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Salveeee gente, buon 2016 a tutti!

Spero per voi che l'anno sia cominciato bene, io non ho avuto un attimo di tempo tra studio e altro, quindi mi scuso per il ritardo (come al solito).

Mi farò perdonare postando un altro capitolo domani o dopodomani, visto che mi rendo conto del tempo trascorso e vi capisco, non me ne vogliate!
Beh, spero che il capitolo vi piaccia sopratutto per l'entrata in scena di due bei pezzi di ragazzi ahahaha comunque fatemi sapere cosa ne pensate :)

Grazie mille per seguire la mia storia, Anna.

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«Next Station: King's Kross»

Una voce metallica si propagò all'interno del vagone e io mi rivoltai involontariamente contro il vetro con un mugolio cercando di ritornare a dormire «signorina?» qualcuno mi scosse gentilmente «signorina si svegli» continuò la voce vagamente divertita.
Svogliatamente riaprii gli occhi osservando il paesaggio correre al di fuori del finestrino e gradualmente rallentare, sbadigliai e mi misi meglio a sedere volgendo la mia scarsa attenzione al signore anziano che mi stava seduto accanto «mi scusi» risposi, lui sorrise riponendo il libro che per tutto il viaggio aveva letto nella sua borsa.
«Si figuri, siamo quasi al capolinea» m'informò indicando il finestrino, io annuii rendendomi conto di essere finalmente a Londra.  Mi portai una mano sulla bocca per coprire l'ennesimo sbadiglio visto che quella notte non ero riuscita a chiudere occhio, nonostante dopo una lunga doccia la rabbia si fosse buona parte arginata, ero rimasta comunque tutto il tempo a fissare il soffitto finché non aveva albeggiato, poi mi ero alzata e avevo infilato un paio di cose in un borsone.
Mio padre non aveva fatto molte domande mentre mi accompagnava in stazione, non gli avevo dato motivo di pensare che qualcosa non andasse, per lui stavo semplicemente andando a trovare mio fratello per un paio di giorni.
Ero consapevole che quando sarei tornata non sarebbe cambiato nulla e che quella non era la soluzione più giusta per ovviare al problema, ma per il momento non mi andava di rivedere la faccia dei miei amici finché potevo evitarlo, rimanendo a debita distanza da tutti loro.
Nina mi aveva richiamato un paio di volte da quando avevo lasciato la festa, ma l'avevo ignorata fino a quando aveva smesso di provarci, però lei era testarda e sapevo che non ci avrebbe rinunciato tanto facilmente, probabilmente il mio cellulare era rimasto muto per tutto il viaggio solo perché avevo preso il treno alle 06:22 e -ammesso che fosse tornata a casa sua- stava ancora dormendo.
Il treno rallentò fino a fermarsi in stazione con un lieve fischio dei freni, poi sussultò e con uno sbuffo le porte si aprirono tutte insieme, mi alzai stiracchiandomi appena e afferrai il borsone nello scompartimento sopra la mia testa che l'uomo accanto a me mi aiutò a calare, gli sorrisi appena a mo' di ringraziamento e mi affrettai a seguire un gruppo di persone fuori dal vagone.
Ispirai un'abbondante boccata d'aria che sembrava tanto diversa da quella che si respirava a casa mia -nonostante fossi solo a due ore di distanza- guardandomi intorno alla ricerca di mio fratello che probabilmente stava già imprecando per la folla di gente che si ammassavano sui binari e nell'edificio.
Quella stazione era la mia preferita e per questo ogni volta che venivo a Londra, James assecondava quel mio capriccio e svogliatamente guidava fin lì per venirmi a prendere, nonostante non abitasse propriamente nelle vicinanze.
King's Kross era ampia ed elegante con un soffitto a volta  finemente lavorato, ma c'era un andirivieni di talmente tanta gente tra turisti e pendolari, che nessuno si fermava mai a guardarlo come invece mi ci soffermavo io.
