DATE

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HARRY

Avevo sempre odiato spogliarmi in pubblico, non ero affatto a mio agio all'idea di mostrare spudoratamente a tutti il mio corpo, detestavo attirare l'attenzione della gente, vedere i loro sguardi rivolti verso di me pronti ad emettere giudizi. Eppure ero disposto a sfilare su una passerella, ero disposto a mettermi in mostra, ero disposto a girare mezzo nudo per la palestra per farmi misurare, ero disposto a rischiare un infarto cardiaco a farmi toccare dalle mani di Tomlinson e dal suo metro. Per quella A, per la Columbus ero pronto ad affrontare di tutto.
Per una cosa però non ero affatto preparato: l'idea di dover andare ad un appuntamento. Che poi non sapevo nemmeno se si potesse definire "appuntamento" quello che mi aveva dato Tomlinson, mi aveva semplicemente ordinato di farmi trovare in un determinato luogo ad una determinata ora, senza chiedermi né un parere né una conferma e io, da buon cagnolino che segue il suo padrone, avevo obbedito senza fiatare. Ecco come mi sentivo: un cane. Un cane per di più abbandonato visto che lo stavo aspettando seduto sul marciapiede da ormai più di venti minuti. Mi aveva preso in giro, forse? Si era dimenticato di me? Avevo così poca importanza per lui? Ero semplicemente un passatempo da usufruire nei momenti in cui si annoiava? E, soprattutto, perché mai mi stavo facendo tutte quelle seghe mentali?
Avevo appena deciso di alzarmi per tornarmene a casa quando un'automobile grigio chiaro, dalle forme arrotondate e dall'aria decisamente femminile, fece il suo ingresso all'interno della via nella quale abitavo. Dal posto del guidatore spuntava il volto ormai più che noto di Louis Tomlinson.
Mi fece cenno con la mano di entrare e, quando mi accomodai nel sedile affianco al suo, mi accolse con un ampio sorriso che mise in mostra la perfetta fila di piccoli denti bianchi che possedeva.
"Scusa il ritardo, ma dovevo assolutamente finire quello" disse indicando con il pollice il sacco bianco adagiato con cura sui sedili posteriori.
"Cos'è?" domandai subito curioso.
"Il tuo vestito per la serata, meglio conosciuto come l'outfit numero sei" mi rispose mettendo in moto il veicolo.
Lo guardai scettico prima di protestare un pochino confuso "Ma... ma io sono già vestito..."
Mi riservò un'occhiata divertita prima di scoppiare in una sonora risata "Hazza, quelle cose che hai addosso non si possono definire nemmeno lontanamente abiti."
Hazza, ancora quell'assurdo nomignolo nato in un contesto ancora più assurdo che però suonava decisamente meglio dei "Quattrocchi" e "Secchione" con i quali era solito apostrofarmi.
"Preferirei non cambiarmi" annunciai con voce un po' più ferma.
"Mi spiace, ma ho lavorato duramente per completarlo in tempo" replicò immediatamente.
"Non lo voglio indossare" ribadii prontamente.
"Harry, sembri un bambino capriccioso, sono dei semplici abiti!"
"Io non ti sto imponendo di vestirti in una determinata maniera!" protestai ad alta voce. Ero nervoso, arrabbiato e forse anche un po'umiliato: perché non potevo andargli bene così com'ero?
L'atmosfera tra noi era radicalmente cambiata, si era fatta più tesa ed in nostri toni si erano fatti più maleducati, come quelli che utilizzavamo all'inizio della nostra collaborazione forzata.
Vidi le sue dita stringere con potenza il volante, tanto da farsi sbiancare le nocche, e i suoi occhi assottigliarsi.
"Styles!" sbottò, tornando a chiamarmi per cognome.
"Tomlinson" gli risposi immediatamente, sostenendo la sua occhiata infuocata.
Un ringhio rabbioso gli sfuggì della gola prima che sterzasse improvvisamente e ad una velocità inaudita in una stradina sterrata sulla destra. Mi aggrappai forte alla portiera, terrorizzato dalla sua manovra. Non appena fummo abbastanza lontani dalla strada principale inchiodò, tirando allo stesso tempo il freno a mano, in modo da alzare un polverone incredibile e facendo sbandare il veicolo.
"Sei impazzito?" gli urlai in faccia una volta fermi, avevo rischiato di schiantarmi contro il cruscotto ma la cintura di sicurezza mi aveva salvato appena in tempo. "Vuoi per caso morire o farmi morire? Ti sembra il modo di guidare?"
"Perché non puoi semplicemente fare come ti si dice?" mi gridò lui di rimando, ignorando completamente le mie urla "Cosa ti costa metterti addosso quegli abiti? Sto cercando di fare qualcosa di carino con te, perché devi rovinare tutto? Non ti è passato per l'anticamera del cervello che magari c'è un motivo per il quale devi cambiarti?"
Voleva fare qualcosa di carino con me?
Al solo pensiero le guance mi si imporporarono, cavolo, possibile che in sua presenza dovevo sempre assomigliare ad un pomodoro maturo?
"Ora hai due possibilità" continuò "O ti spogli da solo o ti spoglio io, ma sappi che se opterai per la seconda non credo che potrai rivestirti tanto velocemente."
Arrossii ancora più violentemente e borbottando qualche parola a vuoto che non capii nemmeno io scavalcai il freno a mano, adagiandomi nei sedili posteriori, per potermi svestire con le mie mani.
"Bravo ragazzo" lo sentii sogghignare mentre afferravo il mio maglione color panna per toglierlo.
"Non sbirciare" lo pregai imbarazzatissimo, Dio che situazione, se avessi saputo che sarei finito a spogliarmi in una stradina appartata, nella macchina di Tomlinson, non sarei certamente uscito di casa.
In risposta ricevetti solo una risatina e, incurante delle mie suppliche, lo vidi aggiustare sfacciatamente lo specchietto retrovisore per potermi guardare meglio. Con un sospiro decisi di ignorare i suoi occhi e, una volta libero dai miei comodi abiti, mi ritrovai ad infilarmi con non poca difficoltà i jeans neri -talmente attillati da sembrare calze- e la camicia bianca a piccolissimi rombi grigi, con una scollatura a V vertiginosa che metteva in mostra parte delle mie rondini tatuate. Dopo aver calzato nuovamente i miei stivaletti marroni scavalcai ancora il freno a mano e ritornai nella posizione iniziale.
Vedendomi si aprì subito nel sorriso più mozzafiato che io gli avessi mai visto fare, luminoso, solare, capace quasi di accecarmi e, con il mio povero cervello che a quella vista stupefacente era partito per raccogliere funghi su qualche montagna soleggiata a me ignota, mi accorsi solo in seguito che mi aveva arrotolato le maniche della camicia fino a sotto il gomito.
"Vieni qui" disse con tono divertito, molto probabilmente aveva notato di avermi mandato completamente in confusione. Lo vidi tirare fuori un tubetto di gel dalla tasca del giacchino e, sentendomi le sue dita sporche di quella sostanza tra i capelli, sospirai, rilassandomi sempre di più ad ogni carezza. Con la mano non impegnata tra i miei ricci mi tolse gli occhiali, poi mi afferrò il viso con entrambe le mani e, con voce bassa ma traboccante di entusiasmo, annunciò: "Eccoti."
Aprii gli occhi che avevo chiuso per godermi maggiormente i suoi tocchi. Senza occhiali l'unica cosa che vedevo nitidamente era il suo viso vicinissimo al mio, oltre a lui il resto del mondo mi si presentava assolutamente sfocato.
"Non vedo nulla" dichiarai.
Sbuffò una risatina, facendo sì che il suo alito fresco si infrangesse sulle mie labbra. Avevo voglia di baciarlo, avevo una tremenda voglia di baciarlo e non appena riuscii a collegare i neuroni cerebrali che erano tornati dalla raccolta di funghi, mi ricordai che secondo il nostro accordo potevo farlo senza alcun problema. Mi avvicinai senza esitazioni alle sue labbra sottili, pronto ad essere accolto dal loro morbido calore.
"Hai mai portato le lenti a contatto?" domandò all'improvviso, interrompendo la mia avanzata e facendomi inarcare le sopracciglia dalla sorpresa. Mi stava rifiutando? Dopo tutte le volte che lo avevo assecondato, ora lui mi si negava?
"Sì, ne ho sempre un paio nel portafogli nel caso mi si rompano gli occhiali" risposi piano, evitando di dire che avevo iniziato a prendere quella precauzione quando ero tornato a casa a tentoni dopo il suo pugno in faccia.
"Perfetto! Mettile che poi partiamo!" annunciò spostandosi del tutto da me e rimettendosi in posizione di guida.
Ma? E il mio bacio?

A change would do you good || Larry Stylinson AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora