CAPITOLO VIII - INFATUAZIONE

157 7 0
                                    

CAPITOLO VIII

INFATUAZIONE

"Rappresenta la seconda fase dell'amore e si manifesta con lo slancio emotivo, passionale, favorito dagli ormoni che inondano il corpo. La coppia ricerca l'intimità. Oltre a dare origine a un legame corporeo, un'attività sessuale appagante favorisce l'intimità e il legame affettivo."

Le cose con Harry erano normali, alcune volte uscivamo, ci baciavamo e poi ognuno a casa sua. Non mi sentivo ancora pronta a donarmi tutta a lui e lui non faceva pressioni, anche se era già un mese che ci frequentavamo e spesso qualche strusciatina sul suo letto o sul mio ci scappava, ma nulla di più.
In quel mese mi sentì ripetere fisica, chimica e alcune cose principali della medicina, almeno una quarantina di volte, senza mai mandarmi a quel paese o altre cose brutte che poteva tranquillamente fare.
Per la mia felicità, la mamma non fece più pressioni per i tacchi, dato che io e Harry eravamo alti presso a poco uguali e indossando i tacchi lo avrei superato di almeno cinque centimetri, e girare per Londra con i trampoli mi sembrava un'esagerazione, per me, ovviamente.
In men che non si dica arrivò il giorno dell'esame di ammissione, il terzo. Non avevo voluto nessuno, nessuno tranne Kevin, che era tornato quello di una volta. Volevo anche Harry, ma anche lui aveva un esame e mettergli il bastone fra le ruote mi sembrava una cattiveria.
«Ricordati che sei brava! Che hai studiato! E smettila di ripetere le cose! Quando sarai lì dentro non te ne ricorderai più! Perciò ora prendi un bel respiro e rilassati!» più che un consiglio somigliava ad una minaccia, e per quanto volesse apparire calmo era più agitato lui di me.
Eravamo nel corridoio della London University, ad attendere, insieme ad altri nove ragazzi, di essere chiamati e affrontare l'esame.
Una ragazza si era portata l'enciclopedia medica, un altro aveva direttamente portato un dottore che gli faceva delle domande e il ragazzo rispondeva, un altro, invece, se ne stava da una parte a dondolare sulla sedia mentre ripeteva l'apparato digestivo.
«Kevin...Credi che ce la farò? Insomma, questi altri ragazzi sanno tutto...mentre io ho solo studiato gli argomenti che mi avevano detto...» gli sussurrai molto vicino all'orecchio.
«Smettila di mettermi ansia!» mi urlò contro, catturando l'attenzione di tutti i presenti.
«Si da' il caso che quella in ansia dovrei essere io, non tu» gli posai una mano sulla coscia per fermarlo.
«Io infatti sono in ansia per te perché non sei in ansia!» riprese a muovere la gamba, aggiungendo anche il masticare delle unghie, già corte.
Sbuffai.
«Ragazzi, accomodatevi, tra cinque minuti si inizia» c'informò una segretaria bassina e con gli occhiali, che sbucò dalla porta dell'aula dove avremmo tenuto l'esame.
Mi alzai dalla sedia, seguita da Kevin, che aveva smesso di battere la gamba, ma non aveva smesso di mangiarsi le unghie, che erano aumentate con l'arrivo dell'altra mano.
«La smetti, Kevin?! Mi raccomando, dovrei metterci un'ora, se chiama qualcuno non rispondere, nemmeno se è Harry» mi accertai.
Lui annuì per poi prendermi con le dita bagnate e abbracciarmi.
«Mollami, Kevin! Mi stai inzuppando i capelli!» mi allontanai schifata.
Lo guardai ancora per accertarmi che stesse bene ed entrai in aula.

Un'ora dopo ero di nuovo in corridoio ad attendere l'esito dell'esame, insieme agli altri.
Kevin stava per sentirsi male, non ragionava più, sudava freddo, e temevo per la sua salute.
«Vuoi uscire a prendere un po' d'aria?» gli domandai preoccupata per la brutta cera che stava prendendo.
«Eccoli!» prima che Kevin potesse rispondere una ragazza urlò quella parolina magica per attirare l'attenzione di tutti.
Kevin si alzò prima di me andando a dare gomitate a tutti per passare. Noi eravamo dieci, solo uno poteva avere quel posto.
Rimasi lì, seduta sulla sedia blu in plastica a vedere le reazioni di tutti.
La ragazza con l'enciclopedia se ne andò di corsa piangendo buttando via il macigno che veniva chiamato libro, andando a finire in un angolo remoto del corridoio, venne seguita dai suoi genitori.
E una era fuori.
Il ragazzo con il medico diede un pugno in faccia a quest'ultimo creandogli, probabilmente, un emorragia interna, dato che il sangue non ci fu, ma subito si andò a toccare la testa. Il ragazzo andò via blaterando e inveendo contro Dio, che, poverino, non c'entrava nulla.
Mentre quello lì che dondolava se ne andò via mentre si staccava i capelli e diceva qualcosa sotto voce.
Ed erano già fuori tre, ne mancavano ancora sei.
Un gruppetto fatto di tre ragazze se ne andò piangendo in gruppo.
Io me ne stavo lì ferma ad aspettare, mentre Kevin continuava a spingere e sgomitare per passare e vedere l'esito.
Quando tutti se ne andarono, non feci caso alle loro reazioni, guardai dritto a me, verso Kevin, che era di spalle e stava leggendo il foglietto appeso in bacheca.
«Allora?» domandai mentre camminavo verso di lui, con passo lento.
Lui non mi rispose, muoveva le testa, probabilmente per cercare il mio nome, anche se eravamo in pochi.
Poco prima di spostarlo per vedere, si girò verso di me, mi guardò con aria seria.
«Dimmi qualcosa!!» lo minacciai prendendolo per il bavero della maglia.
«Sei dentro, bellissima» sorrise.
Rimasi lì impalata a guardarlo in faccia, per poi spostarlo e vedere se diceva la verità.

"Lea Kallen .......... Ammessa"

Kevin mi travolse per stringermi e urlare di gioia. Non ci credevo, lo avevo così tanto desiderato che non avevo ben focalizzato la possibilità di passarlo realmente e sentirmi dentro al cento per cento.
Lui saltava di qua e di là, con me che venivo trasporta da lui, aveva ripreso una bella cera e sembrava stare più che bene. Lo strinsi forte chiudendo gli occhi per poi farmi sollevare da terra e fare una piroetta.
«Ce l'hai fatta!!» urlò a squarciagola, facendo rimbombare la sua voce e le mie risate per tutto il corridoio deserto.
Quando mi rimise giù iniziai a piangere di gioia e lui con me! Sembravamo due idioti che piangevano in mezzo ad un corridoio della facoltà medicina della London University, ed eravamo quello. Due cretini!
«Okay, credo sia meglio tornare a casa» dissi ridendo mentre mi asciugavo le lacrime cadute sulle guance.
Lui annuì prendendomi per le spalle per portarmi fuori di lì.
Dalla borsa tirai fuori dei fazzolettini e gliene porsi alcuni, li accettò e mi ringraziò.
«Ha chiamato qualcuno?» domandai dopo essermi ripresa.
Aprimmo le porte con le maniglie anti-panico ed uscimmo di lì.
Il tempo era tremendo, forte raffiche di vento ci spostavano di alcuni millimetri e una pioggerellina cadeva obliqua bagnando tutto e tutti.
«Ti ha mandato un messaggio Harry...Ma non ho letto. Non ci tengo a leggere i vostri messaggini sexy» disse alquanto schifato.
Gli diedi una gomitata bella forte fra le costole e il pancreas riattivandogli il terzo chakra.
«Già ti ho detto che non facciamo certe cose!» aprii la borsa e tirai fuori il telefonino.
Entrai in macchina e mi accomodai sbloccando lo schermo per leggere il messaggio.

Da: Harry
Come è andata?


«Ti chiede se gli puoi fare un servizietto?» sogghignò mentre si allacciava la cintura di sicurezza per poi mettere in moto e partire.
«Kevin, smettila, dico davvero» cliccai sulla barra per rispondergli.

A: Harry
Così e così...A te?


Volevo farlo stare sulle spine, e ci stavo riuscendo.

Da: Harry
Come "così e così"?!
O sei dentro o sei fuori!


«Perché non gli dici che ce l'hai fatta?» domandò Kevin dopo aver sbirciato sul mio schermo.
«E tu perché non impari a guidare senza guardare altrove?» alzi un sopracciglio mentre nascondevo il telefono.
Sbuffò rumorosamente e cambiò marcia.

A: Harry
Sono a metà!
Dimmi come ti è andata!!

Insistetti.

Da: Harry
Non te lo dico finché tu non mi dici
come è andata a te!


