MINE

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HARRY

"Sono a casa!" annunciai entrando dalla porta, già psicologicamente preparato ad una ramanzina eterna per essere stato fuori tutta la notte senza avvertire.
"Ciao tesoro" mi salutò tranquilla mia madre, seduta sulla poltrona del salotto, tutta intenta a leggere un romanzo e a sorseggiare una tazza fumante, molto probabilmente contenente del caffè.
Rimasi sorpreso da quell'accoglienza completamente diversa dalle urla e dall'isteria che mi ero immaginato.
"Ti sei divertito da Marc?" mi domandò alzando gli occhi dalle pagine del suo libro.
"Marc?" chiesi confuso. Chi diamine era Marc?
"Marc Masters, tesoro" rispose con ovvietà "Di chi credevi che stessi parlando scusa? Sei rimasto a casa sua fino ad'ora, mi sembra piuttosto logico che mi riferissi a lui."
Rimasi qualche secondo zitto e fermo, il battito cardiaco inspiegabilmente accelerato. Cosa avrei dovuto rispondere in una situazione del genere? Mi ero preparato un'enorme scusa per spiegare la mia assenza senza dover coinvolgere Louis e ora mi ritrovavo con in mano una storia completamente inventata che , mi toglieva fuori dai guai, ma della quale io non avevo nessun controllo.
"Sì giusto, è stato bello" decisi di rimanere sul vago per non dare delle informazioni che magari stonavano totalmente con quelle che aveva lei.
Mi ritirai in camera senza dire altro, non capivo cosa centrasse Masters in tutta questa faccenda. Non lo vedevo dall'ultimo allenamento con Niall, non avevo mai avuto chissà quale rapporto con lui; lo reputavo un ragazzo simpatico, ma non capivo proprio come fosse coinvolto nella mia serata.
Mi gettai a faccia in giù sul letto, a braccia e gambe spalancate, avevo così tante cose per la testa: mi ero alzato con un'emicrania tremenda causata sicuramente dall'alcool, ero anche abbastanza nauseato ma Louis mi aveva rassicurato dicendomi che era assolutamente normale, tra poche ore mi sarei sentito meglio. Dovevo solo tenermi lontano dalla caffeina per evitare di rallentare la digestione dell'alcool il che, siccome che il caffè nemmeno mi piaceva, non mi costava poi chissà quale sacrificio.
Girai la testa verso la scrivania dove il libro di matematica giaceva intoccato, avevo perso tutta la mattina a letto con Louis a dormire, a parlare di stupidaggini e a farmi prendere in giro per tutte le cavolate che avevo detto quando non ero pienamente in me. Era stato così bello passare ore a guardarlo sorridere, occhi negli occhi. Avevo notato un sacco di piccoli particolari di lui ai quali non avevo mai fatto caso, come ad esempio il fatto che avesse un minuscolo neo proprio sulla punta del naso, piccolo e nascosto ad uno sguardo superficiale e che avevo trovato adorabile, o come le rughette che gli si formavano ai lati degli occhi ogni qual volta scoppiava in una risata sincera, o che quei due pozzi azzurri andavano via via scurendosi verso l'interno, fino a contornare di un blu notte la pupilla. E le sue braccia, così scure, muscolose, calde, tatuate... Dio, erano così... così... Oh Dio, ero completamente partito, andato, ora capivo cosa erano le così dette farfalle nello stomaco. Anche se forse non era lo stomaco a sentirsi sottosopra, era qualcosa di più in alto, le farfalle le sentivo molto più vicine al cuore che allo stomaco.
Mi sentivo felice, mi sentivo assurdamente felice, abbracciai il cuscino sprofondandoci dentro con la faccia e sorridendo come un cretino.
Il cellulare mi avvertì con un fischio che avevo ricevuto un messaggio, scattai a sedere afferrandolo dalla tasca dei jeans di fretta e furia. Louislouislouis.
Rimasi parecchio deluso quando sullo schermo comparve un numero sconosciuto, ma forse era troppo presto per ricevere un SMS da lui, infondo non era passata nemmeno mezz'ora da quando ci eravamo salutati un'ultima volta.
*Ho io la tua giacca. Marc.*
A quella vista strabuzzai gli occhi, Masters? Ancora lui? Come faceva ad avere il mio numero di telefono? Perché mia madre era convinta che avessi passato la notte da lui e, soprattutto, perché diamine aveva lui la giacca che avevo lasciato a casa di John Smith?
Un altro fischio, un altro messaggio:
*Puoi passare a prenderla ora se non sei impegnato con Tomlinson. Abito nella casa rossa dietro al panificio, non puoi sbagliare.*
La mia attenzione si focalizzò subito sul suo "se non sei impegnato con Tomlinson", sentivo il cuore rimbombarmi nelle orecchie, che cosa stava a significare? Aveva visto qualcosa? Ci aveva scoperti? O magari intendeva che fossimo impegnati nella ricerca e io mi stavo facendo mille paranoie per niente?
