BRAVERY

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HARRY

Me ne stavo nel letto tutto raggomitolato in un piumone verde che mi avvolgeva tutto, capelli compresi. L'unica cosa di me che emergeva da quel groviglio di coperte erano gli occhi e il naso.
Era domenica, dalla sparatoria erano passati due giorni, eppure il mio corpo era ancora soggetto a brividi freddi che mi inducevano a sotterrarmi in un ammasso di lenzuola. Ma almeno il terrore iniziale era sparito, ora mi sentivo decisamente più calmo, ora ero di nuovo in grado di starmene da solo senza essere travolto da un attacco di panico.
La notte dopo la sparatoria mia madre aveva dormito assieme a me, stringendomi a lei ed accarezzandomi proprio come faceva quando ero un bambino. Inutile dire che anche lei si era spaventata a morte: aveva già perso un marito per colpa di una pistola, sapere che il proprio figlio era rinchiuso in una scuola con un pazzo armato, certamente non era stato un toccasana per i suoi nervi.
Era stata un'esperienza terribile, i ricordi dolorosi che per anni avevo tentato di cancellare dalla mia memoria erano tornati a galla in un baleno: quella faccia deformata dalla rabbia difronte a me, gli occhi neri come la pistola che mi era stata puntata addosso, il mio urlo spaventato "Salvami papà!". Mio padre che in men che non si dica si era gettato addosso a quell'uomo, beccandosi la pallottola che era destinata o a me o a mia sorella. Il frastuono dello sparo, il corpo esamine del mio salvatore in una pozza di sangue, i suoi occhi vuoti, la bocca piegata in un ultimo sorriso, la polizia che si era avventata sul pazzo armato di cui non avevo mai voluto sapere il nome. Ed infine le sirene, le grida disperate di mia madre completamente sdraiata sopra il cadavere del marito, lo svenimento di mia sorella.
Quel fatidico 17 novembre.
Avevo rivissuto tutta la scena, mi era passato tutto di nuovo davanti agli occhi. Durante la sparatoria non mi ero più sentito in quella biblioteca, non avevo più diciotto anni, ero tornato piccolo, ero tornato in quella strada, ero tornato in quel 17 novembre.
Ma una voce mi aveva fatto emergere da quel vortice di memorie nel quale ero caduto, una voce acuta, cristallina, la voce di Louis Tomlinson. Mi aveva chiamato per nome, mi aveva fatto ragionare, mi aveva rassicurato. Le sue braccia forti mi avevano trattenuto, consolato, mi avevano stretto a lui, mi avevano impedito di crollare del tutto. Le stesse mani che giorni prima mi avevano picchiato, in quella biblioteca mi avevano accarezzato, sostenuto.
Lui in quel momento era stato la colla che mi aveva tenuto intero, che aveva fatto in modo che non mi frantumassi di nuovo. Lui aveva evitato che mi spezzassi ancora e gliene ero infinitamente grato. Molto probabilmente Niall non sarebbe riuscito a rimettermi insieme una seconda volta, e questo il biondo lo sapeva.
Lo avevo capito dalle condizioni in cui era quando mi aveva riabbracciato, nei suoi occhi avevo letto la più terribile paura di non ritrovare più l'Harry Styles che ero diventato, ma di trovarsi davanti quello che ero stato da bambino. Aveva visto il terrore di dover ricominciare tutto da capo, di non essere più in grado di riaffrontare ciò che era successo.
E se il vecchio Harry, quello depresso, quello con gli occhi spenti ed una smorfia infelice incisa perennemente sul viso, non era tornato era stato solo merito di Louis Tomlinson. Gli ero debitore e ne ero perfettamente conscio ed io odiavo, detestavo con tutto me stesso essere in debito con una persona.
"Harriccio?"
Una testa bionda, fasciata da un cappellino di lana grigio comprensivo di pon-pon sulla punta, fece capolino dalla porta di camera mia.
"Hey Ni" lo salutai ancora imbacuccato per bene.
"Papà e Anne hanno chiamato dicendo che ne hanno ancora per un paio d'ore" mi informò sedendosi sulla mia scrivania, dopo aver lanciato un occhiata esasperata nel vedermi nascosto nel piumone. Era da due giorni ormai che entrambi i nostri genitori passavano ore su ore a scuola per fare sopralluoghi ed accertamenti, in modo che il giorno seguente le lezioni avessero potuto svolgersi normalmente. "Ho cucinato la cena" aggiunse fiero.
"Fammi indovinare: uova e pancetta?" domandai certo di aver fatto centro, infondo era l'unica cosa che sapeva fare in cucina.
"Sì, ma sono le speciali uova alla Horan" mi informò un po' sulla difensiva.
Chiamarle "speciali" era un po' un'esagerazione dal momento che l'ingrediente segreto era del normalissimo formaggio fuso sparso sopra.
"Come posso rifiutare una simile delizia?" mormorai sarcastico, con il risultato che Niall mi lanciò ferocemente un penna agguantata alla cieca sulla mia scrivania, centrandomi in piena fronte.
"Ti aspetto di sotto! Ora!" esclamò inviperito, prima di uscire a grandi passi.
Di malavoglia, sbuffando sonoramente, mi alzai dal mio comodo letto, niente affatto intenzionato a lasciare lì le coperte che mi seguirono in tutto il mio tragitto fino alla tavola da pranzo, apparecchiata in maniera decisamente caotica.
Mi sedetti in malo modo sulla sedia, cercando di far emergere le braccia dal mio guscio di lenzuola per iniziare a mangiare.
Il mio amico mi guardò con un'espressione divertita, già dimentico della mia offesa al suo piatto di punta, ed iniziò a parlare sputacchiando cibo ovunque.
"Papà dice che hanno messo dei controlli di sicurezza all'entrata. Dovremo passare sotto uno di quei macchinari che ci sono negli aereoporti per verificare che nessuno abbia armi addosso, non so bene come si chiamino..."
"Tranquillo, ho capito a cosa ti riferisci" lo interruppi, ficcandomi in bocca una generosa quantità di uova. Era il primo pasto che facevo dalla sera precedente, visto che ero rimasto tutta la domenica a rotolarmi pigramente nel letto. Evitai di commentare quanto fossero secche, cercando di apprezzare il gesto gentile.
"Ecco" continuò lui "Se qualcuno entrerà a scuola armato suonerà un allarme assordante e l'agente di polizia che sarà di guardia lo acciufferà al volo. Così non ci saranno più casini come quello di venerdì!"
"Si spera..." sospirai dubbioso. Quella di aumentare la sicurezza era certamente una buona idea, ma era più che risaputo che quei controlli potevano essere raggirati in qualche modo.
La mia risposta non piacque affatto a Niall, che mi lanciò uno sguardo misto tra l'esasperazione e la rabbia.
"Harry, piantala. Non è così che dovresti reagire. Sei vivo e vegeto, dovresti esserne contento, no? Non sei tu quello che lotta perchè ciascuno capisca il valore di ogni singola vita? Non è per questo che vuoi diventare un avvocato?" mi rimproverò, puntandomi contro la forchetta come se fosse un'arma, cospargendo pezzetti di uova ovunque.
Sospirai nuovamente, aveva ragione. Aveva dannatamente ragione.
Dovevo solo riprendermi da ciò che era successo ed andare avanti con la mia vita. E sapevo benissimo di cosa avevo bisogno per girare pagina e proseguire serenamente.
"Niall, ho una proposta" dissi con voce sicura. Certamente dopo mi sarei sentito meglio, molto meglio.
Mi lanciò uno sguardo curioso, invitandomi a proseguire.
"Domani, dopo le lezioni, andiamo al cimitero?"
Mi sorrise all'istante, aveva già capito che cosa necessitavo di fare. Gli sorrisi di rimando, certo che avrebbe accettato.
"Sicuro!"



A change would do you good || Larry Stylinson AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora