Un tassello alla volta
Quando ero piccola detestavo fare i puzzle: erano il tipico passatempo da pomeriggio di noia totale alla Tana, quando nonna Molly si stufava di avere una tribù di nipotini tra i piedi e ci parcheggiava tutti sul tappeto del soggiorno, davanti ad un puzzle da duemila pezzi. All'inizio accapigliarsi con James e Roxanne per un pezzo dalla forma particolare che ognuno sosteneva di aver visto per primo era divertente, ma, dopo dieci minuti passati a cavarci gli occhi e litigare senza riuscire ad attaccare assieme più di tre o quattro pezzi, la faccenda cominciava a diventare snervante.
Nel giro di quindici minuti tutti i cugini più turbolenti si erano stufati di far chiasso attorno al puzzle e allora Molly assumeva il controllo della situazione e si rivolgeva ai pochi cugini ancora interessati all'attività, spiegando che bisognava iniziare separando i pezzi. Da una parte i bordi, che andavano uniti tutti per formare la cornice, poi bisognava dividere i pezzi a seconda del colore: tutti i tasselli azzurri del cielo da una parte, quelli verdi del prato da un'altra, quelli colorati della figura centrale da un'altra ancora. Io m'intestardivo a fare di testa mia e continuavo a cercare di comporre l'immagine centrale senza separare i pezzi, perché fare le cose per bene era noioso ed io avevo troppa fretta di veder formarsi la parte interessante del puzzle: del cielo e dei bordi non me ne importava un fico secco. Ecco perché - secondo Molly - da sola non ero mai stata capace di finire nemmeno un puzzle da trecento pezzi.
In realtà, Molly aveva molta più ragione di quanto avrei potuto immaginare a sette anni, quando mi offendevo per i suoi consigli ed abbandonavo il puzzle per andare a fare a botte con Jamie: per tutta la vita, non avevo fatto altro che trascurare le questioni marginali e cercare di risolvere i miei problemi partendo dal nocciolo della questione. Ed avevo sempre, inevitabilmente, finito per fallire miseramente.
***
Passai quell'intera notte ad esercitarmi sugli incantesimi di Trasfigurazione. All'inizio continuavo a pensare a quanto si sarebbe arrabbiata mia madre, a quanto si era già arrabbiato Scorpius e a quello che avrebbe detto Hugo quando avrebbe scoperto che avevo mandato all'aria tutti i nostri piani. Mi sembrava di aver tradito la mia famiglia, spifferando tutto a Draco, come se fossi diventata più Malfoy che Weasley in quei pochi mesi di convivenza. Quei pensieri erano così invadenti e chiassosi che nemmeno dopo due ore di allenamento con il sacco da boxe ero riuscita a disfarmene. Quando ero salita in camera mia e mi ero imposta di sedermi alla scrivania, davanti al libro di Trasfigurazione aperto, lo avevo fatto solo perché Scorpius e Draco avevano deciso di cucinare la cena assieme ed io mi ero sentita così estranea in quella scena che avevo fatto del mio meglio per eclissarmi. Per dire la verità Draco aveva provato - seppure con assai scarsa convinzione - a chiedermi di unirmi a loro, ma era chiaro che né lui né tantomeno Scorpius avevano bisogno della mia presenza quella sera. Così mi ero rintanata nella mia mansarda e, dopo aver disperatamente cercato qualcosa da fare per tenermi occupata, mi ero ritrovata a fissare i paragrafi fitti di lettere del libro di Trasfigurazione. Ero certa che non sarei riuscita a capire una parola delle istruzioni che leggevo, figurarsi a metterle in pratica, ma poi, un po' alla volta, ero riuscita a trovare la concentrazione necessaria per trasformare il mio portapenne in un gattino e poi di nuovo in un portapenne senza incidenti di percorso. Le formule degli incantesimi e le immagini nitide dei risultati che volevo ottenere con le Trasfigurazioni, tentativo dopo tentativo, si erano sostituite ai miei sensi di colpa, permettendomi di trovare un po' di pace. Non avevo mai pensato che immergersi totalmente nello studio potesse dare un sollievo così grande, prima di quel momento.
Dormii solo un paio d'ore, un sonno senza sogni, dall'alba fino a poco dopo le nove di mattina. Quando aprii gli occhi, nel bagliore grigiastro di una tipica mattinata inglese, sentivo la testa pesante sulle spalle ed avevo una gran voglia di abbassare le tapparelle con un incantesimo, girarmi sull'altro fianco e rimettermi a dormire, ma sapevo che, se non mi fossi sbrigata a trovare qualcosa da fare, i pensieri che tanto temevo si sarebbero di nuovo impossessati della mia mente. Perciò mi alzai e andai in bagno a farmi una lunga doccia fresca, ripassando mentalmente i paragrafi di teoria che avevo letto quella notte. Una volta che mi fui lavata, asciugata e pettinata con cura tornai in camera mia e indossai una canottiera aderente con le spalline larghe - di quelle che si usano per fare sport - ed un paio di pantaloncini elasticizzati. Sciolsi il nodo che avevo fatto ai laccetti la prima volta che li avevo messi addosso e che non avevo mai più disfatto, anche se non ne avevo il minimo bisogno per infilarmeli, e poi lo rifeci un po' più stretto. Mi sentivo vagamente come uno zombie, mentre mi muovevo per la casa e compievo tutti quei gesti in modo automatico, badando bene a far sì che la mia mente fosse occupata soltanto dalle azioni che svolgeva il mio corpo ed allo stesso tempo avendone a stento una vaga ed annebbiata consapevolezza, ottenebrata dall'abitudine e dai processi ripetitivi che compivano le mie mani, le mie gambe, i miei piedi. L'istinto di riemergere da quello stato d'intorpidimento e schiarirmi le idee mi tentò, un paio di volte volte, ma badai bene a ricacciarlo indietro prima che potesse portare a galla con sé anche tutte le cose alle quali non dovevo assolutamente pensare.
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Perchè sul campanello di casa mia c'è scritto Weasley-Malfoy?!
FanfictionLeggete anche in fondo, per favore. Hermione Granger, nonostante i suoi quarant’anni, era ancora una bella donna. E, per quanto schifo potesse farmi l’idea di mia madre che si rotolava su un letto con un uomo che non fosse mio padre (beh, anche con...