Testardo come sempre.
L'università e casa erano molto vicini e in men che non si dica arrivammo.
Scesi dall'auto e nemmeno il tempo di chiudere la portiera che l'intera famiglia era lì ad abbracciarmi senza neanche farmi respirare.
«KEVIN! Perché non ti tieni un cecio in bocca, ogni tanto!?!» sbraitai.
Lui scappò via mentre io rimasi lì attaccata alla portiera dell'auto intenta a respirare e dare udienza a tutti.
«Possiamo entrare in casa!?» urlai per farmi sentire da tutti.
Ci fu un "sì" di gruppo, e con la stessa velocità con cui erano arrivati da me, se ne tornarono in casa, lasciandomi un attimo da sola.
Mi voltai verso la casa di Harry.
La porta si aprì e ne uscì fuori una figura assai famigliare. Il volto mi s'illuminò appena lo vidi. Come la nostra prima uscita lo raggiunsi a metà strada buttandomi fra le sue braccia.
«Ce l'hai fatta?!» mi staccò leggermente da lui per guardarmi in faccia.
Annuii sorridendo senza più trattenere le risate di gioia.
Mi stritolò e mi baciò il collo.
«Brava, amore» accadeva raramente che mi chiamasse con quel nomignolo e in quel caso era davvero azzeccato. Lo strinsi ancora di più godendomelo appieno.
«A te, invece, stronzetto?» lo guardai sorridendo.
«Trenta e lode» sputò il rospo.
Urlai di gioia e lui tornò ad abbracciarmi.
Partì dal collo, un po' scoperto dalle sue abili mani, per poi risalire lasciandomi vari brividi e arrivare alle labbra.
Forse l'euforia del momento o il fatto che ci frequentavamo da un mese, mi fecero dischiudere le labbra e lasciargli spazio anche per lui.
Curiosa di vedere la sua espressione aprii appena un occhio e lo sbirciai, notando che aveva increspato le sopracciglia e strizzato ancora di più gli occhi. Richiusi i miei e mi concentrai solo su di lui.
Quando ci staccammo senza fiato ridemmo ancora di più. Spostai la nuca sulla sua spalla e mentre eseguivo quel movimento mi scoccò un bacio sulla guancia.
«Devo tornare a casa....I miei vogliono sapere quanti verbi erano presenti nel test» scherzai.
«Allora sarà meglio lasciarti andare...» mormorò mentre allentava la presa e mi scoccava un altro bacio vicino all'orecchio.
Lo guardai intensamente per svariati secondi, per poi riprendermi, girare i tacchi e fare qualche passo in direzione della mia stra-affollata casetta.
«Lea! Questa sera un gruppo di miei amici e io andiamo in un pub....Ti va di venire?» le parole della sua domanda le portarono l'aria, così da accarezzarmi e volare via.
Ne io ne lui avevamo conosciuto gli amici dell'altro, non che io ne avessi, avevo la mia famiglia, che in parte già "conosceva", ma i suoi amici io non li avevo nemmeno sentiti nominare.
Mi fermai vicina al marciapiede, quando mi girai notai che lui era rimasto lì, in mezzo alla strada a guardarmi mentre camminavo.
Mi fissava, come speranzoso in una mia risposta positiva, o almeno lo speravo.
Annuii in crescendo, da più piano e impercettibile, a più forte e quasi udibile come gesto. Sul suo viso si fece spazio un sorriso folgorante, di quelli che sprizzano gioia da tutte le gengive.
Annuì anche lui, ma solo una volta, dopo di che si girò e se ne andò via rientrando in casa. Mentre io, da brava idiota che ero, me ne stavo lì con un piede sul marciapiedi e l'altro sull'asfalto, a pensare a come quella giornata si stava svolgendo per il meglio.
«Lea! Prima ci dici di entrare e poi ci lasci qui da soli?!?!» mi urlò Jenny che era solo testa, dato che il resto del corpo era nascosto dalla porta di casa.
Sul volto era stampato un sorrisetto furbo, segno che avevano visto TUTTI quello che era accaduto circa dieci secondi fa.
Arresa al fatto che la mia famiglia assomigliasse sempre di più a quella della protagonista in "Il mio grosso, grasso, matrimonio greco" , mi decisi a muovere le gambe ed entrare in casa.
Il chiasso pazzesco mi accolse. Tutti parlavano urlando, chi mi chiamava, chi mi applaudiva e chi si faceva dire da Kevin come IO mi stavo cacando in mano, mentre lui era quello forte che mi teneva la manina.
Vigliacco.
Rimasi a fissare la scena, pietrificata sulla soglia del salone. Mia madre serviva tè a chiunque alzasse la mano, mentre mio padre era nel gruppo di Kevin e ascoltava divertito la storia.
«Posso parlarti, Lea?» Jenny me lo sussurrò all'orecchio in modo tale da non dover urlare per farsi sentire. Annuii, dopotutto ero abituata ai suoi discorsetti sul sesso e sulle persone del sesso maschile.
Ci appartammo in cucina, che con mia grande sorpresa era messa in ordine tranne per dieci mila tazze nel lavandino.
«Dimmi tutto» sorrisi, mentre sospiravo e poggiavo il fianco destro sul ripiano della cucina.
«Con Harry come vanno le cose?» dritta al punto.
«Credo...Bene» azzardai a dire.
«Mh...E avete già fatto sesso?»
«No, Jenny! E anche se fosse non ti dovrebbe interessare, perciò ora vai a divertirti con gli altri che io mi vado a fare un bagno» la girai di spalle e la condussi alla porta, ma lei s'impuntò e dovetti fermarmi.
«So che vi state frequentando da un mese...» si rigirò verso di me.
«E allora?» sbuffai.
«E allora...» urlò per poi prendere un bel respiro e calmarsi «E' giunto il momento di approfondire la cosa, Lea! Lui ha la tua età, quanto credi ancora possa resistere senza sesso?» mormorò.
«Io spero a lungo! Jenny, solo oggi ci siamo veramente baciati! Non credi che dovrò andarci più piano? E poi non mi ha ancora fatto pressioni!» ribattei sicura.
«Beh?! Tu vuoi aspettare che lui ti si strusci addosso eiaculando precocemente per fare sesso?» alzò un sopracciglio.
«A volte sei così volgare, Jenny!» la rimproverai, seriamente schifata.
«Io sarò pure volgare, ma se non gli fai assaggiare qualcosa di più, oltre le labbra....superiori, lui se ne andrà via!»
«Non sono tutti uguali i maschi, Jenny» sbottai.
«Non è vero, prima o poi tutti faranno le stesse identiche cose» incrociò le braccia sul petto.
«No, se non sbaglio quello con qui esci non ti fa pressioni e mi sembra di capire che te ne infischi di portartelo a letto, dato che con lui stai bene anche fuori dalle lenzuola!» le ricordai.
«Sì, ma Josh è Josh...» la interruppi.
«E Harry è Harry. Ascoltami Jenny, so cavarmela da sola...» feci per andarmene, così la sorpassai.
«Vuoi una mano per scegliere cosa metterti questa sera?» mi domandò ancora di spalle.
Percepii il suo sorriso meraviglioso, così acconsentii e salimmo in camera mia come due bambine di nove anni alle prese con le nuove bambole.
Arrivate in camera mi tolsi gli abiti e andai in bagno seguita da Jenny che continuava a parlare di outfit e cose varie.
Già si era fatta un'idea su cosa avrei dovuto indossare: mini gonna stretch nera, con calze nere leggere, maglione avana con peluria superficiale e scarpe basse, dato che si era accorta dell'altezza di Harry e del fatto che lo avrei sicuramente superato, e poi volevo stare comoda.
«Jenny...Lo sai che nel mio armadio potrai solo trovare la gonna, vero?» ero nel box doccia e la mia voce rimbombava andando a sbattere contro le stretti pareti della cunicolo in cui ero a lavarmi.
«Solo perché te l'ho regalata io!! Sicuramente zia avrà delle calze e un maglione...colorato!» mi rispose.
Era seduta sulla tazza del water mentre aspettava che mi lavassi.

Erano già le quattro e io ero stanca, ero rimasta un'ora stesa sul letto, con l'accappatoio bagnato addosso e con Jenny che rivoltava il mio armadio per trovare qualcosa con non fossero: gonne, calze e maglioni colorati.
Le avevo espressamente detto che volevo essere comoda e non volevo preoccuparmi tutta la sera delle calze e della gonna, che non si alzasse troppo dando spettacolo.
«Jenny, la pianti? Tra tre ore viene Harry e io sono ancora da vestire, truccare e acconciare...Pensi che possiamo iniziare o hai bisogno dell'appoggio emotivo di Kevin?» sbottai all'ennesima maglietta nera lanciatami addosso.
Lei sbuffò e crollò a terra, distrutta.
«KEVIN!!!» urlai senza nemmeno spostarmi.
Come se avessi suonato il corno di Narnia, Kevin sbucò dalle scale e corse verso la mia stanza, preoccupato.
«Che è successo?! JENNY!! Cos'hai?!» le andò incontro mettendosi seduto al suo fianco.
«Ci serve il tuo aiuto» mi sorressi con le braccia e lo guardai dritto negli occhi.
Lui si guardò intorno e poi deglutì, alla fine si arrese e annuì.
«Sì, ma mi servono soccorsi...TREVOR! MATTY! TROY! SUSAN!!! VENITE SU!!» urlò come avevo fatto io prima per chiamare lui.
Quando sentii quegli otto leggiadri piedini, muoversi sulle scale, sprofondai sbuffando molto forte e pensando al fatto che ero ancora nuda e un po' infreddolita.
«Che succede?» domandò mezzo divertito Matty che mi raggiunse per guardarmi in faccia.
«A Lea sospetto le serva aiuto...» disse con calma Kevin, che aiutava sua cugina a rialzarsi.
Erano tutti intorno al mio letto e guardarmi e ispezionarmi.
«Dove deve andare?» domandò Troy.
Sembravo l'esperimento e loro gli scienziati.
«Ad un pub» rispose Jenny.
«Con chi?» domandò Susan.
«Con il vicino di casa» rispose di nuovo lei.
«Verso che ora?» domandò Trevor.
«Tra tre ore»
Erano tutti così seri e io ero così imbranata, e starmene lì stesa con l'accappatoio e i capelli bagnati rendeva meglio l'dea d'imbranata.
«Cosa vuole mettersi?» domandò Kevin.
«Ha detto niente gonne e calze....Vuole essere comoda» rispose sempre Jenny.
«Bene....Allora, distribuiamo le mansioni: Susan e Jenny occupatevi della parte lingerie» loro due annuirono e andarono verso la mia cassettiera per cercare qualcosa di decente da mettermi « Trevor e Matty, mettete in ordine l'armadio...Mentre tu, Troy, vieni con me e la morta vivente» m'indicò «così le asciughiamo i capelli...» concluse Kevin.
«Oh, God! In due per asciugarle i capelli?» Susan si girò verso di loro e li guardò male.
«Sì! Qualche problema plum-cake?» la prese in giro Troy, dato che una volta la beccò a mangiarsi una torta per dieci persone tutta da sola.
Ridemmo tutti insieme, mentre Susan inceneriva con lo sguardo il fratello più grande che intanto era girato verso di me e non poteva vederla.
Mi alzai a fatica e mi recai in bagno insieme ai miei due cugini, ignari del fatto che fossi mezza nuda.
Mi fecero sedere sullo sgabello solitamente usato per poggiare gli abiti e tirarono fuori il phon iniziando a massacrarmi i capelli.
Facevano gli idioti, iniziando a giocare con i miei capelli o buttarsi l'aria calda in faccia a vicenda per vedere che facce stupide facessero. Io totalmente prese dall'ansia, dato che i minuti passavano, rimasi zitta e ferma come all'esame di ammissione di quello stesso giorno.
Forse dovevo dire di no a Harry e starmene tranquilla in casa con i miei parenti a parlare di me e della mia futura vita accademica.
E invece no! Avevo deciso di uscire con Harry e i suoi amici. Partendo dal fatto che non ero ancora uscita con Harry la sera, ero in ansia anche per quello. Come avrei dovuto comportarmi con lui davanti ai suoi amici? Forse non aveva detto che mi stava frequentando e che quindi quei tizi non sapevano chi fossi e magari mi avrebbero anche odiata, perché sicuramente nella combriccola c'era qualche ragazza, magari innamorata di lui, che mi avrebbe messo i bastoni fra le ruote.
No! Non dovevo pensare a quello! Dovevo concentrarmi su quei due cretini, che alle mie spalle, stavano giocando con la piastra come in Star Wars.
Ma per mia fortuna intervenne Jenny, che prese, letteralmente, in mano la situazione e da lì s'incominciò a fare sul serio.
Non volò nemmeno una mosca nelle due ore che mi prepararono. Troy e Kevin stavano dando una mano in camera, che da quello che avevo capito era messa ancora sotto sopra. Mentre Susan, Jenny, Matty e Trevor erano in bagno con me a parlarmi delle cose che avrei indossato.
Mentre loro me ne parlavano io annuivo muovendo tutta la sfilza di mollettoni che avevo in testa.
In pratica mi avevano scelto: dei semplicissimi skinny jeans strappati sulle ginocchia, ovviamente neri; una maglia mediamente larga, nera; un maglione di mia madre da tenere aperto sul davanti, bianco e le converse bianche simili al maglione. Come intimo, quella stronzetta di Jenny, in combutta con Susan, che non era da meno, scelsero delle mutandine trasparenti nere con ricami sopra, e reggiseno abbinato. Tralasciando che era abbinato, ma dico, come cazzo le era venuto in mente di mettermi addosso quella cosa pruriginosa? Avrei passato l'intera serata a grattarmela, e non mi sembrava il caso.
«Posso mettermi gli slip di cotone?» le supplicai.
«Perché?! Quel completino d'intimo mi fa impazzire!» Jenny si bloccò con le mani per aria prima di prendere una ciocca di capelli e piastrarmela.
«Sì, capisco, ma lo trovo scomodo, mentre delle semplicissime mutande nere andrebbero bene...» azzardai a dire.
Jenny scosse la testa sbuffando altamente scocciata dal mio comportamento, mentre Susan cominciò a tirare fuori la mia trousse dei trucchi.
Quando Jenny finì con i capelli si spostò davanti a me e mi sistemò le occhiaie, alcuni brufoletti, per poi darci sotto con il trucco.
Con mio grande stupore era rimasta molto, molto, sobria: eyeliner nero e stop.
Nell'esatto momento in cui entrammo in camera mi accorsi che Kevin e Troy stavano continuando a fare gli stupidi mentre leggevano messaggi sul mio cellulare.
«POSA QUEL COSO!» gli urlai facendolo bloccare.
Me lo diede e mentre rideva con quell'idiota di Troy, Kevin se ne andò via seguito da quell'altro e Matty.
«Idioti» sospirammo tutte e tre insieme.
Dopo ore di dibattito riuscii a farmi passare gli slip in cotone e un reggiseno elegante, ma non scomodo.

Ero pronta e all'uscita mancava veramente poco, questioni di minuti.
Scesi al piano di sotto.
«Ma dove vai?» domandò scioccata mia madre.
«Esco» risposi semplicemente.
«E con chi?» in mano teneva un vassoio con biscotti mangiucchiati e tazze vuote.
«Con Harry, mamma....Ci vediamo domani! Non mi aspettate svegli!! CIAO A TUTTI!» urlai dal corridoio mentre m'infilavo il cappotto e uscivo di lì respirando l'aria frizzante di quella serata.
Mentre mi dirigevo verso il marciapiede, mi vibrò il telefono.
Due messaggi.

Da: Jenny
La famiglia ti fa un
mega imbocca al lupo!!
PS: Fa la brava :*


E ti pareva che doveva dirlo a tutti!
Aprii l'altro.

Da: Harry
Andiamo in macchina...


E io cosa avrei dovuto farci?
Poteva anche dirmi se stava per arrivare, o che so, avvisarmi dicendo che potevo andare un attimo a casa sua. Non farmi rimanere lì in mezzo al vialetto ad aspettarlo!
Sbuffai varie volte impaziente di stare tranquilla in macchina diretta a quel benedetto pub, che probabilmente si trovava distante da tutto.
Magari, Harry, era un pazzo maniaco e voleva uccidermi attirandomi con l'inganno.
Ah! Brava, Lea, che pensi a certe cose nel bel mezzo del nulla, praticamente, di notte e da sola!
Oltre ai brividi di freddo iniziai ad avere paura.
Quel quartiere era tranquillo, molto tranquillo, troppo tranquillo, e spesso chi moriva era un vecchietto di centonove anni, e chi veniva "derubato" sporgeva denuncia scoprendo che era il vicino mezzo rimbambito che credeva che quella cosa fosse la sua.
Insomma, un quartiere di riposo.
E poi mia madre andava dicendo che mi ero fatta le mie amicizie e non potevamo andarcene da lì. Forse parlava di lei che era diventata amica di una novantenne molto più pimpante di me e di lei messe insieme!
«LEA!» la sua voce mi richiamò.
Alzai di colpo lo sguardo, vedendo lui intento a chiudere la porta di casa e venirmi incontro.
Gli sorrisi mentre lo raggiungevo senza fargli fare tutta la strada.
Niente baci appassionati o cose del genere, già tanto che c'abbracciamo come due amici.
Già prevedevo una serata lunga e faticosa.
Mi accompagnò alla macchina e salimmo.
Il silenzio diventò quasi tangibile. Ad ogni semaforo rosso, che sembravano farcelo apposta quella sera, io fissavo avanti a me e lui lo stesso, spostando di tanto in tanto lo sguardo sul semaforo per vedere se fosse stato verde.
Quella sera non c'era molta gente in giro, anche perché era molto freddo ed era un lunedì, ed era alquanto strano vedere gente in giro per le strade di Londra, anzi, della periferia di Londra, già perché eravamo nella zona industriale e le abitazioni iniziavano a sparire.
Forse voleva veramente uccidermi! Ecco perchè nemmeno uno sguardo! I sensi di colpa già lo assalivano!
«....allora io ho detto che tu saresti venuta e loro mi fanno "E a noi cosa c'importa"?» iniziò a ridere.
Nemmeno mi accorsi che aveva cominciato a parlare, non me ne ero minimamente accorta, troppo presa dai miei pensieri poco adatti a lui.
«Che amici di merda che ho....Però, ehi, non sono cattivi....Bisogna prenderli con....filosofia!» esordì.
Deglutii rumorosamente, per poi fingere una risatina. Che bello...
«Tranquilla, gli sarei simpatica» mi posò una mano sulla coscia, con molta disinvoltura che quasi mi tolse il fiato.
Annuii deglutendo ancora, a fatica a causa della saliva quasi esaurita.
Con il pollice iniziò ad accarezzarmi il pezzetto di coscia ricoperto dai jeans facendo segni circolari, lenti e ritmati.
Mi beai di quel tocco chiudendo appena gli occhi e rilassandomi sotto le sua mano calda e...invitante! Jenny aveva ragione! Ero una pervertita!
Riaprii subito gli occhi sobbalzando appena, catturando la sua attenzione. Mi sorrise come sempre per poi tornare con lo sguardo sulla strada.
Forse non ero l'unica ad essere agitata e un po' in imbarazzo.
Ripercorsi mentalmente il mese in cui avevamo passato alcune giornate insieme: ci fu una volta che lui venne a casa mia, dato che i suoi avrebbero fatto tardi, e dopo cena venne di sopra con me, i miei sapevano, ma non mi vietarono di portarlo in camera. Da un punto di vista era dei genitori modello, anche perché sapevano che di me ci si poteva fidare...
Parlammo così a lungo in quella cameretta, stesi sul letto, non ci sfioravamo nemmeno, eravamo vicini, ma abbastanza distanti, ancora. Lì approfondii la mia conoscenza su di lui.
I suoi genitori avevano divorziato quando lui era piccolo, ma dopo anni Anne non riusciva a dimenticare Des, stessa cosa per lui, e così si rimisero insieme. Era bello vederlo parlare della sua famiglia, vedergli gli occhi sbrilluccicare appena, quando ricordava il periodo del divorzio, dove Harry faceva finta di nulla ma soffriva più della sorella.
Mi ripeté che suo padre non gli aveva fatto mancare nulla, né a lui né a Gemma, però andare un periodo da un genitore e un periodo da un altro era dura e spesso si ritrovavano in mezzo a liti che nemmeno dovevano sentire.
Quella sera apprezzai ancora di più il suo comportamento da gentil uomo, quando mi diede la buona notte sulla soglia di casa, stampandomi un bacio sulla guancia, molto più intimo di quanto mi aspettassi, ma pur sempre sulla guancia, anche se poche settimane prima mi aveva baciata durante la "pausa studio".
«Siamo arrivati...» frenò per poi spegnere la macchina, che ruggì e poi morì.
Eravamo in mezzo al nulla. Un'insegna luminosa lampeggiante era sopra di noi e si rifletteva sul cofano della sua Range Rover nera.
Probabilmente il pub si chiamava "Irish Blonde". Che brutto nome, pensai. Harry aprì la portiera dell'auto e scese, io lo seguii non volendo rimanere in macchina a fissare il nome del pub come un'ebete.
Quando lo raggiunsi mi accorsi che stava sorridendo a qualcuno, poi fece un cenno. Quando era uscito di casa non me ne ero accorta granché, ma con le luci della strada in quel momento intravidi meglio cosa indossava.
I soliti skinny jeans grigio scuro, il cappotto slacciato nero, una maglione chiaro sotto e i soliti stivaletti neri usatissimi. I capelli li teneva sciolti con la riga da un lato. Era tremendamente bello e affascinante. Forse lo stavo fissando troppo a lungo, dato che mi fece segno di raggiungerlo, cosa che feci. Con una mano mi accarezzò la schiena per poi incamminarci verso un gruppetto di tizi.
Erano tre ragazzi, tutti maschi, uno più fumato dell'altro. Nel vero senso della parola, anche se non fumavano droga, ma semplici sigarette.
Mi sorrisero educatamente porgendomi le mani per presentarsi: il primo da sinistra si chiamava Bernard, uno Ben e l'ultimo Louis, che mi fece una specie di occhiolino, beccandosi uno schiaffo da Harry.
Quando entrammo nel pub rimasi un po' folgorata.
Era un stile classico, legno ovunque, vetrate di diversi colori a mosaico, piano bar con sgabelli e gente mezza assonnata e ubriaca che si faceva passare del Gin, ed un piccolo palco al centro del locale, con una chitarra e un microfono.
Non sapevo che era una specie di pub con karaoke, pensavo che era solo per giovani dilettanti, ma Ben esclamò "OGGI SI CANTA!" attirando l'attenzione di tutti, anche dei camerieri.
Ci accomodammo ad un tavolo abbastanza in disparte con una panca che circondava tre quarti del tavolo rotondo.
Ero in mezzo a Harry e Ben, che aveva una gran voglia di andarsi ad esibire sul palco.
«...Ehm....Direi tre birre e...Tu, Lea, che prendi?» Louis si rivolse a me.
Avevo otto occhi puntati su di me, compresa la cameriera che aspettava la mia ordinazione, impaziente.
Presa dal panico ordinai anche io una birra, anche se non ero una grande bevitrice e preferivo di gran lunga l'acqua, ma in un pub era meglio non prenderne e accettare solo alcolici.
«Non pensavo che eri una tipa da birra» Harry mi diede una leggere spallata sorridendomi.
Continuava a fissarmi sorridendo mettendomi in imbarazzo..
Sì mi sentivo in imbarazzo e sì, era a causa sua.
Ero stranamente felice che non ci fossero ragazze in quel gruppo, e che i ragazzi erano pochi, ma mi sentivo un po' invadente, magari era una serata tra amici maschi e io ero un'imbucata.
«Allora, Lea. Harry ci ha detto che oggi dobbiamo festeggiare anche te...» sbottò Louis.
«Ah....Come mai?» domandò Bernard.
«Perché ha passato l'esame di medicina» disse fiero Harry che mi cinse le spalle con un braccio e mi scoccò un bacio sulla testa.
«Bene, allora direi di festeggiare con una bella canzone» Louis allargò le braccia alzando il volume della voce.
«Oh, nonono! Io non canto! Non so cantare!» sbottai.
«Nemmeno noi siamo bravi! Avanti! Scegli una canzone e cantala a squarciagola!» continuò Louis.
«Non sono abbastanza ubriaca per farlo....» incurvai le spalle e sospirai.
«Ma che problema c'è?! CAMERIERA! Portaci venti shortini!» Louis non la smetteva di sbracciarsi e attirare l'attenzione di tutti nel locale.
Non volevo ubriacarmi e non volevo nemmeno salire su quel palco e cantare come se non ci fosse un domani! Volevo starmene seduta sulla panca e parlare con loro del più e del meno! Già era stata una giornata stancante, non volevo chiuderla con una nottata vicino al water.
«Lou, ha detto di no. Smettila» lo bloccò Harry, abbastanza serio, dopo aver visto la mia espressione allarmata.
«Oh, ma dai, Harry! Cosa le costa salire là sopra e cantare?» continuò Louis.
Mi accorsi che Bernard annullò l'ordinazione, forse d'accordo con Harry nel non volermi far fare una cosa che non volevo.
«Ha detto che non vuole. Fine della storia, cambia pagina» Harry lo disse con sicurezza, ma anche con molta educazione.
Louis capì e cessò d'insistere. Forse gli ero antipatica.
Mah.
«Da quanto uscite insieme?» ecco una domanda che cercavo di evitare come la peste, anzi, l'argomento cercavo di evitare. Cosa eravamo io e Harry? Alcune volte eravamo amici molto stretti, delle altre eravamo mezzi amanti.
«Un mesetto...» dissi.
«Ah! Ecco dove andava quando non era con noi!» a Ben gli s'illuminò il viso.
«Studiavamo! Nulla di più...» sorrise Harry, mentre prendeva la sua birra, come tutti gli altri.
La mia era ancora lì, dove l'aveva lasciata la cameriera. Indecisa come non mai, sperai che nessuno si accorgesse di me per le seguenti tre ore. Ma Louis mi notò e me la passò invitandomi a bere.
Ne presi un microscopico sorso, quasi impercettibile, che mi diede subito alla testa.
Decisi di non prenderne ancora.
Ero a digiuno da dodici ore e bere senza prima aver mangiato era da stupidi, ma sembrava che nessuno in quel locale si prendesse la briga di lasciare degli stuzzichini ai tavoli.
Per tutto il tempo avevano parlavano di calcio, università, videogiochi, tutto! Ma tutto non comprendeva me, per fortuna. Ero rimasta in disparte per tutto il tempo e nessuno mi calcolava, nemmeno Harry, anche se ogni tanto posava la mano sulla mia coscia, rivolgendomi di tanto in tanto un sorriso. La mia birra era diventata calda ed era rimasta intatta, grazie al cielo il mal di testa era passato, ma la noia no.
«...DAI! Andiamo!!!» Louis supplicò Harry di salire sul palco con lui e cantare "I will surviver" delle Destiny Child. Ma che canzone idiota per due ragazzi!
Alla fine Harry si arrese e salì sul palco con il suo amico, cantando, abbastanza bene, la canzone scelta.

-Spazio Autrice-
OHIOHI!
Eccomi ;)
L'infatuazione...gli ormani...Come andrà a finire? ;)
Recensite per favore...


Seasons Of LoveDove le storie prendono vita. Scoprilo ora