NOCTURNE

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HARRY

"Stupido biondino scroccone" brontolai, davanti allo specchio del bagno del terzo piano, osservando le condizioni disastrose dei miei capelli.
Quella mattina Niall aveva deciso di farsi la sua solita accurata acconciatura utilizzando i miei prodotti, non preoccupandosi affatto di finire sia il gel che la cera con i quali, solitamente, cercavo di domare i miei ricci ribelli. Non contento, quando furioso gli ero piombato in camera urlandogli addosso, aveva alzato le spalle giustificandosi dicendo: "Ti ho solo fatto un favore Harriccio, almeno per un giorno non sembrerà che tu abbia avuto un incontro ravvicinato con la lingua di una mucca". Per evitare di insultarlo pesantemente lo avevo completamente ignorato per tutte le lezioni, missione non facile se si ha a che fare con Niall James Horan.
Aprii il rubinetto, bagnando il pettine e cercando di sistemare quel cespuglio che mi ritrovavo in testa, ma dopo minuti di un'inutile battaglia, decisi di scompigliarli e lasciarli prendere la loro forma al naturale, spostando verso destra i ciuffi che mi ricadevano sulla fronte.
Guardai l'orologio e mi lasciai scappare un sospiro: era arrivata l'ora di andare al cancello per incontrarmi con Tomlinson. Non avevo affatto voglia di passare assieme a lui un'altra giornata, soprattutto visto quanto imbarazzo c'era stato tra noi il giorno prima in palestra. Il fatto che avesse continuato a fissarmi come se fossi un fenomeno da baraccone, mi faceva sentire ancora peggio di come mi sarei sentito se si fosse burlato della mia reazione in quella maledetta biblioteca. Certamente il suo continuo guardare era a scopo di non perdersi il mio prossimo crollo di nervi, come se si fosse appassionato ad un telefilm imprevedibile del quale non poteva saltare neppure una puntata. E quel telefilm ero io. Se prima mi considerava solo un secchione inutile ora invece ero diventato uno psicopatico con crolli nervosi divertenti da guardare. Mi ero trasformato in un suo passatempo.
Non appena uscii dalla porta principale lo vidi appoggiato con disinvoltura al cancelletto, la schiena ed una gamba appoggiate ad esso, una mano nella tasca della giacca e l'altra a penzoloni lungo il fianco. Reggeva tra le dita una sigaretta e aveva la testa rivolta verso l'alto, come se stesse scrutando il cielo. Alzai anche io lo sguardo, credendo di trovare qualcosa di interessante da osservare, ma vidi solo le nuvole grigiastre di una normale giornata di fine novembre.
Quando fui a soli pochi passi da lui una chioma lunga, ondulata e castana si intromise tra di noi.
"Louis!" esclamò quella ragazza, con una voce sottile, seducente, che mi ricordò molto quella di Marylin Monroe.
"Eleanor" la salutò lui, abbassando la testa per guardarla in faccia.
"Non ti fai più sentire da qualche settimana. Ho fatto qualcosa di male?" domandò lei con la solita vocina vellutata.
Eleanor Calder era la capo Cheerleaders della scuola, gambe lunghissime e bellissime, enormi occhi castani con ciglia foltissime e labbra da una curva tanto perfetta da farle sembrare finte.
"No. Solo che non mi va in questo periodo di uscire con te. Ho altro per la testa" rispose lui con il suo tipico tono strafottente. In quel momento mi vide dietro di lei e i suoi occhi si piantarono nei miei, esattamente come era successo il pomeriggio precedente, fissandomi con tanta intensità da costringere la ragazza a girarsi nella mia direzione.
"Tu saresti?" mi chiese allora, squadrandomi da capo a piedi con un'aria decisamente schifata. Ma che ragazza simpatica.
"Lascialo in pace El. Andiamo, Styles" le disse lui, incamminandosi e facendomi sengno con la mano di seguirlo.
"Hei, Louis! Non avevo finito di parlare!" esclamò la ragazza ad alta voce. "LOUIS!" gridò quando quello non la degnò né di una risposta, né di un'occhiata.
"Ma cazzo, non può piantarla di gridare come un'oca assatanata?" mormorò lui gettando atterra il mozzicone di sigaretta. Non so perché, ma trovai quella situazione abbastanza divertente da farmi scappare un risolino che cercai immediatamente di camuffare in un attacco di tosse.
Si girò verso di me con un sorriso.
"Ah, almeno uno dei due si diverte" constatò continuando a sorridermi.
"Beh, scusa ma quando ha urlato aveva una vocetta stupenda! Sembrava Yzma de"Le follie dell'Imperatore" quando grida: L'altra levaaa!" dissi, imitando il tono della vecchia del cartone animato quando cade nella fossa dei coccodrilli, prima di entrare nel laboratorio segreto.
Lui mi guardò con un'espressione sbigottita prima di scoppiare a ridere, una risata forte, fragorosa, che gli fece gettare la testa all'indietro prima di nascondersela tra le mani.
"Oddio Styles, non ti facevo il tipo da cartoni animati!" esclamò non appena la risata scemò, asciugandosi una lacrima che gli era scivolata lungo la guancia.
"Beh dai, è un classico! Chi non lo ha mai visto? È come L'Era Glaciale!" mi giustificai io, alzando le mani vicino alla testa come per proclamarmi innocente.
"Non parlarmi de L'Era Glaciale, per favore!"
Il suo tono esasperato mi face sorridere "Perchè?" domandai.
"Le mie sorelline ne sono drogate. Penso che lo abbiano visto una cinquantina di volte. Potrei recitartelo dall'inizio alla fine!"
Mentre pronunciava con fervore le sue parole mi resi conto di stare vivendo un momento decisamente fuori dagli schemi, quasi assurdo. Quello non era un nostro dialogo comune, quello sembrava più che altro un discorso normale tra due amici. Cosa che decisamente noi non eravamo!
Anche lui, come me, sembrò accorgersi che qualcosa non quadrava ed infatti, dopo qualche piccolo colpo di tosse, assunse il suo solito tono e modo di parlare con me. Continuammo a camminare in completo silenzio, non degnandoci nemmeno di uno sguardo. I miei occhi erano piantati sull'asfalto umidiccio e non prestai attenzione a nient'altro finchè non sentii di nuovo la sua voce.
"Guarda Styles, è quello laggiù il negozio di musica che intendevo!"
Strinsi gli occhi per poter veder meglio e sorrisi soddidfatto quando notai che eravamo diretti nel negozio di Simon Cole, l'anziano signore che da piccolo mi aveva insegnato a suonare ed amare il pianoforte. Era lui la ragione per la quale la mia sveglia intonava ogni mattina la "Sonata al chiaro di Luna" di Beethoven, il suo brano preferito.
Non appena entrammo due braccia enormi mi sollevarono dal suolo, stritolandomi in una morsa di ferro e facendomi ritrovare un'ispida barba grigia appiccicata alla guancia.
"Harry Edward Styles!" tuonò un vocione burbero e roco nel mio orecchio "Sia maledetto il giorno in cui non ho più avuto nulla da insegnarti, ragazzo mio!"
Le sue braccia mi strinsero ancora più forte, togliendomi il fiato.
"Non sei più passato a trovarmi negli ultimi mesi! Cosa devo fare per farti ricordare di questo povero vecchio, eh ragazzaccio?" continuò gridando.
Annaspai alla ricerca d'aria "Signor Cole! Non respiro!"
Per chissà quale grazia divina decise di rimettermi a terra, dandomi due sonore pacche sulla schiena, incrinandomi sicuramente qualche vertebra. Alzai lo sguardo ritrovandomi davanti il suo sorriso mezzo sdentato, circondato dalla barba, i suoi occhi neri come la pece, i capelli grigio chiaro raccolti in una coda disordinata. Nonostante avesse ormai più di settant'anni non aveva perso né la sua vitalità, né la sua immensa forza, né i suoi spaventosi due metri e oltre di altezza.
"Fatti guardare ragazzo mio, vedo che hai deciso di cambiare acconciatura: così sembri tutto tuo padre, che Dio lo abbia in gloria!"
Oh porca miseria, no! Non poteva nominare mio padre in una frase del genere davanti a Louis Tomlinson, lui non ne sapeva nulla, lui non ne doveva sapere nulla. Già mi considerava un ragazzino mentalmente instabile per cui provare compassione, non volevo che aggiungesse un'altro motivo per provare pietà per me.
"A dir la verità, Signor Cole, siamo qui per cercare della musica adatta ad una sfilata di moda" dissi tutto d'un fiato, cercando di cambiare al più presto discorso, indicando Tomlinson alle mie spalle.
Il mio vecchio insegnante guardò verso di lui, rendendosi conto che non ero entrato da solo ma insieme ad un altro ragazzo che, in quel preciso istante, aveva la bocca mezza aperta e gli occhi sgranati davanti alla sua imponente figura.
"Simon Brian Cole" si presentò, tendendo una delle sue enormi mani da pianista verso di lui, che a sua volta allungò la sua per stringergliela. Fu allora che mi accorsi, con una punta di divertimento, di quanto fossero piccole le mani del mio compagno.
"Louis Tomlinson."
"Io ti ho detto pure il mio secondo nome, ragazzo."
A quanto sembrava non aveva perso nemmeno la sua assurda abitudine di voler sapere il nome completo di ogni persona che incontrava.
"Oh. William" rispose Tomlinson, ancora più interdetto di qualche attimo prima.
"William, eh? Jack Sparrow lo definirebbe un nome virile" commentò l'anziano lasciandogli la mano.
"Come scusi?" domandò decisamente perplesso, girandosi poi verso di me e lanciandomi un'occhiata confusa.
Io scoppiai a ridere, prima di interrompere quell'assurda conversazione: "Signor Cole, gli lasci spiegare che tipo di musica stiamo cercando, per favore."
"Come desideri tu, piccolo Styles. William, seguimi!"

A change would do you good || Larry Stylinson AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora