Capitolo 6

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Le persone arrivavano e andavano via senza nemmeno pensare a chi fosse la persona che li stesse servendo. Lance Stark vedeva molte teste passare, nel suo turno dalle 4 alle 7 del mattino. Alcune di clienti fissi, altre di sconosciuti. La sua non era la solita vita rosa e fiori, ma a lui andava bene così. Non avendo affetti non avrebbe avuto rimpianti quando poi se ne sarebbe andato. Eppure non riusciva a non invidiare quei passanti. In loro vedeva la libertà che non avrebbe mai avuto fino al giorno del diploma. Per lui già uscire di casa e andare a prendere un caffé alle prime luci dell'alba senza preoccuparsi della madre voleva dire libertà. C'erano momenti, però in cui lo sconforto lo imprigionava, come durante la notte, quando aveva incubi orrendi e non riusciva a svegliarsi. Sognava di una vita all'eterna mercé della madre e ciò lo terrorizzava più di qualsiasi altra cosa, perfino più della morte stessa. Ma quella giornata per lui sarebbe dovuta essere diversa. Non aveva il tempo per quei brutti pensieri; in quel momento la testa era sul campo. Stando fermo riusciva a percepire i movimenti automatici del suo corpo durante le partite. La sua mente fabbricava immagini di possibili rigori parati, di calci d'angolo e altro ancora. La testa cercava di giungere alla soluzione come se si trovasse davanti ad un'equazione matematica. Quello era uno dei modi per evadere alla vita del bar mentre lavorava. Il cellulare gli vibrò in tasca ma non poteva rispondere, aveva ancora una coppia da servire. Prese caffé e muffin consegnandoli al signore augurando anche una buona giornata con un sorriso stampato in faccia. Si stupiva ogni volta di come gli riuscisse bene fingere un sorriso. Andò nel retro e solo allora lesse il messaggio.

Non so ancora quando tornerò a casa. Paga le bollette e l'affitto. Adam come sta?

Senza pensarci rispose subito.

Riesco a vive anche senza un adulto che mi dica cosa fare. Pensi che facendo così ti si allievi la coscienza? Chiamalo, non sono il tuo segretario.

Era soddisfatto di ciò che aveva scritto così premette invio senza pensarci due volte. Non si curò se la risposta sarebbe risultata acida, anzi, si sarebbe preoccupato se non lo fosse stata.

Alle sei e mezza precise, dalla porta del locale entrò Miles. Veniva a prenderlo ogni volta per accompagnarlo a scuola. Era riuscito a convincerlo una volta con la colazione gratis e da allora avevano un patto. In fondo sapeva che a Reginald piaceva alzarsi presto in modo da evitare tutti i suoi fratelli che litigavano per il bagno e il cibo.

Si tolse il grembiule e sfece la crocchia che si era fatto per tenere in ordine i capelli lunghi, poi lo raggiunse al tavolo. Notò subito che era di cattivo umore. "Che c'è?"

"Mio fratello Leonard aveva una gita oggi e si è alzato presto. Non capisco che debba fare un bambino di dodici anni per più di mezz'ora nel bagno." brontolò con la testa poggiata sulle braccia conserte. Il suo corpo esigeva cibo e caffè. In particolar modo caffé; non aveva chiuso occhio durante la notte.

"Sei pronto per oggi pomeriggio?" chiese Lance cambiando discorso.

Il capitano tirò su la testa per guardare l'amico negli occhi. "Sì. Tu piuttosto, stai bene?" sbadigliò assonnato. Il portiere annuì ma la sua attenzione venne catturata dal "bip" del cellullare.

Sullo schermo lesse: Sei pronto per domani mattina?. Rispose con un semplice .

"Chi era?" chiese Miles incuriosito. Nemmeno lui sapeva con chi scambiasse tutti quei messaggi; per lo più credeva si trattasse di sua sorella, ma sapeva che doveva esserci qualcun'altro.

"Nessuno, mia sorella."

Reginald si chiedeva se lo tenesse all'oscuro di tutto per un valido motivo o solo per capriccio.

"Va bene, andiamo?" replicò il portiere dopo pochi secondi.

"E' ancora presto, e voglio mangiare qualcosa prima di andare."

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