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Io ero silenziosa mentre mi apprestavo a consumare il gelato che alla fine aveva voluto per forza offrirmi e lui era altrettanto silenzioso mentre camminava al mio fianco pensieroso, persino la strada che portava al parco sembrava silenziosa, nemmeno le auto riuscivano a colmare l'imbarazzante silenzio che c'era tra noi e che entrambi cercavamo d'ignorare senza successo.
Ancora una volta, da quando era cominciato quel progetto, mi chiesi perché dovessi prestarmi a fare una cosa così stupida che non avrebbe portato da nessuna parte; con uno che cambiava umore e perfino carattere come se fosse il giorno e la notte, Harry incarnava perfettamente la metafora del dottor Jekyll e mister Hyde.

«Ce l'hai con me» non era una domanda, lo guadai per un lungo attimo.

Però, che intuito.

«Però, che intuito» ribadii anche ad alta voce, e me ne sorpresi.

Lui ridacchiò, ma tornò subito serio «Jess, io sono...sono complicato ecco. Tu non c'entri niente, qualunque cosa ti abbia offeso-»

«Oh per favore, risparmiatelo. L'ho già sentito...» borbottai, la solita scusa: il problema non sei tu, sono io.

Attraversi la strada proprio di fronte la chiesa «Jess, Jess» mi canzonò seguendomi, eravamo proprio all'entrata del parco «dovresti avere più fiducia in te stessa...»

«E questo che cazzo c'entra?» scattai, non stava a lui venirmi a dire cose delle quali ne avevo già fin sopra i capelli.

Accartocciai l'inutile salvietta che avvolgeva il mio gelato fino a qualche minuto prima e la scaraventai in un secchio al margine della strada con uno sbuffo, non volevo arrabbiarmi con lui ma era una cosa che mi era estremamente difficile da controllare e lui non faceva niente per essere meno irritante.

Il ragazzo in questione fece per ribattere ma s'interruppe «Harry?! Harry!» qualcuno urlò dall'altro lato della strada ed entrambi ci voltammo.

Il reverendo Dan stava sventolando una mano sulla soglia della chiesa e gli faceva segno di aspettare, lo guardai venirci incontro a passo svelto sistemandosi gli occhiali ovali sul naso. Erano secoli che non vedevo quell'uomo, eppure non era cambiato gran che: i capelli erano rimasti dello stesso colore biondo-ramato e gli occhi dello stesso azzurro cielo. La nostra era davvero una piccola cittadina, le persone si conoscevano quasi tutte tra di loro e la parrocchia era una specie di cuore pulsante della comunità; io avevo smesso di frequentarla dall'età di tredici anni, quindi teoricamente la gente si era dimenticata di me.
L'ultima volta che avevo visto davvero il reverendo Dan, dopo tanto tempo, era stato al funerale di mia madre.

«Sera'» rispose Harry con un sorriso educato.

«Come va?» ribatté l'uomo, Harry annuì come per dire che stava bene «ho parlato con tua madre proprio questa mattina, per il quattro è tutto sistemato. Anche quest'anno siamo riusciti a sfruttare i fondi come speravamo. Quindi domenica, sarai dei nostri?» chiese entusiasta.

Da che io mi ricordi, il quattro ottobre è sempre stato un giorno di festa da noi, le scuole chiudevano e in piazza c'era sempre un gran frastuono, tra musicisti e giochi improvvisati. La città veniva addobbata con luci e festoni, i negozi rimanevano aperti fino alle ore piccole e c'erano stand ad ogni angolo delle strade, nessuno circolava in giro in auto e il reverendo Dan -il maggior collaboratore, insieme al sindaco e qualche altro membro influente- sfruttava sempre l'occasione per raccogliere soldi, vestiti, cibo o qualsiasi cosa utile da donare in beneficienza.
Mia madre aveva sempre quella festa e da bambini tra me, lei e James, il quattro ottobre era una specie di rituale, nelle settimane che antecedevano quella data, facevamo di tutto purché la mamma stesse bene per potervi partecipare anche solo per cinque minuti, anche solo per comprare dello zucchero filato che poi ci dividevamo. Ma poi lei era morta e mio fratello si era trasferito a Londra, e tutti quanti avevamo smesso di fare tutto quello che facevamo prima.
Perciò non potevo credere che il quattro ottobre cadesse proprio quella domenica e che io, me ne fossi quasi dimenticata.

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