«Jessie!» sentii la voce di James chiamarmi da qualche parte alle mie spalle, così mi voltai e vidi la sua mano sventolare nella mia direzione mentre si faceva largo tra un gruppo di persone senza chiedere minimamente il permesso. Ma quando fummo abbastanza vicini e i nostri sguardi si fusero insieme sorridemmo simultaneamente, poi lui aprì le braccia e io gli corsi incontro come se fossimo ancora due bambini.
«Okay okay, così però mi stritoli! James!» risi infine, cercando di sfuggire alla sua presa protettiva.
Quando mi lasciò andare mi sfilò il borsone dalle mani «come stai sorellina?» mi chiese con una lunga occhiata penetrante.
James mi somigliava molto, aveva dei grandi occhi azzurri parecchio espressivi e i capelli biondi che spesso lasciava crescere fino a sfiorargli le spalle, nel mondo in cui malauguratamente li portava anche Harry. Aveva sempre avuto un'aria un po' ribelle, con un orecchino che gli pendeva dall'orecchio sinistro e il piercing al naso, con un accenno di barba sempre presente sul viso, inoltre aveva anche un paio di tatuaggi ora nascosti dai vestiti.
«Sto bene» mentii «mi mancavi» aggiunsi per giustificare la mia presenza improvvisa e poi era vero, nelle ultime settimane non avevo fatto altro che pensare a lui.
James mi passò un braccio intorno alle spalle guidandomi fuori dall'edificio «mi sei mancata anche tu, Jessie. Come hai passato il quattro?» chiese con finta nonchalance, ma sapevo che era ancora difficile per lui parlare di quel determinato giorno dell'anno, lo faceva solo per me e per alleviare i sensi di colpa che lo tormentavano da quando se n'era andato.
Alzai le spalle «ho fatto un giro alla festa con Nina, niente di speciale» raccontai, omettendo l'altra metà della serata che avevo passato con una delle versioni migliori di Harry. James non rispose e mi rivolse soltanto un breve sorriso ma capii che non era arrabbiato, anzi, forse addirittura sorpreso che fossi uscita per conto mio e fossi andata a godermi la festa dopo tanto tempo.
Aprì il cofano della Ranger Rover nera -che, come auto, personalmente adoravo- e c'infilò il borsone dentro «Come va la relazione di papà?» ribatté cambiando velocemente argomento salendo in auto, lo seguii confusa. Di che diavolo stava parlando?
«Quale relazione?» chiesi basita, lui si mise in strada ridendo.
«Vuoi dire che tu non ne sai niente?» io scossi la testa «qualche settimana fa mi ha detto che stava frequentando una donna» spiegò.
«Non capisco perché non mi abbia detto niente» riflettei ad alta voce. Ma com'era possibile che non mi fossi accorta di niente? Com'era possibile che, nonostante vivessi con lui, avevo dovuto prendere un treno per scoprirlo? Ero davvero così assorta da me stessa e così egoista da ignorare tutto quello che accadeva intorno a me?
Questo mi fece amaramente pensare che il mio comportamento non era poi così diverso da quello di Harry o di Lissa, e di tutti quelli che erano immischiati in quel progetto.  Forse il vero motivo per cui il professor Castro aveva scelto noi sei, era che in realtà ci comportavamo tutti nello stesso modo, sotto forme diverse.
«Dai non te la prendere, probabilmente ti avrà visto più indaffarata del solito e non voleva metterti altre cose per la testa» ribatté mio fratello.
Rimasi in silenzio assorta dalla grande metropoli che scorreva al di fuori del finestrino, Londra aveva sempre avuto qualcosa di affasciante e allo stesso tempo di malinconico e mi piaceva pensare che sarebbe diventata presto anche la mia casa, l'avevo sempre vista come una specie scappatoia, di rifugio per me e soprattutto per mio fratello, così diversa dalla nostra cittadina di provincia dimenticata da Dio.
Ma scappare come avevo fatto non portava a niente di buono e me ne resi conto quando il mio cellulare riprese a squillare e prima che James se ne accorgesse, impegnato com'era a cambiare stazione radio e a bestemmiare per il traffico, lo silenziai. Poi sospirai rivolgendo lo guardo alla strada di fronte a me, andare via non voleva necessariamente dire allontanarsi dai problemi, perchè quelli te li porti sempre dietro.

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