispose dopo aver preso un grande respiro.
«Dovremmo dirglielo?» chiesi riferendomi alle nostre due famiglie.
«Sì....Ma prima dovremmo prendere noi due una decisione» abbassò lo sguardo verso di me, che già lo fissavo dal momento in cui cominciai a parlare.
Aveva ragione. Eravamo grandi e prima dovevamo prendere noi due una decisione.
Annuii debolmente socchiudendo gli occhi, per poi tornare con la guancia sul suo petto.
I battiti del suo cuore erano lenti e regolari, così calmi che mi rilassarono lasciandomi pensare ad un momento bello e senza pensieri.
«Harry...» rialzai la testa per fissarlo.
«Mh?» anche lui spostò lo sguardo su di me, senza interrompere quel gioco lento e meraviglioso delle nostre dita.
«Io...» presi un gran bel respiro «Io non voglio abortire, non me la sento e...» m'interruppe alzando il busto per venirmi a baciare, sostenendosi con un gomito posato sul materasso.
Poi si staccò con un leggero schiocco delle labbra.
«...se non te la senti io...» ripresi ma lui tornò a baciarmi.
Un bacio molto significativo per me, voleva dire che era d'accordo con me e che non mi avrebbe lasciata in mezzo alla strada.
Quando si staccò per la seconda volta riuscii a sorridere dopo ore passate a piangere.
Ci posizionammo meglio sul suo letto, poggiando le schiene al muro per poi accoccolarmi fra le sue braccia, poggiando la nuca sulla sua spalla.
Con le mani mi teneva le gambe, che erano sopra le sue e ogni tanto si lasciava scappare qualche carezza.
La porta si aprì con uno scatto, facendo comparire sua madre abbastanza alterata. Sobbalzammo entrambi per lo spavento.
«Harry! Hai lezione oggi! E anche tu Lea! E vi ho detto tante volte che quando ci siamo noi vorrei che questa porta...» l'indicò «...rimanesse aperta!»
Harry spostò lo sguardo da sua madre a me, abbassandosi appena per lasciarmi un bacio sulle tempia destra, dato che avevo ripreso a lacrimare, nascondendomi dietro la sua spalla per non farmi vedere da Anne, che in quel momento sembrava tutto tranne che la Anne gentile e affettuosa che avevo visto spesso. Ovviamente in una situazione normale non mi sarei messa a piangere, ma essendo quella una situazione anormale i miei lacrimoni erano più che giustificati.
«Cosa le è successo?» sentii i suoi passi avvicinarsi a noi, così, sempre per non farmi vedere, mi strinsi di più a lui nascondendo maggiormente il viso dietro la sua spalla.
Aveva capito, e per tutta risposta mi strinse le gambe avvicinandole al suo petto per poi fermare la madre.
«Puoi uscire, mamma?» non lo avevo mai sentito parlare a sua madre con quel tono freddo e distaccato, così piansi ancora di più per il dispiacere! Non volevo farli litigare!
«Come?» domandò la madre tra lo stizzito e il confuso.
«Per favore...» mi arrivò alle orecchie come una supplica, una supplica che Anne afferrò al volo.
Così, con un sospiro rassegnato e la preoccupazione che mi fosse successo qualcosa di brutto uscì da quella stanza, chiudendo anche la porta.
Quando la sentii uscire, mi scostai dalla sua spalla, tirando su col naso, assicurandomi che fosse veramente uscita.
«Non voglio metterti fretta, ma credo che dovremmo dirglielo presto....Mamma ha visto il test di gravidanza lì a terra» lo indicò con la nuca, così spostai lo sguardo da lui al test per terra, abbandonato e quasi dimenticato.
To be continued...
STAI LEGGENDO
Seasons Of Love
Fanfiction"Come facciamo, noi umani, a capire se siamo innamorati seriamente?"