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Salve a tutti! :)
Scusate il ritardo  ma questi giorni ho avuto un sacco di problemi, tra internet e altro, non ho avuto un attimo di tempo e di pace! 

In ogni caso, spero che questo capitolo vi piaccia e che mi facciate sapere cosa ne pensate, chiedo ancora scusa e grazie mille per continuare a leggere questa storia!

-Anna

PS: il capitolo è corto ma domani o più tardi ne posterò un altro :)

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Uscii di casa in fretta e furia sbattendomi la porta alle spalle e maledicendo mio padre per non avermi svegliato, dov'erano finiti i genitori responsabili che s'interessano dell'istruzione dei figli?
Il mio -l'unico che mi era rimasto, tra l'altro- invece, non si era preoccupato minimamente del fatto che stessi ancora dormendo quando lui era uscito di casa come ogni mattina per andare a lavorare e non si era nemmeno preso la briga di venire a controllare.
Sbuffai percorrendo la strada che mi divideva da scuola -che non era poi molta, ma dopotutto nulla in quella piccola cittadina distanziava tanto- quasi correndo, la campanella sarebbe suonata a momenti e io ero in ritardo.
Perché io sono in ritardo?
Già, perché? Era tutta colpa di Harry Styles e del suo stupido sms al quale avevo preferito non rispondere, ma non per questo era sparito dalla mia testa come avevo sperato, era rimasto lì per tutta la notte a mischiarsi con i mille pensieri che mi affollavano il cervello, confondendoli e corrompendoli.
Ero sempre partita dal presupposto di provare una certa antipatia nei suoi confronti e nel corso degli anni questa mia profonda convinzione non era mai mutata, perché lui era un pallone gonfiato pieno di se, al quale non importa niente degli altri. E invece, cominciavo a pensare che non era vero niente, che la sua era solo una facciata per nascondere chissà cosa, che probabilmente esisteva solo nella sua testa.

DA: Harry 00:04
Non mi aspettavo le tue scuse, pensavo che...non lo so a cosa pensavo.
Dispiace anche a me per com'è andata lunedì, ma penso che potremmo rimediare ;)
Ps: sei carina quando sorridi

Rilessi il messaggio per l'ennesima volta, reprimendo un sorriso stupido. Cominciavo ad assomigliare a Nina con sue profonde analisi sul linguaggio dei ragazzi e sulle -secondo lei- frasi o possibili dichiarazioni nascoste tra le righe. Proprio per questo non l'avrei di certo messa a conoscenza di questo, qualunque cosa fosse. Era già convinta che tra me ed Harry ci fosse una sottospecie di relazione in procinto di nascere e la cosa mi faceva ancora ridere, quasi come la prima volta in cui ci avevo pensato nella prima riunione di gruppo con il professor Castro.
Se fossimo un pianeta, io ed Harry Styles saremmo due emisferi opposti, ai poli estremi; nel suo continente ci sarebbe stato un clima decisamente equatoriale, mentre nel mio uno tendenzialmente arido.
Se fossimo una batteria, io sarei il meno e lui sempre il più, perché era palese che avesse qualcosa in più: era bello, era popolare e le ragazze gli morivano dietro.
Io ero meno, perchè ero meno di niente. Gli amici che avevo si potevano contare sulle dita di una mano e di certo i ragazzi non mi morivano dietro, passavo inosservata come se facessi parte della parete.
«Jess! Ehi Jess aspetta» mi voltai scorgendo Brent che mi veniva incontro correndo, si fermò ad un paio di passi da me e poggiò le mani sulle ginocchia piegandosi leggermente in avanti.
«Va tutto bene?» chiesi poggiandogli una mano sulla spalla, lui annuì riprendendo fiato.
«Si, ho corso fin qui dalle scuole elementari. Questa mattina mia sorella faceva i capricci e non voleva andarci, ho perso un sacco di tempo per convincerla» disse passandosi una mano tra i capelli rossi.
Il cortile della scuola era deserto e i corridoi si stavano velocemente sfollando, eppure mi sentii in dovere di dedicargli un attimo di tempo, sembrava davvero distrutto.
«Non corri spesso eh?» chiesi cercando di trattenere una risata.
Lui scosse la testa con un sorriso «da cosa l'hai capito?» ribatté ironico, questa volta risi e mi seguì anche lui rimettendosi dritto. Brent era molto alto, probabilmente quanto Harry o forse addirittura un paio di centimetri in più, ma era più magro e molto più esile di lui.
Guardò verso l'ingresso sinceramente sollevato «per fortuna abbiamo lezione con Castro alla prima ora» disse con un sospiro risistemandosi la cartella su una spalla e riprese a camminare più adagio «a proposito, perché non sei venuta ieri?» mi chiese.
Alzai le spalle «io ed Harry non andiamo molto d'accordo, avevamo litigato e nessuno dei due aveva voglia di sopportare l'altro evidentemente» ribattei sarcastica camminandogli di fianco.
«Ti capisco, non è facile nemmeno per me. Ethan è davvero un tipo difficile e ha delle situazioni complicate...per la testa. Abbiamo discusso anche noi» rivelò imboccando il primo corridoio.
«Brent, posso farti una domanda?» chiesi d'un tratto, lui sorrise «Certo»
«Ti occupi sempre tu di tua sorella?» ovviamente non erano fatti miei e avrei capito se avesse evitato di rispondere, ma prima o poi ognuno di noi avrebbe comunque dovuto rivelare qualcosa della loro vita, volente o nolente.
Lui mi fissò con i suoi occhi azzurri simili ai miei, aveva le ciglia molto chiare -tipiche di chi ha i capelli rossi- e le lentiggini.
Annuì «vedi...lei ha la sindrome di down e deve essere seguita costantemente. Mio padre è sempre al lavoro e ho altri due fratelli, sono gemelli e hanno più o meno cinque anni, mia madre si occupa tutto il giorno di loro. Nessuno dei due ha tempo di stare dietro a Gail, glielo devo, fanno il possibile per tirare avanti» spiegò fermandosi poco distante dalla classe, la porta era già chiusa. Lo guardai riflettendo: se suo padre si occupava del lavoro, sua madre dei gemelli e lui di Gail, chi si occupava di Brent?
«Posso chiederti anche io una cosa?» io annuii «perché tu te ne stai quasi sempre in silenzio?» quella domanda mi spiazzò un po', anche perché certamente lui non si dilungava in complessi monologhi, ma lui era stato sincero con me e mi sentivo di fare lo stesso.
Alzai le spalle «non sono sicura che la gente voglia sentire davvero quello che ho da dire» ribattei con sincerità.
«Perché? Sei simpatica e a me interessa quello che hai da dire» fece lui «probabilmente anche ai tuoi amici, alla tua famiglia, e sono sicuro che anche ad Harry interessa» bussò con un sorrisetto che gli increspava le labbra e io alzai gli occhi al cielo, eccone un altro.
Perché non potevano semplicemente lasciar correre e basta? Sembrava che avessi cominciato a stilare una lista su quante persone fossero d'accordo che io ed Harry Styles ci mettessimo insieme e che queste, cominciasse ad accorrere numerose. Era già abbastanza difficile gestire i suoi cambiamenti d'umore, non mi serviva che la gente cominciasse a mettermi sciocchezze per la testa.
«Avanti» ribatté il professore dall'altra parte, Brent aprì la porta facendola scorrere sul lato e lo salutò un cenno del capo imbarazzato, scusandosi per il ritardo.
«Brent che piacere, pensavo ti fossi perso!» lo accolse Castro sorridendo «Oh Jess¸ ci sei anche tu!» continuò a sorridere facendoci un cenno per invitarci a prendere posto, ma c'era qualcosa nel modo in cui aveva detto il mio nome che non mi convinceva del tutto della sua cordialità.
Andrew Castro era l'unico professore che mi chiamava Jess, ma lo faceva solo in due circostanze: quando era arrabbiato o quando era spiritoso -ovvero la maggior parte del tempo- e al momento non sembrava tanto in vena di fare battute. Infatti aprì il libro annunciando di dover spiegare e io mi ritrovai ad incrociare lo sguardo di Harry dall'altro capo della classe leggendo il suo labiale: siamo fottuti.

Per tutto il tempo in cui Castro intrattenne la sua lezione, ovvero due interminabili ore, lanciò delle frecciatine alternandosi tra me ed Harry, che sarebbero state anche divertenti se non mi avessero riguardato in prima persona.
Così quando finalmente la campanella alla fine suonò, non sapevo se essere più sollevata o più preoccupata da quello che avrebbe potuto dire il professore, avevo recepito il messaggio: niente assenze ingiustificate.
Si schiarì la voce mentre i ragazzi recuperavano la propria roba per uscire dalla classe «Harry, Jess, vorrei che vi fermaste per un paio di minuti. E anche voi altri ragazzi, voi del progetto» aggiunse rivolgendosi agli studenti, sembrava così calmo che difficilmente avrei potuto prevedere una reazione di qualsiasi tipo.
Noi ubbidimmo rimanendo seduti ai nostri posti e quando gli altri uscirono, Castro chiuse la porta «che diavolo succede adesso?» sbottò Ethan.
Il professore si sedette sulla cattedra intrecciando le mani in grembo «voglio semplicemente una spiegazione dai tuo amici, Ethan» il tono di Castro era freddo come mai prima di allora e un brivido mi corse lungo la spina dorsale, come se un vento gelido si fosse appena messo a soffiare nella stanza.
«È stata tutta colpa mia» cominciò Harry, mi voltai di scatto verso di lui.
«Non è vero» ribattei un attimo dopo.
«Oh per favore, risparmiatemi queste smancerie» commentò Fred disgustato.
«Non m'interessa di chi sia la colpa» ribatté il professore «esigo sapere il motivo»
«Abbiamo litigato» rispose Harry scocciato.
«E questo vi sembra un motivo valido per saltare le mie riunioni di gruppo?!» la voce di Castro si alzò di alcune ottave «hai idea di quanto tempo abbia speso per questo esperimento sociale, Harry? Di quanto mi sia impegnato per fare qualcosa di utile per gli anni avvenire?!»
«Beh, nessuno gliel'ha chiesto» rispose spavaldo, ed eccolo là: il solito Harry.
Il professore rise, senza trovarci nulla di divertente «ma bravo Harry, tu si che sei un ragazzino con le palle. Con la risposta sempre pronta e la convinzione di contare qualcosa di più di tutti gli altri. Notizia dell'ultim'ora: nessuno è migliore degli altri. Io non sono migliore di te, Harry. E tu non sei migliore di un andicappato, cercate di avere un po' di rispetto!»
«Professore...» biascicò Lissa con una mano sulle labbra lucide e appiccicose, anche lei sconvolta quanto noi altri dalle sue parole.
«Mi dispiace, Lissa.» rispose lui passandosi una mano tra i capelli scuri «le riunioni non sono un invito, non più. Sono un obbligo che dovrete rispettare, se non volete ripetere l'anno a causa di studi sociali o avere una nota disciplinare» concluse categorico.
«Ci dispiace, abbiamo sbagliato» intervenni con un sospiro.
Gli occhi del professore, altrettanto scuri quanto i suoi capelli, mi rivolsero uno sguardo meno duro. Sicuramente capiva quanto era difficile per noi tutto quello, avevamo soltanto diciassette anni e non riuscivamo a gestire nemmeno la nostra di vita, figuriamoci farci carico di quella di qualcun altro, altrettanto difficile ed incasinata.
«Ci vedremo domani, proprio qui, alle due e mezza» sentenziò infine Castro.
«Cosa, domani?! Ma domani non c'è scuola!» protestò Lissa.
«Professore la prego, il sabato è sacrosanto per me, non può togliermelo! Ho prenotato per uno scrub a quell'ora!» si lamentò Fred portandosi il dorso della mano sulla fronte come se stesse per svenire, perché doveva essere sempre così eccessivo?
«Io non ci sto!» Ethan diede una manata sul banco «non me ne starò rinchiuso qui dentro a causa di questo stronzo» sbraitò indicando Harry.
«Bada a come parli, Blair» sibilò lui.
«Altrimenti» rispose minaccioso l'altro facendoglisi più vicino e Brent, contro ogni logica, si frappose tra i due «altrimenti che cosa fai, eh? Che cosa fai, Styles? Vuoi picchiarmi?! Accomodati pure, sarà un piacere spaccarti quella faccia di cazzo che ti ritrovi» il professore lo raggiunse afferrandolo per un braccio.
Harry rise «davvero? Provaci allora, vediamo» lo provocò facendo un passo verso di lui, Brent gli mise una mano sul petto cercando di spingerlo indietro.
«Basta» disse Castro strattonando Ethan «non voglio questo genere di discussioni. E voi due non volete altri guai, specie tu Ethan. Vuoi che ti sbattano fuori?» il ragazzo smise di dimenarsi ancora fumante di rabbia, Harry altrettanto.
«Non m'importa che vi stia bene o meno, da questo progetto ne dipende la vostra promozione. Si fa come dico io, verrete qui domani alle due e mezza, tutti voi» disse spingendo appena Ethan verso la porta «potere andare. E che vi serva da lezione, le riunioni non si saltano per motivi stupidi»


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