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Devo parlare con Harry.

Già, mi ripetevo questa frase da circa tre giorni eppure non avevoancora trovato il coraggio per farlo. Da quel lunedì non c'eravamo più parlati,non c'eravamo nemmeno rivolti un'occhiata per la verità, niente di niente. Questavolta, sapevo di aver sbagliato io e ammetterlo mi era costato davvero tanto,visto che non mi piaceva avere torto ma ancor meno essere nel torto. Non avrei dovuto essere così invadente o quanto meno precipitosa, nemmeno a mepiaceva che gli altri s'intromettessero nella mia vita privata, perché avreidovuto raccontare ad un estraneo cose strettamente personali? ProbabilmenteHarry la vedeva nello stesso modo e non potevo biasimarlo per il modo in cuiaveva reagito, inoltre quell'esperimento sociale stava stretta a tutti.Le parole del reverendo mi frullavano ancora in testa, non che avessi avuto unaspecie vocazione o qualcosa del genere, ma un po' mi avevano fatto aprire gliocchi. Probabilmente ero troppo concentrata su me stessa, come al solito, percapire i bisogni degli altri. Non mi ero nemmeno chiesta perché Harry mi avesseinvitato di nuovo al parco o del perché l'avesse fatto con tanta insistenzanonostante io fossi apparsa scostante e fredda. Voleva parlarmi? Purtroppo questo non l'avrei mai scoperto, almeno fino quando non avrei messoda parte l'orgoglio per andargli a parlare e magari scusarmi. Forse dovevodavvero porgere l'altra guancia questa volta e stare a vedere cosa succedeva,per una volta mi sarei dovuta fidare delle parole di qualcun altro, chesembrava conoscere Harry da più tempodi me.
Sospirai, era comunque molto difficile perchè tra il mio dire e il fare non c'era di mezzo solo il mare, ma anche vastepraterie, colline verdeggianti, montagne innevate, laghi profondissimi e cittàaffollatissime. Era un vero e proprio casino, una grossa e grassa matassaaggrovigliata della quale difficilmente, di tanto in tanto, riuscivo a trovareil capo.
«Pronto,Jess? Mi senti?» Nina mi afferrò una spalla scollandola con poca delicatezza, riconquistandocon prepotenza la mia attenzione. Di botto, mi ritrovai catapultata nella mensadella scuola, dove il frastuono delle posate che cozzavano contro i piatti e lechiacchiere generali che prima erano coperti dai miei pensieri, mi riempironole orecchie.
«A che cosa stai pensando?» intervenne Isabel «non hai nemmeno toccato cibo»aggiunse, legando i suoi lunghi e lisci capelli castani in una coda alta. Mipiaceva di più quando se li legava, metteva in risalto i suoi grandi occhi chiari.
«Niente di particolare» mi difesi, abbassai lo sguardo sul mio piatto e miaccigliai appena, non ricordavo nemmeno di aver preso il polpettone.
«Io non credo, sono tre giorni che sei così pensierosa.»
«Sono sempre pensierosa, Nina»
«Si ma ora più del solito e guarda caso, proprio dopo la lite che hai avuto conHarry» ribatté.
Alzai gli occhi al cielo con uno sbuffo «non ricominciare» i suoi colorcioccolato mi scrutarono come se stesse cercando di leggermi dentro, avevacapito perfettamente qual era il problema senza che io gliene avessi davveroparlato.
«Oggi è il primo ottobre» se ne uscì Isabel «questa sera c'è la partita, sevuoi parlare con Harry potrebbe essere l'occasione giusta per incontrarlo» laguardai sorpresa e subito dopo mi sentii in colpa, perché spesso non laprendevo nemmeno in considerazione e invece, anche lei aveva capito comestavano realmente le cose.
«Questa è davvero una grandissima idea!» sbottò Nina entusiasta «anche perchéio devo andare a quella partita.Insomma, è la prima di questo campionato e non posso perdermi Niall che gioca,anzi il capitano che gioca. Vedi? Èperfetto, è il ragazzo perfetto.» cominciò, scossi la testa divertita ma il miosorriso sfumò lentamente quando un impegno importante mi solleticò lamente.
«Ma oggi è anche giovedì, il che significa che ho la riunione per quellostupido esperimento sociale» borbottai.
«Però la partita comincia alle sette, l'appuntamento è alle cinque e mezzo» m'informòNina, non mi presi nemmeno la briga di sapere come facesse lei a sapere sempre tutto quello cheriguardava Niall Horan, da una notizia generale come quella a cosa aveva nelvassoio quel giorno. Era una specie di stalker? Che diavolo faceva dallamattina alla sera, lo pedinava?
Comunque sia non era l'unica, se Harry aveva un fan-club, Niall non era dicerto da meno; ma a differenza del suo amico aveva avuto un paio di ragazzefisse nel corso degli anni, che ovviamente Nina odiava.
«Probabilmente Harry non verrà nemmeno oggi» anzi, la cosa non era solo probabile ma certa «e io non ho intenzione di andarci da sola. Lo salterò» lasettimana prima, il professor Castro non aveva detto assolutamente niente adHarry riguardo la sua assenza nell'ultima riunione, perché avrebbe dovuto conme?
Non mi andava di rivedere la faccia di Lissa o le sue tette che strabordavanodalla maglietta, né tantomeno ascoltare i commenti di Fred o le sue continuelamentele. Ethan aveva smesso di essere cattivo -o sincero, dipendeva dai puntidi vista- solo con Brent, per il resto era rimasto più o meno uguale.
«Facciamo così allora, passo a prendervi alle sei e mezza» Nina si alzòsistemandosi i capelli castani che sfumavano nel biondo dietro le orecchie «perora vi saluto, devo andare a lezione di matematica avanzata e devo essere lì inanticipo, la Barton è davvero un mostro» si giustificò, svuotò il suo vassoioin un cestino ed uscì dalla mensa.
Nina Coleman non era così svitata come voleva far sembrare, anzi era una vere epropria cervellona. Aveva un quoziente intellettivo al di sopra della media euna memoria fotografica, frequentava tutti i corsi avanzati ed era proprioquello il suo problema. Era così concentrata a nascondere la sua mentebrillante dietro migliaia di cotte e storielle d'amore, che a volte sidimenticava perfino chi fosse lei, forse era per quello che i suoi ragazzi nonerano mai durati per più di qualche mese.
«Jess, ti ricordi di Jason?» mi chiese Isabel all'improvviso, le scoccaiun'occhiata pensierosa prima di collegare quel nome ad un volto.
«Il ragazzo della biblioteca?» domandai, lei annuì mordendosi il labbro.
«Mi ha invitato alla festa domenica, cioè insomma...un appuntamento» la mia amicaarrossì, e io sorrisi intenerita. Isabel un po' mi somigliava, era timida e lepiaceva leggere, passava spesso del tempo nella biblioteca comunale eprobabilmente conoscendola aveva letto tutti i libri che c'erano.
Da un po' di tempo ci lavorava questo ragazzo, Jason, che aveva qualche anno inpiù a noi e andava all'università. Ero felice per Isabel perchè era chiaro,anche se non l'aveva mai detto esplicitamente, che lui le piacesse e viceversa.
Chissà perché io non piaccio mai anessuno.


Era la prima volta che andavo ad una partita di calcio in quasi quattro anniche frequentavo quella scuola, non mi aveva mai entusiasmato guardare ventidueragazzi che litigano per una palla e a chi la mette prima in una porta. Nonavevo mai capito cose del tipo "calcio d'angolo" o "fuori gioco" per non parlaredi come distinguere un fallo da un'azione regolare, il compito dell'arbitro eradavvero un mistero per me, nonostante vivessi con due uomini fino ad un paio di anni fa.
Comunque sia sapevo, tramite Nina ovviamente, che la prima partita del semestresi giocasse sempre in casa e che se l'avessimo vinta -cosa molto probabile-, lanostra squadra avrebbe girato nei dintorni per sfidare altre scuole, comesolitamente accadeva.
«È bellissimo, incredibilmente sexy...come può esistere un essere tanto perfettoal mondo?» blaterò Nina seduta affianco a me, Isabel ridacchiò sorseggiando lasua coca-cola.
«Lo sai che prima portava l'apparecchio? Al secondo anno avevamo un corso incomune e portava l'apparecchio, tecnicamente non è così perfetto di natura» lefeci presente.
Harry era momentaneamente in panchina e sembrava uno al quale era appena mortoil gatto, se ne stava con le braccia incrociate al petto e le sopraccigliaaggrottate, nella solita espressione che adottava quando non capiva qualcosa oqualcuno non faceva quello che lui voleva.
«Beh, e adesso è perfet-» e come se non bastasse, aveva appena segnato. Lafolla scattò in piedi e Nina diede un urlo che probabilmente mi fece perderel'udito dall'orecchio destro, alzai gli occhi al cielo scuotendo la testa. Poisospirai, che c'ero venuta a fare? E se lui non voleva parlarmi?
Ma la questione era sostanzialmente un'altra: che cosa gli avrei detto? Nonavevo la più pallida idea di come cominciare una conversazione con lui.
Comunque all'inizio del secondo tempo Harry entrò in campo, Niall gli passò unbraccio intorno alle spalle e gli disse qualcosa all'orecchio, m'irrigidiisulla sedia scomoda di quegli spalti luridi quando il suo sguardò puntò drittosu di me.
Cazzo, e adesso?
Nina mi diede una gomitata e il coach Adams fischiò prima dell'arbitro, eratipico del nostro professore di ginnastica essere prepotente e spaccone, speciequando sapeva di avere la vittoria in tasca.
«Hai visto?» mi chiese Nina, Isabel si affacciò oltre di lei per guardarmi infaccia.
«Non so tu, ma io ho visto benissimo» commentò, ora ci si metteva pure lei.
«Smettetela» risposi stizzita, loro si misero a ridere.
Come c'era d'aspettarsi, la nostra scuola aveva praticamente stracciato quellaospite, Niall aveva segnato altre due volte e infine il quarto goal -che avevamesso fine alla partita con un netto vantaggio, visto che l'altra squadra avevasegnato soltanto una volta- l'aveva ottenuto il numero quindici, che non avevoidea di come si chiamasse.
Ci alzammo dagli spalti, i ragazzi erano spariti esultando negli spogliatoi daiquali ci fermammo poco distante, insieme ad altri gruppi di ragazzi e ragazzeche aspettavano la squadra per congratularsi. Sbuffai appoggiandomi alla reteplastificata che delineava il campo «forse è meglio che ce ne andiamo» dissimordendomi il labbro nervosa.
«Non se ne parla nemmeno, siamo qui solo per questo» ribatté Isabel.
«Beh, per la verità non solo ed esclusivamente per questo» commentò Ninabeccandosi un'occhiataccia «okay, okay Is...volevo solo alleggerire l'atmosfera»un coro di voci coprì l'ultima parola che sfuggì dalle sue labbra.
I ragazzi uscirono dagli spogliatoi e vennero praticamente circondati dallarestante parte -che era una buona parte- del corpo studentesco che si complimentaronoe congratularono, augurandogli di andare in finale anche quest'anno.
Quando la folla si diradò, molti si avviarono al parcheggio mentre altririmasero a chiacchierare ancora per un po', vidi Harry venire nella miadirezione e mi si gelò il sangue. La mia era stata davvero un'improvvisata eall'inizio mi era anche sembrata una buona idea, adesso era davvero pessima. Epoi non avevo previsto che lui venisse a parlarmi di sua spontanea volontà, erodavvero nel panico.
«Ciao» disse piatto.
«Noi ti aspettiamo alla macchina, Jess» s'intromise Nina, gli occhi verdi diHarry si spostarono per un breve attimo sulle mie amiche e poi tornarono adinchiodarmi dov'ero.
Annuii e loro si allontanarono «sei venuta per farmi un'altra ramanzina per ilprogetto? Beh, sarò sincero: questa volta non ci volevo venire e non mi èsembrato necessario avvertirti» tipico.
Ma non volevo arrabbiarmi di nuovo con lui, avrei dovuto essere paziente«Scusa» dissi semplicemente.
I suoi occhi si allargarono sorpresi «come?» biascicò.
«Volevo chiederti scusa, mi dispiace per com'è andata lunedì» riuscii a dire,cavandomi quelle maledette parole dal cervello.
«Oh...» lui si passò una mano tra i capelli «ehm...no, non devi chiedermi scusa.Cioè insomma, ho esagerato anche io e sono stato uno stronzo ad andarmene così»disse e io feci un passo indietro sconvolta, Harry Styles aveva appena ammessodi aver sbagliato, questo si che era un avvenimento paranormale.
Mi morsi appena il labbro «comunque non ci sono andata nemmeno io, allariunione con Castro» confessai, lui annuì appena senza fare ulteriori domandeal riguardo.
«Harry amico, dai vieni! Il coach ci offre la pizza!» lo chiamò un ragazzodella squadra, che si fermò ad aspettarlo con un altro paio di loro.
Io feci un sorriso imbarazzato «dai vai, ci becchiamo in giro» aggiunsi ironicafacendolo ridere.
«Ci vediamo domani, Jessica» rispose invece, come se fosse una promessa.
«Jess!» lo corressi facendogli una linguaccia.
Lui sorrise alzando le spalle a mo' di scuse e si allontanò con i suoi amici, nonprima di essersi voltato altre due volte. Tuttavia io rimasi lì ancora perqualche minuto da sola a fissare il campo da calcio oltre la rete: che cosa era appena successo?


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