CAPITOLO VI
ATTRAZIONE FISICA, L'EVOLUZIONE PARTE I
Era ormai passata una settimana dalla morte della nonna e dal funerale, dove Kevin fece un discorso degno di un Oscar.
Harry non lo chiamai mai, ne sentivo il bisogno, ma non potevo chiamarlo dicendogli che avevo bisogno di lui! Perciò il suo numero non lo utilizzai mai.
Non lo incontrai nemmeno più. Sua madre si era presa dei giorni liberi per sistemarsi meglio in casa, e perciò non ci fu più la scusa del "Torniamo tardi, Harry e Gemma vengono da voi". No.
Sì, ero uscita con Gemma varie volte, ma lei aveva le sue amiche e perdere tempo con me non le andava molto.
Quasi tutti ci eravamo ripresi dal lutto e quasi tutti avevamo ripreso a vivere. Perché quasi tutti? Perché mia zia Cloe, la madre di Jenny e Kevin, si stava ancora occupando di alcune pratiche della nonna, perciò era ancora un po' sconvolta.
Io avevo ripreso a studiare, volevo far felice me, ma soprattutto i miei genitori.
Ero in camera mia, sulla scrivania, a leggere di come alcuni atomi si riproducessero.
Odiavo quell'argomento, lo trovavo noioso, ecco perché feci diecimila sbadigli.
All'improvviso posai l'evidenziatore giallo in mezzo al libro con la copertina rigida, e respirai per arieggiare il cervello, che poverino, da tre giorni non prendeva aria, perché sempre in camera a studiare.
Accusavo un forte dolore al collo, tremendo, come se tutto quello studiare avesse appesantito notevolmente il cervello, e avendo il collo troppo piccolo non riusciva a reggerlo e faceva uno sforzo impressionante.
A quel punto abbandonai la testa sul palmo della mano destra, poggiato alla scrivania, ai lati del libro ancora aperto e a metà.
All'esame mancavano solo due settimane e io ero quasi alla fine, non ce la facevo più. Dovevo prendermi una pausa di almeno quattro giorni, fatti di dormite interminabili, mangiare e ridere, cose che non avevo fatto granché quell'ultimo periodo.
Forse dovevo decidermi e chiamare Harry, magari gli avrebbe fatto piacere...Ma se poi lo disturbavo mentre studiava? No, non lo avrei chiamato.
Fissavo fuori dalla finestra il tempo che minacciava di nevicare. Il cielo di un grigio freddo, e delle nuvolone dello stesso colore che si avvicinavano sempre di più, con fare minaccioso.
All'improvviso, come un fulmine a ciel sereno, il telefono vibrò, scatenando un vibrare collettivo di tutte le matite e penne di vario genere.
«Pronto?» chiesi abbastanza brusca, per lo spavento.
«Lea?...Sono Harry» la voce maschile rispose timidamente.
Spostai il telefono dalle orecchie per vedere lo schermo. Eh, sì. Era Harry. Figura di merda!
Subito riportai il telefono alle orecchie e provai a trovare una scusa.
«Oh, ciao, Harry! Perdonami, ma stavo studiando gli atomi e non ho letto il tuo nome...»
«Tranquilla, anzi! Perdonami per averti disturbata!»
«Ma che?! Mi hai fatto un favore! Ho la testa che esplode» ammisi sospirando.
«A chi lo dici...Senti ti va di andare da Starbucks in centro? Ci prendiamo un caffè e parliamo un po'...» prima di invitarmi aspettò un po' e poi sputò il rospo.
«Va...Bene....Però devo cambiarmi»
«Tra dieci minuti sono lì da te» lo sentii sorridere.
Mugugnai un "va bene" e chiusi di corsa la chiamata.
Panico.
Cosa avrei dovuto indossare?! Insomma, non era un appuntamento, ma nemmeno un'uscita idiota dove entrambi sono in tuta! O peggio, dove solo uno è in tuta!
Okay, calmati, Lea!
Harry si vestiva sempre con skinny jeans stivaletti e camice...Magari potevo mettermi degli skinny jeans blue e un maglione rosso con le scarpe da ginnastica nere!
No, no! Troppo semplice!
Mi alzai in piedi diretta all'armadio, che spalancai come una iena.
Non. Avevo. Nulla. Da. Mettermi.
Corsi in camera di mia madre e le presi una giacca che trovai appesa alla porta. Era a base bianca, con stampe varie blu scuro. Molto bella. Era fatta, era mia.
Abbinata agli jeans che volevo mettere era perfetta con sotto anche una maglietta nera con scollo rotondo e maniche lunghe!
Le scarpe...i tacchi no! Per carità! Dovevo uscire per rilassarmi, non per fare ginnastica circense su quei trampoli che mamma si ostinava a chiamare "il Santo Graal" della donna.
Ma ti prego!
Afferrai le mie converse e me le misi.
Perfetta nella mia imperfezione.
Contenta del risultato, sciolsi i capelli e mi diedi una sistemata al viso.
Quando fui pronta scesi le scale correndo, appena le finii, senza fermarmi, afferrai il cappotto all'entrata e uscii.
Harry, con la mano alzata per suonare il campanello e io che quasi gli andai addosso.
Beh, iniziamo bene!
«Ciao!» esordì entusiasta.
«Ciao!» risposi con una leggera nota isterica, un po' perché lo volevo vedere e un po' perché ero schizzata di mio.
«Pensi che sopravvivrò a questa uscita? O dici che devo andare dal notaio a fare testamento?» domandò.
«Beh, magari conviene passare prima dal notaio» dissi ridendo.
Ridemmo per un po', come due deficienti, davanti alla porta di casa mia.
«Lea...? Ma chi è?» mia madre venne dalla cucina, per sbirciare, per poi ritrovarmela dietro di me con un mestolo in mano e il grembiule legato in vita, e i capelli dritti, come sempre.
«Oh! Ciao, Harry! Come stai, tesoro?»
"Tesoro"?!
"Tesoro"?!?!
Mamma! Ma che cazzo dici?!
«Bene, signora Kallen. Lei come sta?» proseguì Harry.
«Abbastanza bene. Come mai qui?» teneva la mano con il mestolo in alto e l'altra all'altezza della vita. Sembrava una versione della Statua della Libertà casalinga.
«Stiamo uscendo, mamma» mi decisi a parlare, interrompendo la frase non ancora iniziata di Harry che sorrise quando vide la mia espressione un po' adirata.
«Dove andate?»
«Lontano da te....» mormorai a testa bassa.
«Come hai detto scusa!?» alzò un po' la voce.
«Nulla! Adesso noi andiamo! Per qualsiasi cosa ho il telefono, ma non chiamarmi! Okay?! Ciao!!!» ero ormai a metà vialetto. Portavo Harry sotto braccio e lo trascinavo via, per sfuggire dalle domande di mia madre.
«Va bene! Ma non fate tardi!!» ci salutò la Statua delle Casalinghe.
Quando girammo l'angolo sospirai.
Di sollievo.
«Stavo pensando che potremmo arrivare in centro con la metro...» la voce di Harry mi distolse dal ripetere mentalmente gli atomi, così dovetti girarmi verso di lui e annuire in risposta.
«Lo so cosa stai facendo! Smettila di ripetere mentalmente il libro e rilassati. Stiamo uscendo per divertirci, non per ripetere» disse sorridendo.
«Perdonami, ma sono così in ansia che spesso ripeto senza nemmeno accorgermene...»
«Tranquilla....Anche a me capita, ma oggi dovremmo sforzarci a non pensare allo studio» si girò verso di me.
Aveva i capelli sciolti, che fuoriuscivano appena dal cappellino in lana che aveva in testa, grigio come quel giorno. Come le altre volte che lo avevo visto indossava skinny jeans neri. La maglia non riuscii a vederla, era coperta dal cappotto nero stile bomber che aveva addosso. Era bellissimo. Aveva quella camminata da "sono un figaccione, ma non dirmelo", e faceva un po' ridere, ma non in senso negativo. Era una viaggio mistico vederlo atteggiarsi in quel modo.
Proseguimmo dritti, senza dire nulla, poi svoltammo a destra per poi proseguire nuovamente dritti.
«Come sta Gemma? E' un po' che non la vedo...» misi le mani in tasca e rabbrividii a causa di uno spiffero penetrato all'interno del giacchetto che avevo.
«Sta bene. E' stressata, ma quello è normale. Ieri era tornata a casa urlando, io e mamma ci siamo guardati pensando che ce l'avesse con noi, poi abbiamo scoperto che era al telefono con un tizio» sorrise e scosse la testa.
Proseguimmo in silenzio fino all'entrata della metro, dove io estrassi il mio abbonamento e lui il suo biglietto.
Scendemmo altre scale per poi ritrovarci ai treni, in attesa del nostro.
«Come sta tuo cugino?» la domanda mi spiazzò leggermente, speravo in qualche modo che chiedesse di me, ma invece no.
«Kevin sta bene... Ha ripreso a studiare e la vita continua...» feci spallucce.
«Anche io, ad agosto, ho perso mia nonna...E' stato difficile andare avanti, ma hai ragione, la vita continua» affermò.
«Mi dispiace per tua nonna. C'eri molto legato?» smisi di guardare il tabloid dei treni e mi costrinsi a guardare lui, che era in cerca del mio sguardo per rispondere.
«Sì, lo ero, e lo sono tutt'ora...» appena finì la frase, che a mio parere lasciò in sospeso, come se volesse aggiungere altro, il treno passò provocando una gran folata di vento, che sollevò in aria i miei capelli e alcune ciocche di Harry, che aveva ancora il cappello.
Le porte si aprirono e noi ci mettemmo in fila per entrare senza essere prima schiacciati dalle porte.
Non so per quale motivo, ma se mi mettevo seduta, in metro, mi sentivo male, perciò rimasi in piedi, anche perché le fermate erano poche e mettermi seduta per solo cinque minuti mi sembrava una stupidaggine.
Harry si mise al mio fianco, stretto, anche lui, al palo, che si trovava al centro del vagone, per non rischiare di cadere a terra.
Quando la metro partì, io ero intenta a sistemare la tessera dell'abbonamento in borsa, nel portafoglio, ed avendo entrambe le mani occupate, non riuscii a reggermi. Non so come fece a riprendermi, fatto sta che prima di cadere faccia avanti mi ritrovai fra le braccia di Harry che mi teneva stretta.
Aveva un braccio che cingeva il palo, mentre con la mano mi teneva per la spalla, invece con l'altra mano, con cui sospettai mi avesse ripresa, mi teneva l'altro braccio.
Il mio colore era paragonabile ai capelli della ragazza vicino a me. Rosso fuoco.
Ero famosa per le mie figura di merda, ma solitamente le facevo in famiglia, dove mi deridevano anche per anni, ma alla fine potevo minacciarli, lì invece ero "sola".
Eravamo schiena contro petto, ed essendo alti simili, sentivo il suo respiro sul mio collo, riscaldandomelo appena ogni volta che espirava l'aria.
Probabilmente era molto vicino a me, dato che quando parlò lo sentii forte e chiaro, sovrastando il rumore delle rotaie che sferragliavano.
«Forse conviene fare testamento anche a te» sorrise.
«Già...»
"Già" ma che razza di risposta era mai quella?!
Feci tutto il breve viaggio, che per me durò un'eternità, attaccata a lui, e ogni volta che il treno frenava lui mi teneva ancora più stretta a se.
Quando, grazie agli dei, arrivò il momento di scendere, Harry allentò la presa e mi lasciò libera, solo quando il treno frenò del tutto.
Prendemmo le scale mobili per uscire di lì, quando ci ritrovammo all'aria aperta dovemmo stringerci di più ai nostri cappotti, per il forte freddo che c'era.
Percorremmo tutte le vie e le viuzze, che secondo Harry ci avrebbero portato con più facilità allo Starbucks di Londra evitando tutta quella marmaglia di gente.
«Harry, sei sicuro che sia la strada giusta? No perché a me sembra che qui ci siamo già passati» mi guardai attorno.
«Ma no! Lo avrei riconosciuto!» si guardò attorno anche lui.
«Dici? A me sembra che quel negozio lo abbiamo già incontrato» glielo indicai, lui seguì il mio dito e si arrese all'evidenza.
«Due londinesi, persi per Londra» sorrisi riabbassando il braccio.
«Io non sono londinese...Sono del Cheshire» mi corresse.
«Oh...Non lo sapevo. Possiamo tornare sulla strada principale e percorrerla come tutti gli umani, invece di stare qui a prendere freddo?» lo supplicai quasi, era troppo freddo! E non avevo voglia di stare le ore là fuori e cercare uno Starbucks che sapevo si trovava a dieci minuti dalla metro!
A quel punto si arrese ancora di più e mi fece segno di passare per prima per fargli strada io, evidentemente più informata di lui.
«Ma se te nemmeno sapevi dov'era!» dissi sorridendo.
Eravamo arrivati a destinazione, sani e salvi. Il locale era ampio, e la gente sedeva comodamente ai tavoli sorseggiando delle bevande caldissime.
Io e Harry prendemmo due caffè con il cacao e cioccolato, simile alla cioccolata ma con una scarica di energia maggiore.
Dividevamo un dolcetto, un enorme muffin al cioccolato e frutti di bosco.
Grazie a me eravamo arrivati lì, e lui si ostinava a dire che la sua via era giusta, mentre m'indicava stradine a caso che si vedevano dalla grande vetrata.
«Certo che lo sapevo! Volevo solo vedere se eri attenta e se il tuo orientamento andasse bene!» ribatté cocciuto.
«Ah...Fai come ti pare» mi abbandonai sulla sedia.
Lui sorrise.
Sentivo di nuovo i suoi occhi su di me, e dopo aver passato minuti attaccata a lui sentivo che il tocco del suo sguardo era ancora più forte, sembrava come se mi sfiorasse, come la fiamma sfiora il legno prima di farlo ardere, e se lui sarebbe rimasto a fissarmi in quel modo per ore, magari avrei anche preso fuoco.
Dal basso ventre sentivo dei richiami primitivi, che mi erano quasi nuovi. Lo stomaco iniziò ad ardermi e sentivo di stare per morire, ma per fortuna qualcuno aprì la porta d'entrata e io mi rinfrescai letteralmente i sensi.
Mi staccai dallo schienale andando dritta al piattino al centro del tavolo rotondo, per prendere un altro pezzetto di dolce.
Ma nel momento esatto in cui io mi mossi, Harry fece gli stessi miei movimenti; il muffin, essendo quasi finito, era ridotto a pochi pezzetti, perciò fu inevitabile sfiorarsi.
Un brivido mi percorse, facendomi venire la pelle d'oca. Alzai lo sguardo verso di lui e notai (con piacere) che mi stava ancora fissando.
Ritrassi la mano, ancora vicina alla sua, chiedendo scusa, beccandomi un "prego, prima le signorine" da parte sua.
Presi la parte che spettava a me e lui mi seguì subito dopo.
Erano ormai le cinque del pomeriggio e fuori era già buio pesto.
«Forse conviene tornare a casa....» dissi dopo aver bevuto l'ultimo sorso di caffè.
«Non ti va di fare un giro? Insomma, domani dobbiamo riprendere a studiare e quando ci ricapiterà un'uscita del genere?» mostrò uno dei suoi sorrisi migliori, facendomi andare in tilt il sistema operativo del mio cervello idiota.
«Ehm....Va bene, ma se congelo darò la colpa a te» lo indicai minacciosamente, ma lui scoppiò a ridere mentre si alzava e si rimetteva il pesante bomber che aveva, mentre anche io mi rivestivo, possibilmente più pesante di prima.
«Vado a pagare»
«Ehi! No! Pago io!» protestai.
«Come scusa? Ti ho invitata io! Pago io!» si mise difronte a me.
«Almeno permettimi di pagare la mia parte» feci per tirare fuori dalla borsa il portafoglio, ma una sua mano mi fermò, facendomi cadere l'oggetto nella borsa. A quel punto spostò la mia mano sul mio fianco e mi risistemò la borsa in spalla, tutto mentre lui guardava me e io guardavo lui.
«Ho detto che pago io» mi sorrise.
Si girò e andò alla cassa.
«Sei un tipo insistente te, eh!» gli feci notare mentre mi teneva la porta aperta per farmi uscire per prima.
«Anche te non scherzi!» mi raggiunse affiancandomi.
«Pft! Ma sentilo! Dove vuoi andare?» domandai dopo averlo deriso un pochino.
«Non lo so...andiamo dritti»
«Ma andando dritti andiamo verso la metro...» mi lamentai.
«Fa troppo freddo e non voglio che ti ammali a causa mia» sputò il rospo.
«Ma dai! Scherzavo! Tonto! Andiamo al London Bridge, lo hai mai visto?»
«Ci sono passato una volta con la scuola, ma nulla di più...»
«Bene, allora è il posto giusto» dissi soddisfatta.
Svoltai subito a destra, con Harry alle calcagna che seguiva ogni mio movimento, cosa difficile, dato che era pieno di gente e venivamo strattonati a destra e a manca.
Quando fummo sul ponte più bello mi fermai a metà e ci affacciamo per ammirare il paesaggio notturno.
«Wow! È magnifico» era letteralmente a bocca aperta
«Strano che non lo hai mai visto....Solitamente è la prima cosa che si visita quando si viene a Londra»
«Già, ma io sono strano» disse sorridendo mentre spostava lo sguardo su di me.
Aveva di nuovo il cappellino in testa ed era bellissimo, ma i miei brividi non mi lasciarono scampo. Cominciai a tremare come una foglia, dopo la decima raffica di vento che ci travolse.
Senza dire nulla mi passò una braccio sulle spalle e mi strinse a lui. Lo guardai attentamente, non mi guardava, ma fissava il paesaggio.
Per un momento sembrava di essere a Parigi, una città che non mi attirava molto, ma non so per quale motivo mi sentivo come se eravamo sotto la Torre Eiffel in un momento intimo.
Anche se ero fra le sue braccia, i brividi non cessarono, lui se ne accorse stringendomi ancora di più.
Tralasciai il fatto che aveva la mano pericolosamente vicina al mio seno e mi concentrai su altro, ad esempio come mai una vecchietta in carrozzella parlava da sola, o come mai una famiglia di giapponesi camminava in fila indiana quando di spazio ce ne era in abbondanza.
Quando mi strinse ancora di più a se, io ero quasi in fin di vita. Mi stava stritolando.
«Harry...Così mi ucciderai» dissi con la voce strozzata.
Lui non mi rispose, ma nemmeno allentò la presa. Pensai fosse morto congelato in quel modo, ma quando mi girai per guardarlo, le sue labbra incontrarono le mie.
Inizialmente ci rimasi di sasso, poi mi sciolsi seguendo attentamente i movimenti delle sue labbra con ancora il sapore di cioccolato e caffè.
Con la mano libera mi prese il collo avvicinandomi ancora di più a lui. La posizione era di una scomodità assurda, ma non ci pensai molto. M'interessava solo essere lì, in quel modo, con lui.
Dopo quel lungo bacio, ne seguirono altri più corti e dolci, di quelli che ti fanno venire la pelle d'oca solo al pensiero. Quei baci, a mio parere, erano i più intimi e privati, perché è in quei momenti lì che assapori il vero gusto del bacio.
Dopo di che riprendemmo a pomiciare come due lumaconi in astinenza da lattuga.
Rimasi immobile e l'unica parte del corpo che muovevo era la bocca, ma alla fine si aggiunse anche la mano destra che si andò ad intrecciare con la sua, che teneva a penzoloni, a causa del braccio poggiato sulla mia spalla.
Sorrisi sulle sue labbra e lui insieme a me, stringendo ancora di più la presa sul mio collo (senza però uccidermi) e le dita incastrate con le mie.
Forse passammo dei minuti interi in quel modo, magari con la gente che ci fissava, ma una cosa positiva di Londra era che anche se ti guardavano nessuno ti disturbava. E ne fui veramente felice.
Per quanto piacevole, soddisfacente e stupendo potesse essere quel bacio, tutte le parole più belle del mondo non sarebbero riuscite a coprire il torcicollo che mi stava assalendo senza tanti problemi.
Mi staccai dalle labbra quasi con dolore, non solo al collo, ma dentro di me. Sentivo come se dovessi tornare a rifugiarmi su quelle labbra accoglienti e pronte e ricevere un altro bacio.
Mi guardò un po' strano.
«Ho fatto qualcosa di sbagliato?» mi domandò.
«Oh, no...» sorrisi.
Slegai le nostre mani e mi girai verso di lui abbracciandolo forte, intanto lui tornò a cingermi le spalle con entrambe le braccia per proteggermi dal freddo che continuava ad assalirci.
Aveva un profumo ottimo, i suoi abiti erano impregnati di quel profumo che, ne ero sicura, sarebbe stato la mia droga.
«Ti prego non dirmi che è il mio cellulare che vibra.....» supplicai ad occhi chiusi.
«Beh, se in tasca hai un vibratore, allora non è il tuo cellulare...» ipotizzò.
Mi staccai da lui guardandolo come per dire "tonto, non fai ridere! Secondo te come c'entra un vibratore nelle tasche dei jeans?", e mi spostai appena per estrarre il cellulare e rispondere a...mia madre.
«Mamma? Che vuoi?!» un barbone in preda ad un attacco isterico ci passò affianco urlando, così fui costretta a tapparmi un orecchio per sentire mia madre dall'altra parte della cornetta.
«Lea! E' notte! Dove siete?!» urlò.
«Stiamo prendendo la metro, tra dieci minuti sono a casa! E poi non sono nemmeno le sei!» le riattaccai in faccia scocciata.
Quella donna aveva bisogno di divertirsi un po' di più.
Sbuffai, dopo un'eternità che non lo facevo; bloccai il telefono e lo rimisi in tasca.
«Ho capito. Torniamo a casa» disse togliendo un solo braccio dalle mie spalle, mentre con l'altro mi avvolgeva ancora, per far sì che non mi staccassi da lui, cosa che non feci.
Credevo che solo io provavo, in sua presenza, la sensazione di volerlo tra le mie braccia, invece, anche lui lo desiderava. Però lo volevo conoscere meglio, non sapevo quasi nulla di lui e, anche se c'eravamo baciati, non eravamo, che so, fidanzati o una coppia.
«Qual è il tuo colore preferito?» sbottai, provocando in lui uno strano sussulto.
«Il rosso. Ma che centra?» domandò perplesso.
«E il tuo animale preferito?» continuai non prendendo in considerazione la sua domanda.
«Il gatto. Lea, ma che ti prende? Il freddo ti fa diventare strana, sappilo» sorrise leggermente stranito dai miei comportamenti.
«Sì, lo so. E il tuo...» si bloccò in mezzo alla strada, si mise difronte a me e riprese a baciarmi.
Ancora non mi ero abituata alle sue labbra incredibilmente soffici. Ormai il sapore del caffè era quasi sparito e stava venendo sostituito dal suo alito.
Fino ad allora tenni le labbra serrate, volevo farlo un po' soffrire.
Infatti, quando mi leccò leggermente il labbro inferiore con la lingua, io non cambiai idea, anzi, serrai ancora meglio le labbra vietandogli di oltrepassarle.
Ma lui non cessò e continuò a baciarmi, prima senza lingua e poi richiedendo il permesso, ma rimasi della stessa idea.
Quando si staccò mi guardò alcuni istanti, un po' perplesso, poi mi rimise il braccio sulle spalle e continuammo a camminare in mezzo alla folla di turisti dispersi.
«Sei una tosta» sorrise.
«Bah...Neanche tanto, se sai come prendermi divento malleabile» mi strinsi ancora di più a lui.
Lo sentii ridere.
Aveva una mano nella tasca del bomber nero il che rendeva tutto, non so perché, stranamente sexy.
Arrivati in metro salimmo giusto in tempo e ripercorremmo al contrario le tappe fino ad arrivare a casa.
Appena risalimmo, i primi fiocchi di neve iniziarono ad attaccarsi al terreno.
Stava nevicando e non eravamo nemmeno a Novembre!
«Mio Dio! Abbiamo fatto nevicare» disse stupito con lo sguardo rivolto verso il cielo.
«In che senso? Perché ci siamo baciati?» chiesi un po' perplessa.
Lui mi riprese sotto il suo braccio e io, per non cadere, gli cinsi la vita, attaccandomi a lui come una cozza sullo scoglio.
«Forse. Ma anche perché siamo usciti! Non so te ma io non vedevo la luce del giorno da settimane»
«Esagerato! Hai le lezioni! Come ci vai? Chiusi in un sacco?»
«Ma no! E' solo che non ho frequentato per un po' a causa di un esame imminente e quindi non sono uscito di casa spesso» fece spallucce.
La cosa era bizzarra, il tempo non era dei migliori, in strada non c'era nessuno a parte noi due, e sempre noi due stavamo camminando tranquilli, come se non stesse nevicando a raffica.
«Ehi! Ma non ha senso! È passata poco più di una settimana da quando sei venuto a casa mia quando era morta nonna! La luce del giorno l'hai vista in quel caso!»
Lui rise di gusto, ma non ne capii il motivo.
Da lì iniziai a fare la lista dei pro e dei contro di Harry. Probabilmente quello di deridermi sarebbe schizzato primo in classifica sui contro.
Gli diedi una fiancata per farlo smettere ma continuò a ridere.
A quel punto, stufa di vederlo ridere di me, mi spostai a braccia conserte andando sull'altro lato della strada lasciandolo ridere da solo.
«Lea! Ma dove vai?!» domandò mescolando un urlo con una risata.
Non gli risposi, continuando a fare la finta offesa.
Lui proseguì a camminare su un lato della strada e io sull'altro, ancora a braccia conserte.
Sentivo, o meglio, avevo la sensazione di avere il suo sguardo su di me, mentre camminavamo. Anche io, con la coda dell'occhio, lo osservavo muoversi, con entrambe le mani nelle tasche del bomber e il cappellino grigio in testa. Sorrideva, come divertito da quella specie di gioco fra me e lui.
In men che non si dica ci ritrovammo davanti le nostre rispettive case.
Ci fermammo entrambi, mentre con molta calma ci giravamo per parlare, imbarazzati, cosa alquanto strana e stonante con tutto quello che era accaduto precedentemente.
«Allora....Ci si vede» inclinò la testa sorridendo leggermente.
Mi strinsi nel cappotto, ormai avevo i capelli ricoperti di neve e mi stavo gelando, ma non volevo rientrare in casa e non essere più toccata da lui.
Annuii anche se la sua era un'affermazione.
«Salutami tua madre...» continuò come se non volesse allontanarsi da me.
Annuii nuovamente, abbassando il capo, ogni volta che annuivo.
In mezzo a noi la strada era già coperta da un velo bianco intatto, segno che persone e macchine non erano passate di lì, lasciando che la neve attaccasse per bene.
Quando rialzai lo sguardo, lui stava attraversando per venirmi incontro, rovinando lo strato bianco perfettamente intatto, fino a quel momento.
Con uno slancio, come se qualcuno mi avesse spinto dalle spalle, m'incamminai per raggiungerlo a metà strada.
Quando c'incontrammo, non aspettammo un attimo per ricongiungerci e baciarci.
Seguii con attenzione i suoi movimenti, assecondandoli di tanto in tanto.
Sentii la sua mano avventurarsi sulla mia schiena per poi posarsi sulla parte lombare infondendomi così un gran calore.
Mugugnai sulle sue labbra facendolo sorridere.
«Smettila di ridere di me» dissi quando mi staccai lievemente da lui.
«E' che sei buffa»
«Scusa tremenda» lo ammonii.
Lui mi strinse a se sorridendo mentre ci dondolavamo da un piede all'altro, avvinghiati come un koala ad un eucalipto.
«Mia madre ci sta fissando» dissi anche se ero di spalle e non potevo vederla, ma conoscendola se ne stava, molto probabilmente, a spiarci dalla finestra della cucina, piegata per vedere bene e con gli occhi strizzati per mettere a fuoco.
«Come fai a saperlo?» domandò perplesso.
«La conosco...Credo sia proprio ora di tornare a casa...» dissi controvoglia allontanandomi da lui con un sospiro, quasi di dolore.
Annuì poco convinto.
«Domani che fai?» continuò prendendomi per mano facendo intrecciare le nostre dita.
«Studio...Ancora» sorrisi mentre fissavo le nostre mani unite.
«Che ne dici di rifare una pausa come questa di oggi?» propose facendo comparire sul suo volto delle stupende fossette.
«Una pausa di tre ore?» alzai le sopracciglia quasi sconvolta.
«Se vuoi anche di quattro...» sogghignò.
«No, non posso proprio....Devo studiare altre cose e vorrei arrivare all'esame pronta....»
«Allora facciamo così: domani vieni a casa mia e studiamo insieme» mi spostò una ciocca di capelli da davanti il viso.
«Okay...Ma dobbiamo studiare!» gli puntai il dito contro.
Lui sorrise per poi attirarmi di nuovo a lui e baciarmi ancora, ma questa volta senza lingua, forse aveva perso le speranze.
Lo salutai con la mano poco prima di rientrare in casa lasciando il mondo all'esterno.
-Spazio a me-
Mi sembrava il caso di farli baciare! FINALMENTE!
PS: Se mi lasciate qualche stellina, illuminerete le mie notti insonni! LOL
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Seasons Of Love
Fanfiction"Come facciamo, noi umani, a capire se siamo innamorati seriamente?"