*Arrivo* digitai in risposta uscendo di corsa dalla camera e agguantando una delle varie giacche di Niall sparse per il salotto. Avevo bisogno di avere delle risposte, dovevo accertarmi di ciò che sapeva e di ciò che non sapeva.
"Mamma vado da Masters, ho dimenticato lì la giacca" gridai sbattendo la porta d'ingresso e correndo a più non posso verso il panificio, l'ansia che cresceva ad ogni passo. Avvistai la casa rossa verso la quale ero diretto e mi affrettai a raggiungerla per poi suonare il citofono.
"Chi è?" domandò una voce femminile.
"Harry Styles, un compagno di Mast... di Marc" mi corressi velocemente.
La serratura scattò ed entrai, accolto subito da un enorme cane nero che mi saltò addosso abbaiando e scodinzolando. Cercai inutilmente di staccare il suo naso dalle mie parti intime ma quel bestione era più forte di me. Odiavo i cani, perché mai dovevano sempre annusare allo sfinimento le parti basse delle persone?
"Chanel! Vieni qui, lascia stare Harry."
Masters comparve sulla porta e il cane, appena vide il suo padrone, trottorellò felice verso di lui, sedendosi ai suoi piedi e accogliendo con gioia le carezze che gli riservò.
"Brava, Chanel."
Se non avessi avuto la testa occupata dalla preoccupazione e da mille scenari negativi possibili, probabilmente mi sarei fatto una risata nello scoprire che quell'animale mastodontico si chiamava Chanel.
"Ciao Styles" mi diede il benvenuto con un sorriso in viso, facendomi cenno di seguirlo all'interno della sua dimora. Non incontrai né genitori né fratelli, anche se dal rumore che fuoriusciva da alcune porte avevo la certezza che non fossimo soli.
Arrivati in quella che presumevo fosse camera sua mi invitò a sedermi sulla sedia appoggiata alla scrivania, mentre lui si adagiava sul letto difronte a me.
"Allora... bella festa ieri da John Smith, eh?" esordì sorridendo.
Perfetto, almeno sarei potuto subito arrivare al sodo.
"Non mi piacciono un granché le feste" risposi.
Decisamente la festa non rientrava nei tre momenti migliori della notte appena trascorsa, forse non rientrava nemmeno nella top ten.
"Beh, ti ho visto parecchio... come dire, euforico, ecco."
No, a quella festa non ero stato euforico, ero stato imbarazzante, ubriaco, ero stato un deficiente che aveva messo a rischio il segreto tra me e Louis.
"Sì, avevo bevuto un po'..." mormorai sventolando la mano come a voler dire di sorvolare su questo particolare. "Infatti quando me ne sono andato ho dimenticato il cappotto, grazie per averlo preso tu"
"Figurati, avevo capito subito che né tu né Tomlinson avreste pensato al tuo cappotto, non mi sembravate molto concentrati sul freddo."
Sentii il cuore sprofondare al livello delle caviglie e probabilmente assunsi un' espressione totalmente impanicata perché subito lui liberò una risata chiassosa per poi aggiungere:
"Tranquilli, non dirò nulla a nessuno, non ho ben capito cosa ci sia tra voi ma non ho intenzione di rivelare il vostro segreto."
"Quale segreto?" domandai con un filo di voce, maledetta traditrice che non era uscita forte e sicura come la volevo. Non avrei risolto nulla mettendomi sulla difensiva, lo sapevo bene, ma in quel momento tutto il mio corpo era scollegato dalla mia volontà. Davanti a me vedevo solo un Louis arrabbiato come non mai, mentre si vergognava davanti agli altri di essere uscito con me, di avermi baciato, di avermi accarezzato, di aver passato la notte assieme.
"Presumo che tu non abbia dormito nel tuo letto questa notte" riprese con un sorrisetto malizioso, guardandomi intensamente con i suoi occhi marroni, indagatori e curiosi.
"Presumi male."
"Quindi mi stai dicendo che quando ho chiamato tua madre dicendole che avresti dormito qui, lei ha acconsentito a lasciarti stare con me anche se in realtà eri nel tuo letto? E fammi capire, in ore e ore che hai passato in camera tua non hai trovato il tempo per cambiarti? Indossi gli stessi vestiti di ieri sera."
Ogni frase uscita dalle sue labbra era un pugno lanciatomi in pieno stomaco. Ma non uno qualsiasi, era un pugno con una mano di ferro probabilmente appartenuta a qualche supereroe mega-forzuto.
Boccheggiai alla ricerca di una qualche risposta, iniziando a torturarmi le mani. Niente, non mi veniva in mente nessuna scusa plausibile che giustificasse la risposta di mia madre e i miei abiti.
Vedendo che rimanevo in silenzio mi sorrise un'altra volta, sembrava amichevole, ma chi poteva dirlo con sicurezza? Chi mi avrebbe accertato che in realtà non avesse avuto intenzione di spettegolare su di noi con tutta la scuola? Non lo conoscevo così bene da poter sapere se fidarmi di lui oppure no, anzi, non lo conoscevo proprio per niente.
"Avete passato una buona nottata? Immagino di sì, cavolo, con Tomlinson nel letto non può non esserla stata!"
Assottigliai lo sguardo, questa volta infastidito da ciò che aveva detto, voleva per caso dire che gli sarebbe piaciuto passare una notte con Louis? O, peggio, che aveva già passato una notte con lui? Sentii come la puntura di uno spillino all'altezza del cuore mentre il sangue mi ribolliva nello stomaco. Era una strana sensazione, di quelle che avevo sentito solo poche volte nella mia vita: nei primi momenti in cui Niall era entrato a far parte della mia famiglia e avevo dovuto imparare a dividere con lui i miei oggetti, i miei spazi, mia madre; negli attimi in cui mia sorella tornava a casa da scuola con dietro la sua schiera di ammiratori mentre io camminavo dieci passi indietro tutto solo; negli istanti in cui mi sentivo il brutto anatroccolo della famiglia durante gli incontri con i parenti, mentre Gemma e Niall venivano elogiati per la loro bellezza; nell'unico momento in cui Kristy Stewart aveva preso un voto più alto del mio in economia, interrompendo la mia serie di risultati migliori della classe. Era, cioè, la stessa sensazione che avevo sempre classificato come gelosia.
"Questi penso siano affari miei" dissi a denti stretti.
Rise ancora. "Davvero Styles, non ho intenzione di fare nulla contro di te, voglio esserti amico, credimi."
"Perché?" domandai subito.
Nessuno aveva mia avuto interesse nel diventarmi amico, nessuno. Niall era stato costretto dalle circostanze e lui era l'unica persona non imparentata con me che potessi definire davvero "amico". Non capivo perché ora, di punto in bianco, Masters volesse avvicinarsi a me. Era sempre stato il più gentile con me all'interno del nostro gruppo di ricerca e durante gli allenamenti fisici in vista della sfilata avevamo chiacchierato qualche volta, ma niente di più.
"I nostri compagni sono tutti uguali, tu invece sei un tipo interessante. Mi incuriosisci" rispose alzando le spalle con semplicità.
Arrossii un po' a quelle parole, cosa avevo di interessante proprio non lo capivo.
"Interessante?" ripetei, magari era un modo carino per dirmi che ero strano.
"Sì. Sembri il solito secchione gracilino e timidino ma nascondi un fisico statuario, ti vesti come un nonno ma ti imbarchi in un progetto di moda, hai l'aria del verginello pudico ma esci con Louis Tomlinson... Sei un ossimoro vivente, capisci? Lo trovo interessante."
Rimasi in silenzio a soppesare quella descrizione che mi rappresentava appieno. Aveva perfettamente ragione, io ero un ossimoro. O meglio, io ero diventato un ossimoro. Prima Niall e dopo Louis mi avevano trasformato in qualcuno in completo contrasto con ciò che io credevo di essere. Il secchione gracilino costretto ad allenarsi fino a non riuscire più a concepire una giornata senza fare almeno un'ora di sforzo fisico; la moda che per quanto avessi tentato di respingerla si era imposta all'interno della mia vita, obbligandomi ad affrontarla per raggiungere il mio scopo, la Columbus; ed infine Louis che con la sua sola presenza mi faceva sempre uscire dai miei schemi. E tutto questo a me stava bene, forse perché ero stufo di essere il solito Harry, il brutto anatroccolo, quello strano, quello concentrato solo sul dovere. Volevo andare alla Columbus, volevo diventare un avvocato, volevo difendere le persone innocenti, incriminare quelle colpevoli. Ma volevo anche smetterla di sentirmi quello sfigato, quello fuori posto, quello strano, quello invisibile. Dovevo solo riuscire a trovare un equilibrio armonioso tra queste due parti del mio stesso essere per poter realmente essere me stesso.
Masters aveva centrato il punto, mi aveva fatto ragionare e forse trovare anche la soluzione.
"Grazie" gli dissi, sia per il suo complimento che per avermi inconsciamente aiutato.
Mi sorrise e, se pur ancora un po' riluttante, ricambiai.
"Posso riavere il mio cappotto?" domandai, la tensione che mi aveva attanagliato per tutto il nostro colloquio stava piano piano scemando.
"Certo."
Mi ripresi la giacca e Masters mi riaccompagnò alla porta, salvandomi da un nuovo attacco di annusate da parte di Chanel.
"Bel nome per un cane" commentai allora uscendo.
"Grazie. Ci vediamo domani a scuola, Styles" mi salutò sorridendo, gli occhi scuri, caldi e dolci, mi ricordavano un cerbiatto.
"Chiamami Harry" dissi, volevo dargli una possibilità, volevo uscire dai miei schemi senza l'aiuto di Niall o Louis, volevo provare ad essere un Harry più omogeneo, volevo smetterla di essere un completo ossimoro.
Il suo sorriso si fece più ampio "A domani, Harry."
"A domani, Marc."




A change would do you good || Larry Stylinson AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora