CAPITOLO III - ATTRAZIONE FISICA - PARTE II

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CAPITOLO III

ATTRAZIONE FISICA, PARTE II


Passai l'intera serata a fissarlo, discretamente, ma comunque a fissarlo, a guardarlo mentre masticava e i movimenti della mandibola mentre lo faceva, ad osservare come riusciva a fare tutto contemporaneamente.

Quando tornammo a casa mi sentivo come vuota. Mi mancava averlo affianco e sentirlo respirare lentamente.
Ora ero stesa sul mio letto, mi ero già lavata, preparata e vestita con il mio comodo pigiama. Avevo le coperte fin sopra le tonsille, fuori un forte vento muoveva, o meglio, piegava gli alberi difronte casa nostra, l'aria era fredda e i termosifoni sembravano far fatica a riscaldare la casa.
Chissà cosa stava facendo in quel momento? Forse anche lui era a letto pronto ad affrontare un lunedì da universitario. O forse stava aiutando la madre a sistemare alcune cose.
Sperai vivamente che il giorno dopo lo avrei rivisto e magari c'avrei passato del tempo, ma da soli, senza Gemma che interrompeva i nostri lunghi sguardi e le nostre conversazioni sulla vescica.
Volevo passare del tempo con lui, conoscerlo meglio!
E così mi addormentai con lui nei miei pensieri, sperando di rincontrarlo nel regno stupendo di Morfeo e magari parlarci o magari toccarlo...
«Lea! Io e tuo padre andiamo, ci vediamo questa sera...Ah! Questo pomeriggio dovrebbero venire Gemma e Harry. Anne e Des lavoreranno fino alle undici e i ragazzi sono solo due e a Anne non piace che stiano in quella casa da soli per tutto quel tempo...Perciò dà una sistemata alla cucina. Ciao, tesoro» la mamma mi scoccò un bacio sulla tempia e uscì dalla cameretta.
Solo quando sentii la porta di casa chiudersi mi feci forza e mi alzai.
Erano solo le otto e io ero già sveglia! La sera prima eravamo tornati a casa a mezza notte- l'una, e l'unica cosa che avevamo in mente era: andare a dormire. Perciò tutto il macello del pranzo domenicale era ancora lì e non aspettava altro che essere risistemato, da me.
Mi alzai inspirando l'aria, e una volta in piedi espirai incurvando così la schiena. In camera c'era un odore insopportabile, simile allo stantio. Ahh! Dovevo decidermi a dare una pulita a quella cameretta!
Scoperchiai il letto, poi aprii la finestra, presi la tuta e andai in bagno per cambiarmi al caldo.
Quando fui pronta uscii dal bagno e scesi le scale lasciando spalancata la finestra in camera mia, così che portasse aria pulita in tutto il piano superiore che non era molto ampio.
La sala da pranzo era un macello: bicchieri ovunque, fazzoletti in stoffa per terra, molliche di pane sul tavolo. Senza darci troppo peso andai in cucina.
Grazie al cielo, mamma aveva fatto la lavastoviglie e i piatti erano lì dentro. La cucina era abbastanza in ordine ma non precisa come la intendeva mamma.
Mi rimboccai letteralmente le maniche e mi misi a lavoro.
Giusto in tempo per pranzare finii di sistemare tutto.
La sala da pranzo era tornata normale, la cucina era linda e pinta e io ero un cencio.
Salii le scale, ma appena girai l'angolo e entrai in camera, mi ricordai che non avevo finito del tutto. Rassegnata rifeci il letto, spazzai a terra e levai i panni sporchi, poi li portai in bagno, caricai una lavatrice e l'azionai.
Sospirai guardandomi intorno e non trovando nulla da risistemare mi tolsi gli abiti e mi ficcai dentro la doccia per darmi una ripulita e mangiare qualcosa di "sano".
Passai l'intero pomeriggio a farmi filmini mentali, pensando a cosa avrei potuto dire a Harry, finchè quest'ultimo si presentò in casa da solo.
«Gemma è ancora a lavoro, stacca alle sette» si accomodò sul divano in sala.
Erano solo le cinque del pomeriggio, dovevo trovare qualcosa da fare con lui. Stavo per avvicinarmici ma la vibrazione del cellulare mi bloccò.

Da: Kevin
Che fai, cugina?

Che tempismo del cazzo che aveva Kevin! Lo ignorai e proseguii verso il sofà. Mettendomi al suo fianco.
Di nuovo mi vibrò il cellulare, ma quella volta non era un messaggio era una chiamata.
«Parla, idiota» sbuffai.
«Ti ho interrotta?» domandò malizioso.
«No...Dimmi che vuoi» sbuffai nuovamente mentre giocherellavo con i lembi della mia maglia grigia.
«Niente...Volevo solo sapere come te la passavi...Hai deciso cosa fare con l'università?»
Harry si girò verso di me, interessato ad una conversazione che doveva essere privata, in teoria. Mi sentivo un po' in imbarazzo, in fin dei conti lui non sapeva dei miei due esami andati a puttane per la mia innata fifa.
«Ci proverò...» sospirai.
«Come "ci proverai"? Lea, per l' amor del cielo! Tu ci riuscirai! Certo che alcune volte sei tremenda!» alzò così tanto la voce che anche Harry si spostò leggermente.
Rassegnata all'impicciagine di Kevin sospirai nuovamente e guardai Harry che mi fissava a sua volta con aria compassionevole.
«Kevin, posso chiamarti, che so? Tra un migliaio di anni?» proposi.
«No! Se tu non mi confermi il fatto che ci riuscirai io non ti lascio in pace! E fidati che non ti darò tregua!» mi minacciò.
«Sì, Kevin. Ci riuscirò! Guarda mi sembra già di avere la laurea in mano!» alzai un po' la voce.
«Oh! Brava la mia bambina! Ci vediamo»
«Bambina a chi?! Abbiamo la stessa età, cretinetto!»
Mi aveva già riattaccato in faccia. Chiusi anche io la chiamata, poi alzai lo sguardo su Harry e non so per quale motivo, nemmeno me ne ricordo, scoppiammo a ridere così tanto che mi face male la pancia per molto tempo.
Quel giorno era ancora più bello: aveva i capelli sciolti, lisci alla radice e leggermente boccolati sulle punte; indossava dei semplicissimi skinny jeans, un maglione pesante nero e degli stivaletti in pelle marrone scuro. Era molto elegante ma comunque sportivo, probabilmente lui a lezione era uno di quei tipi sempre perfetti nella loro naturalezza.
Però non si dava le arie, era gentile e simpatico. E cosa più importante: era bellissimo.
«Vuoi qualcosa da mangiare?» gli domandai dopo esserci ripresi.
«No, grazie...Vorrei solo un bicchiere d'acqua» mi sorrise mentre si toglieva la sciarpa che si era lasciato.
Mi alzai dal divano e andai in cucina.
Poco dopo me lo ritrovai alle calcagna mentre ero intenta a prendere un bicchiere di vetro dalla vetrinetta.
«Era il tuo ragazzo?» domandò mentre si sistemava sulla sedia vicino al tavolo.
«Ma chi? Kevin? No, è mio cugino» gli porsi il bicchiere pieno d'acqua.
Mi ringraziò e bevve un sorso.
«Credevo che eravate legati da un altro tipo di legame...» mi lasciò intendere.
«Oh, no. Siamo cresciuti insieme e diciamo che non ci sono mai stati incesti in famiglia, e vorrei che la cosa continuasse così» lui rise insieme a me.
Quando finì il bicchiere d'acqua lo posò sul tavolo e poi si alzò in piedi, si avvicinò a me e a solo due centimetri di distanza mi domandò dove fosse il bagno. Incapace di trattenere la risata gli scoppiai a ridere in faccia, lo scostai appena, scusandomi e continuai a ridere, poco dopo mi accorsi che anche lui rideva.
«Ma che succede qui?» la mamma piombò in cucina con delle buste fra le mani.
Harry le venne incontro e gliele prese per poi posarle sul bancone.
«Come mai ridevate in quel modo?» chiese divertita lei.
«Lascia stare mamma, te lo spiegherò quando sarai più grande» a quella mia risposta Harry ricominciò a ridere e io con lui, mentre la mamma ci osservava divertita.
«Gemma? Come mai non c'è?» domandò lei mentre si guardava attorno e noi riprendevamo fiato.
«Tra mezz'ora dovrebbe staccare...Tra un po' è qui» le rispose educatamente Harry che continuava a farsi scappare alcuni risolini.
«Siete sicuri di stare bene? No, perché se scopro che vi siete fumati qualche canna vi uccido!» mamma tornò seria e molto preoccupata.
«Stiamo bene, siamo solo...come dire?» mi girai verso Harry cercando un aiuto.
«Euforici» mi aiutò Harry.
«Esatto! Siamo euforici! Che bella parola!» esordii.
Mamma ci guardava strano, ma poi sorrise e ci sorpassò andando verso il lavandino per lavare le verdure. Io e Harry ci guardammo e poi spostammo lo sguardo sulla mamma.
«Andate in camera, qui ci penso io»
La mamma, molto educatamente, ci lasciò intendere che noi lì dentro eravamo di troppo, ed essendo in quel modo pimpanti era meglio andarsene prima di combinare qualche disastro irreparabile.
Annuii e cominciai ad uscire di lì, seguita, ovviamente, dal ragazzo bagnato-asciutto.
«Che lavoro fanno i tuoi?» domandò mentre eravamo sulle scale.
«Mamma fa la segretaria di una dirigente di una multinazionale famosa, ma che per me rimane sconosciuta...mentre papà lavora in fabbrica» entrai in camera e accesi la lucina vicino il letto.
«Che cosa fabbrica?» domandò interessato.
Notai che si era ambientato bene in casa nostra e che era già steso sul letto come un'odalisca. Lo raggiunsi mettendomi seduta per levare le scarpe e poi girarmi verso di lui e incrociare le gambe sul letto.
«Lampade»
«Ecco perché tutte queste lampade» disse sorpreso.
«Già...Mentre i tuoi che lavoro fanno?»
«Papà lavora per la SYCO, segue un gruppo musicale molto in voga, mentre la mamma fa più o meno il lavoro di tua madre...E' la segretaria personale del dirigente della Burberry»
«WoW! Complimenti! Adesso capisco perché tu e Gemma non dite niente quando fanno così tardi» ero allibita.
In poche parole erano ricchi. Il padre sicuramente aveva uno stipendio alto, mentre la madre era a stretto contatto con la moda e lì i soldi non mancavano di certo.
«Come mai tu e Gemma avete deciso di intraprendere vite così "normali"?» mimai le virgolette.
In fin dei conti lui sarebbe diventato avvocato, e lei voleva essere dirigente di una banca, certo la banca europea, ma pur sempre una banca.
«Non lo so...Sono cose che ti senti dentro...Suppongo che anche te nel tuo profondo sai che fare il medico è la cosa giusta...Sono emozioni bellissime che provi quando ne parli» fece spallucce.
Annuii piano, mentre con le mani non davo tregua alla trapunta sotto di noi, sfilando alcuni fili per poi attorcigliarne alcuni intorno le dita per farle diventare viola e poi lasciare il filo e lasciar circolare il sangue.
Restammo in silenzio, sentivo lo stesso il suo sguardo su di me. Mi resi conto che oltre alla stretta di mano, con lui non mi ci ero più sfiorata e ne avevo bisogno. Il mio corpo richiedeva una dose di Harry e del suo tocco, non mi bastava più il suo sguardo su di me.
«Ti squilla il telefono...» Harry mi richiamò all'ordine e quasi mi spaventò facendomi sobbalzare, provocando in lui un sorriso beffardo.
Effettivamente mi stava squillando il telefono, era di nuovo Kevin.
«Ma che vuole oggi questo?!» sbuffai mentre prendevo il cellulare e attivavo la chiamata sotto lo sguardo divertito di Harry.
«Kevin! Parla in fretta!»
«La nonna sta male» disse semplicemente con tono piatto e leggermente arrabbiato.
«Come sta male?»
Probabilmente la mia espressione cambiò, dato che quel poveretto al mio fianco si alzò su di scatto e mi guardò preoccupato.
«Dicono che da un anno soffre di forti mal di testa e dicono che abbia un ictus. Tu lo sapevi che stava male?» domandò mentre cominciava a piagnucolare.
«No, te lo avrei detto! Adesso è in ospedale?»
«Sì, ci siamo io, Jenny, mamma e papà...E' in sala operatoria...Lea, non credo che ce la farà...Dopo la morte del nonno è crollata...» stava proprio piangendo a dirotto.
Mi faceva male sentirlo in quel modo, ma la cosa che mi rodeva di più era che nessuno ci avesse avvisati!
«Ascoltami, Kevin, lei ce la farà! E smettila di piangere! Adesso dimmi una cosa, Jenny lo sapeva? Matty? Susan? Troy?! Loro sapevano che la nonna stava male?!»
«Jenny non mi dice nulla, e gli altri non li ho chiamati io...So solo che io non sapevo nulla e tu nemmeno. Ho paura!» Continuò a piangere.
Harry se ne stava per andare e lasciarmi sola, ma gli afferrai il braccio e lo bloccai. Di nuovo quella sensazione piacevole, di una forte scarica di adrenalina. Per un momento mi dimenticai di Kevin che continuava a piangere senza ritegno e mi concentrai sull'intensità dello sguardo di Harry. Mi ripresi un momento, così scossi la testa e lui tornò a sedersi difronte a me.
«Vuoi che venga lì?»
«No, no. La mamma ha detto che non c'è da preoccuparsi, ma sento che la cosa è seria e se questa notte andrà bene la prossima volta sarà fatale! Io le voglio troppo bene!»
Sperai, per lui, che si trovasse in un luogo appartato. Stava singhiozzando senza ritegno, e così forte che anche Harry lo sentiva, anche se si trovava vicino a me.
La nonna per Kevin era tutto, se Jenny lo aveva cresciuto, la nonna lo aveva seguito sempre, lo aveva rimproverato, confortato e gli aveva insegnato il rispetto e l'umiltà. Per tutti noi la nonna era importante, ma per lui era come la madre.
«Kevin, ascoltami, devi pensare positivo, se tu...»
«Pensare positivo un cazzo, Lea!» mi urlò contro.
Ci rimasi male, anzi, di merda. Mai, lui, mi aveva aggredita in quel modo. Capivo la situazione, ma cercarmi per essere solo un muro su cui sfogarsi, quello no!
«Kevin...Ma vaffanculo!» gli riattaccai in faccia.
Da quella mia specie di sfuriata Harry rimase colpito. Mi guardò con sguardo allibito e tutto quello che riuscivo a pensare io era: e adesso chi lo sente Kevin?
Sentivo anche io, dentro di me, che la nonna non ce l'avrebbe fatta. Da un po' di tempo ripeteva che non ce la faceva più e che voleva andarsene, ma tutti noi sottovalutammo la cosa, pensando che i fatti non cambiassero a seconda del pensiero di una persona.
La nonna aveva deciso di morire e di conseguenza il suo corpo aveva risposto con un ictus.
«Se dovete andare in ospedale, me ne vado a casa...»
«No, non credo che ci andrò io...Anzi, vieni un attimo....Tu sei testimone del fatto che a me nessuno aveva detto niente, vero?» gli domandai e lui annuì confermandolo «Bene, ora noi due scendiamo e io parlo con mia madre. Sono sicura che avrà qualcosa da inventarsi»
Mi alzai dal letto e mi feci seguire da Harry. Mi spiaceva metterlo in mezzo in quel modo, ma era un testimone e mi serviva.
In quel momento avrei voluto spaccare tutto e uccidere qualcuno! Un po' perché Kevin mi aveva trattata in quel modo, e un po' perché una cosa importane come quella mi era stata nascosta.


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