Capitolo 26

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Ora che era libera di tornare a Liverpool, non sapeva se era la cosa giusta da fare. Nella clinica dove aveva portato sua madre c'era una strana quiete. Con il caffè in mano guardava fuori dalla finestra, soppesando le scelte prese fino a quel momento. Era riuscita in tutto ciò che si era prefissata, ma a che prezzo? Sospirò, prendendo un sorso di caffè. Il tempo in quei giorni era peggiorato e non le piaceva la pioggia. Il medico arrivò in quel momento.

"Signorina Stark, buonasera," disse l'uomo, aprendo la cartella con le scartoffie che la ragazza avrebbe dovuto compilare.

"Buonasera. Quindi è tutto pronto?"

"Mi deve ancora preparare questi fogli e poi sua madre sarà ufficialmente una nostra paziente."

Alexandra sorrise incerta, prendendo la cartella. "Riuscirete davvero a guarirla?"

"Sarò franco, noi possiamo rimetterla in sesto, ma quando poi avrà finito con noi dovrà essere lei a riuscire a non ricaderci."

"Capisco," rispose pensierosa. "Faccio subito le carte."

Mentre firmava, si chiese per l'ennesima volta se fosse la cosa giusta. Era stato quello il piano sin dal principio. Con sua nonna era già d'accordo: sua madre sarebbe andata a vivere da lei non appena avesse finito lì.

Di Lance invece non si preoccupava affatto. Lui aveva vissuto da solo fino a quel momento e, ora che aveva più libertà, era sicura che sarebbe stato anche più tranquillo.

Il fratello arrivò in quel momento. "Alex, hai fatto tutto?"

"Sto finendo di compilare ora i fogli, poi possiamo andare."

"Non vuoi passare a salutarla?" chiese lui, anche se sapeva già la risposta.

La ragazza sembrò pensarci un po' mentre si accingeva ad applicare l'ultima firma. Ormai era fatta. "Sta dormendo, non voglio disturbarla."

"Aspettami qua. Adam è fuori ad aspettarci."

Alex lo guardò scomparire per i corridoi, non sapendo come sentirsi.

La stanza era piccola, con un armadio bianco e un paio di sedie. I libri di lei su una scrivania troppo piccola anche per un bambino. Sua madre dormiva, avvolta dalle coperte che avevano portato da casa. Il dottore aveva detto che era meglio che avesse qualcosa che fosse suo per farla sentire più a suo agio. Si chiese se fosse vero. Era sicuro che lei non si sarebbe abituata a quel cambiamento. Avrebbe odiato entrambi. Era strano vederla così quieta, le uniche volte che l'aveva vista così era quando si ubriacava fino all'incoscienza.

Si chiese ancora una volta se sarebbe servito a qualcosa. Doveva ancora chiamare sua nonna, voleva sapere per quale motivo alla fine avesse deciso di riprendere sua figlia. Da quando era cominciato il declino erano cambiate tante cose. Non aveva più visto l'Irlanda. Gli mancava casa. Nonostante fosse nato a Brighton, considerava le isole Galway la culla della sua infanzia e della sua vecchiaia. Sapeva già che prima o poi si sarebbe ritirato da tutto e tutti per andare là da solo. 

Si avvicinò a guardarla. Gli mancavano i tempi in cui tuttoera normale. Prima che suo padre se ne andasse al diavolo. Leaccarezzò una guancia e se ne andò. La malinconia che gli nascevadentro era nociva per la sua età.

*

Mentre preparava le valigie per tornare a Liverpool l'indomani, continuava a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta. Credeva di sentirsi sollevata, ma non era così. In cucina Lance e Adam fumavano con la televisione in sottofondo. Era tutto come sempre sarebbe dovuto essere; senza preoccupazioni. Quando ebbe finito tornò dagli altri, aveva paura che rimanendo da sola sarebbe uscita di testa. Non doveva pensare troppo, ma tornare all'università e preparare i suoi esami. Da quel momento avrebbe pensato solo al suo futuro e nient'altro.

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