SHOT

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HARRY

Il 17 novembre era arrivato.
L'odiosa data nella quale il fato, il destino, dodici anni prima aveva deciso di giocare quell'orribile scherzo alla mia famiglia.
Il giorno in cui mio padre, Des Styles, perse la vita in una sparatoria per salvare me, mia madre e mia sorella.
Il momento che avrebbe portato a tempi di disperazione e di lacrime, di dolore e di paura.
L'attimo che avremo sempre portato dentro di noi, limpido e chiaro come se lo avessimo vissuto soltanto il giorno prima.
L'istante che ci cambiò, ci trasformò in una versione diversa di noi stessi, con nuovi traumi, nuovi dubbi, nuovi timori, nuove motivazioni.
Il momento in cui la mia infanzia spensierata fu spezzata in un solo colpo, frantumata in mille pezzi come il mio stesso cuore, ricucito poi con fatica, impegno, tempo, ma differente da come era prima.
L'occasione in cui capii per davvero il valore e l'importanza della vita.
Come ogni anno ci trovavamo a pranzare in famiglia, raccontandoci gli aneddoti e i ricordi che conservavamo con amore, con rispetto, di quella stupenda persona che era stata mio padre. Seduti attorno al tavolo della cucina io, mi madre, Niall e suo padre parlavamo di come aver conosciuto Des Styles fosse stato uno degli onori più grandi che avessimo mai ricevuto dalla vita.
Mio padre e il padre di Niall erano stati colleghi di lavoro esattamente come lo erano ora lui e mia madre. Da giovani avevano frequentato assieme l'accademia militare, finita avevano comprato casa qui ed erano stati presi entrambi nella squadra della polizia locale, dove avevano incontrato mia madre.
"È tutta colpa di quel matto se diciotto anni fa mi sono ritrovato ad avere una spogliarellista, della quale non mi ricordavo neppure il nome, che mi girava per casa incinta di mio figlio!" disse Bobby Horan guardando il figlio con affetto.
"Grazie papà, è sempre bello sapere quanto tu abbia desiderato la mia nascita" commentò sarcastico Niall, tirandogli uno scherzoso pugno sulla spalla, mentre io e mia madre ridevamo divertiti.
"Uno dei ricordi più cari che ho di papà" iniziai io, con un sorriso dolce-amaro in viso "É quando a quattro anni gli chiesi preoccupato chi l'avrebbe protetto durante la pattuglia e lui mi rispose che Boo, il mio orsetto, gli avrebbe fatto da guardia. Perciò io a mia volta dovevo badare a Boo, prendermi cura di lui cosicché potesse sempre tener d'occhio papà."
Ora Boo conservava il suo ruolo di orso da guardia, appoggiato sulla tomba di pietra bianca di mio padre, e da dodici anni rimane lì, giorno e notte, estate ed inverno, sole, pioggia e neve a vegliare su di lui, esattamente come Des Styles vegliava sempre su di noi ininterrottamente.
Mia madre mi accarezzò la matassa di ricci lasciati in libertà, così simile a quella del suo defunto marito, guardandomi con amore e dolcezza e sorridendomi mostrando le fossette su entrambe le guance, copia sputata delle mie.
"Mi spiace così tanto che Gemma non abbia potuto raggiungerci, i suoi aneddoti sono sempre così divertenti. Ogni volta che comincia a raccontare diventa identica a vostro padre: stessi movimenti con le mani, stesso entusiasmo, stessa ironia" sospirò lei con aria nostalgica.
Mia sorella Gemma frequentava un corso di ballo e recitazione alla Julliard di New York. Di solito per questa ricorrenza non esitava a farsi ore e ore di aereo, ma questo era il suo ultimo anno e purtroppo non aveva proprio potuto assentarsi dalle lezioni.
"Dai Anne, tornerà a casa dopo Capodanno. Due mesi neanche, vedrai come volerà il tempo!" cercò di consolarla Bobby.
Ero molto felice della loro relazione, lui era un uomo eccezionale: era riuscito ad allevare Niall da solo, visto che sua madre lo aveva partorito per poi scappare chissà dove, aveva aiutato mia madre ad affrontare il dolore restituendole la gioia e il sorriso, donandole affetto, comprensione, amicizia ed infine amore.
In quel momento, distogliendomi dai miei pensieri, suonò il telefono di casa e dall'espressione che mia madre assunse dopo aver alzato la cornetta, non avevo alcun dubbio su chi ci fosse dall'altra parte della linea.
"Gemma, tesoro!" esclamò confermando la mia teoria "Come mai chiami a quest'ora? Non è notte a New York?... Certo, siamo tutti riuniti come al solito... Sì... Ok... Ti metto in vivavoce!" annunciò entusiasta, trafficando con i pulsanti.
"Heilà, gente di casa!" urlò la squillante voce di mia sorella, facendo sorridere tutti.
"Ciao Gee" la salutammo allegramente in coro io e Niall.
"Ciao Niall, fratellino... Non mi offendo se mi mandate più di una mail al mese ragazzi, eh! Soprattutto tu Harry, sei sangue del mio sangue!"
Scoppiai a ridere "Gemma, non sono mica tuo figlio!"
"Oh, ma senti che voce! Ogni volta che ti sento l'hai sempre più bassa e profonda! Il mio piccolo Harriccio sta diventando un uomo!"
"Gemma, per favore" la implorai, come al solito anche ad un oceano di distanza riusciva a mettermi in un tremendo imbarazzo.
"Come stai Gee?" le domandò Bobby, salvandomi da quel ciclone in piena che era mia sorella. Gli lanciai uno sguardo riconoscente che venne accolto con un occhiolino divertito.
"Bobby, vecchio mio! Eh, un po' stanca a dire il vero. Le giunture alle ginocchia cominciano a fare i capricci, ma è normale visto che in questo periodo abbiamo sei ore di danza al giorno. Sono dei pazzi psicopatici gli insegnanti, credete a me!"
"Gemma, amore" la interruppe mia madre "Le interurbane costano parecchio, perché non fai quello per cui hai telefonato? Il resto ce lo potrai raccontare via Skype" suggerì bonariamente.
"Giusto, mamma. Allora il mio ricordo felice di quest'anno è un momento che io adoro e che non smetterò mai di rinfacciare ad Harry. Io e papà ce ne stavamo tranquillamente seduti in cucina a mangiarci un' anguria quando, all'improvviso, un Harry tutto preoccupato ci corse incontro gridando di smetterla di mangiare. Quando papà gli chiese, un po' allarmato dalla sua faccia spaventata, quale fosse il problema, Harry gli rispose: Gemma non può ingoiare i semini, è troppo piccola per rimanere incinta."
A quelle parole Niall, Bobby, mia madre e Gemma scoppiarono in una fragorosa e sonora risata, mentre io sperai di poter sprofondare all'istante nella sedia sulla quale ero seduto.
"Ti odio Gee" mormorai acido, mentre il mio migliore amico mi passava un braccio attorno alla spalla continuando a sghignazzare e a prendere in giro la mia innocenza.






LOUIS

La ricerca con Styles stava procedendo, venerdì ci eravamo occupati di cercare qualche materiale sul gusto. Dopo una breve presentazione su quel senso avevamo deciso di incentrare la ricerca sul gelato, perché insomma, a chi non piace il gelato? Ne era venuto fuori un pezzo piuttosto interessante, io stesso ero rimasto particolarmente sorpreso nello scoprire che i gusti di gelato preferiti spesso riconducevano al sesso e all'età di una persona.
Per quanto mi riguardava il pezzo era scritto in maniera accattivante, ma allo stesso tempo conservava quel timbro di oggettività che caratterizza le ricerche scolastiche. Styles ovviamente non era dello stesso parere: secondo lui come bozza iniziale era abbastanza soddisfacente, ma ci si doveva ancora lavorare per renderlo ottimale.
Cosa lui intendesse per "ottimale" non lo sapevo proprio dal momento che ci avevamo passato su tutto il venerdì pomeriggio e tutto il sabato mattina! Per me era già ottimale il fatto che, nonostante non dovessi andare a scuola, mi fossi alzato prima di mezzogiorno per incontrarmi con Quattrocchi!
"Bene ragazzi, io vi saluto. Devo andare ad occuparmi di gelati con Styles" riferii a Liam e Zayn, dopo aver bevuto insieme un buon caffè caldo per riscaldarci in quella gelida giornata.
"Ancora sui gelati?" mi domandò Zayn, raccogliendo con il cucchiaino lo zucchero depositato sul fondo della tazza.
"Ancora" affermai alzandomi dalle comode poltroncine del bar e avviandomi verso l'aula di informatica, pronto a passare un altro pomeriggio in compagnia di mister Occhialuto.
Quando lo vidi appoggiato allo stipite dell'aula rimasi per l'ennesima volta sconvolto alla vista dei suoi pantaloni grigio topo di flanella e del suo maglione sformato colore ecru. Insomma, come si poteva abbinare il grigio topo con l'ecru? Era un pugno negli occhi. E perché mai non si poteva mettere qualcosa della sua taglia?
"Come mai mi stai aspettando fuori, Styles? Avevi paura che non sarei venuto?" lo provocai.
Lui mi lanciò un sorrisino antipatico prima di rispondermi "L'aula è chiusa Tomlinson, propongo di spostarci in biblioteca."
Come? Camminare venti minuti per arrivare alla biblioteca in piazza? Non se ne parlava proprio, prima iniziavamo e prima finivamo.
"Styles, ho allenamento di calcio tra due ore. Non cedo che ci convenga perdere tempo ad andare fino in piazza."
"Intendevo la biblioteca della scuola" mi disse lui alzando gli occhi al cielo.
Oh. La notizia mi sorprese.
"Esiste una biblioteca qui dentro?" chiesi allibito.
Lasciò cadere atterra la sua enorme borsa marrone. "Stai scherzando?" mi domandò.
La mia faccia confusa gli bastò come risposta.
"Dimmi che stai scherzando!"
Come si permetteva di usare quel tono da grande uomo con me? Come si permetteva di guardarmi di nuovo come se fossi una scimmia con un ritardo mentale?
"Naturalmente stavo scherzando, cosa credi Styles?" mentii spudoratamente per non fare la figura di quello scemo. Tra i due sicuramente quel titolo non spettava a me.
Ecco un'altra volta quel ghigno strafottente sul suo volto, se non fosse stato per la camicia di Armani a quel punto lo avrei già preso violentemente a pugni in faccia, sperando magari di rompergli quegli stupidi occhiali da pensionato.
"Ah ma davvero, Tomlinson? Sono sicuro che allora potresti tranquillamente portarmici, giusto?"
Merda, mi aveva raggirato un'altra volta. Cavolo, non c'era una fottutissima piantina dell'edificio dove potessi sbirciare, così da non fare la figura del pagliaccio di turno?
"Fanculo, Styles" lo apostrofai guardandolo con quanta più rabbia e cattiveria mi fosse possibile, dove diavolo era Zayn con i suoi famosi sguardi da serial killer psicopatico quando serviva?
La mia risposta però non sortì l'effetto voluto visto che il mio compagno di compito mi stava beatamente ridendo in faccia, una risata sonora, acuta, completamente in contrasto con la voce profonda e roca che aveva quando parlava, una risata con tanto di battito di mani.
Stava ridendo di me.
Harry Styles, lo sfigato per eccellenza stava ridendo di me, Louis Tomlinson.
Non ci vidi più, in quel momento non mi importava nulla di essere a scuola, non mi importava nulla di dover continuare con la ricerca, non mi importava nulla nemmeno della camicia ceruleo in batista di Armani.
Strinsi con rabbia il pugno destro e, senza pensarci nemmeno un secondo, lo colpii con tutta la forza che avevo dritto sullo zigomo sinistro, facendolo sbattere sulla porta dell'aula di informatica e scivolare atterra.
"DEVI PORTARMI RISPETTO, SECCHIONE DEL CAZZO, HAI CAPITO?" gli urlai in faccia, preso completamente dalla collera.
E lui come al suo solito fece esattamente l'opposto di ciò che mi aspettavo. Raccolse gli occhiali che con l'impatto si erano piegati e frantumati sul pavimento, si alzò e, con una calma inaudita, si avvicinò a me, mettendo il suo viso a pochi centimetri dal mio.
"Io non ti porto rispetto perchè sei una nullità. Non vali niente, tu non sei niente, Louis Tomlinson" mi mormorò piano, con un tono vellutato, micidiale, prima di spostarmi con una spallata e lasciarmi lì da solo a tremare come una foglia.
Non avrei saputo dire con esattezza ciò che mi colpì maggiormente: se la sua frase che mi rimbombava ancora nelle orecchie, una frase semplice, una frase di accusa, una frase che esprimeva perfettamente ciò che la gente pensava di me, o se i suoi occhi, grandi, immensi, profondi, luminosi, di un verde smeraldo che bruciava più ardentemente di un enorme fuoco.
La prima volta che ebbi a che fare con gli occhi di Harry Styles.


A change would do you good || Larry Stylinson AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora