Capitolo 11

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"Allora, com'è andata?"

Adam entrò come sempre all'orario di chiusura. Anche se da fuori era già affisso il cartello con la scritta "chiuso" in bella vista, con tanto di luci abbassate e le tapparelle tirate giù, sapeva comunque che Lance era dentro a finire di pulire.

Il rosso alzò lo sguardo dalle tazze e bicchieri che stava finendo di asciugare, posandolo sull'amico. "Meglio di quanto pensassi."

"Scusa se l'altra sera non abbiamo avuto tempo per parlare, ma con mia sorella sai com'è..."disse, sedendosi allo sgabello al bancone.

"Non è questo che mi preoccupa, ma la volante della polizia che mi sono ritrovato davanti alle quattro del mattino mentre stavo uscendo", disse con tono grave.

Adam lo guardò incredulo. "Cosa?"

"Non preoccuparti, non mi hanno visto. Erano lì solo di controllo, a quanto pare i cittadini hanno chiesto delle ronde notturne per verificare che tutto sia ok".

Il moro affondò la faccia nelle braccia conserte sul bancone. "Lavoro in più in vista della prossima volta. Dovremo controllare gli orari e fare degli appostamenti," si lamentò.

"Se hai così voglia di lagnarti, perché non ti trovi un vero lavoro?"

"Aspetto che qualcuno compri i miei quadri."

"Aspetta e spera."Chiuse così il discorso. Non aveva voglia di discutere con Twain, per certi versi era come la sorella. Si mise a fargli un cappuccino, almeno avrebbe tenuto la bocca chiusa.

Adam si mise di nuovo composto, tirando fuori il pacchetto di sigarette e accendendone una. Assottigliò gli occhi pensieroso, fissando un punto indefinito sulla macchina del caffè. Avrebbe dovuto trovare un modo per risolvere tutti quei problemi con il "lavoro". In realtà non sarebbe stato un problema, ma richiedeva tutto uno spreco di tempo assurdo e ciò lo infastidiva. Lance gli poggiò la tazza di cappuccino fumante sotto il naso. "Grazie."

"Pensavo la smettessi di lagnarti almeno," fece in tutta risposta.

Ormai gli restava solo la macchina del caffè da pulire e quella era sempre una rottura; soprattutto quegli aggeggi dove dentro andava la polvere macinata. Non si era mai chiesto quale fosse il loro vero nome: li aveva sempre chiamati cosi o aggeggi.

"Cosa hai fatto a mia sorella? È incavolata nera per qualcosa che le hai fatto, ma non vuole dirmi cosa", chiese Adam incuriosito, iniziando a versarsi lo zucchero.

Al portiere quasi scappò una risata. "Abigail era diventata insopportabile, le ho dato una mano a far tornare le cose normali", scherzò sull'argomento. Era convinto che era stata la scelta migliore che potesse fare per la sua sanità mentale. Quelle soap opera adolescenziali non gli erano mai piaciute.

"È ancora tutta colpa di Reginald?"

"No, stavolta è colpa di Abigail. Di punto in bianco ha smesso di considerarlo. Possiamo parlare di lavoro ora?", chiese a quel punto, infastidito. Quella era stata una giornata lunga fra scuola, allenamento e lavoro; voleva solo sedersi e fumare una sigaretta in santa pace. Twain non doveva preoccuparsi della sorella, quando entrambi sapevano benissimo che lui non sopportava Miles.

Bevve il cappuccino, stizzito. Lance doveva essere proprio di pessimo umore quella sera; pensò che sarebbe stato meglio non andare ad insultare il suo migliore amico.

"Per il prossimo colpo ho già indirizzo e nome. Si farà il prossimo mese, è una villa vicina ad una dove eravamo già stati", cominciò, poggiando i fogli con i disegni e gli appunti sul bancone.

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