Capitolo 31.

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Capitolo 30
Di ri-addii al celibato e pillole sbronza-astemi

Gran bella cosa, le tecniche di auto-convinzione e di autoipnosi: funzionano a meraviglia, finché si ha un buon diversivo su cui convogliare la propria attività intellettuale.
Nella mia breve vita, in effetti, ho visto le persone più disparate convincersi di una serie di assurdità tra le più impensabili: ho visto mio padre affermare con certezza che i Cannoni di Chudley avrebbero vinto il Campionato, ho visto Dominique illudersi che il ragazzo di cui era perdutamente innamorata la ricambiasse, nonostante Nott fosse palesemente più interessato agli spinelli che a lei, ho visto mio cugino Albus convincersi che io e Scorpius ci saremmo messi assieme e saremmo stati la coppia perfetta e ho visto persino me stessa crederci ciecamente e poi convincermi che sarei riuscita a dimenticarmene.
Ma la verità è che, prima o poi, le cose saltano fuori. Tutte le cose: anche le più imbarazzanti, le più scomode, le più dolorose.
Già mentire agli altri è un'impresa non da poco. Figuriamoci mentire a se stessi.

***

L'esame, tutto sommato, sarebbe potuto andare molto peggio.
L'orale fu un calvario, lo scritto se possibile ancor più difficile: supponevo che, dopo le insistenze di mia madre, gli esaminatori non fossero esattamente ben disposti nei miei confronti. Se non altro, comunque, erano convinti che fossi un'idiota e quando me la cavai in entrambe le prove rimasero sbigottiti.
Uscii dal Ministero della Magia alle tre del pomeriggio, spossata, ma decisamente soddisfatta: forse (sicuramente, vista la gaffe che avevo fatto quando mi era stato chiesto di tingermi i capelli di biondo ed avevo fatto diventare verdi quelli dell'esaminatore) non avrei preso Eccezionale, ma ero certa di essere passata. E tanto mi bastava, alla faccia di Ferguson.
Parcheggiata davanti al marciapiede trovai un'automobile del Ministero ad attendermi. Dal posto di guida mia madre mi rivolse un cenno di saluto estremamente nervoso: sembrava piuttosto in ansia, ma comunque meno esagitata di cinque ora prima, quando mi aveva stesa con una librata in faccia nella fretta di spingermi dentro ad uno degli ascensori dorati del Ministero. Mentre aspettava con me fuori dall'aula dove si sarebbe tenuto l'esame, ero stata io a doverle tenere la mano per evitare che andasse nel panico. Ricambiai il saluto con un sorriso rassicurante e aprii la portiera posteriore dell'automobile. Il sedile all'interno, ampliato magicamente, avrebbe potuto tranquillamente ospitare una decina di persone. Al posto del passeggero era seduto Scorpius, che teneva una cartina stradale della Londra Babbana aperta sulle ginocchia. Dietro, stretto tra nonna Jean e nonno Wendell, stava un pallido e preoccupatissimo Draco.
« Salve, gente » dissi, prendendo posto accanto a nonno Wendell.
Lui ricambiò il saluto, allegro.
« Ciao, Hugo. Come stai? »
« Bene, grazie, nonno » risposi, ignorando il nome con cui mi si era rivolto. Ormai ci ero troppo abituata per scompormi. « Tu come stai? »
Nonno Wendell emise un sospiro sofferente.
« Ah, lo stavo giusto raccontando a Ronald... » spiegò, battendo una pacca sulla spalla di Draco, che storse il naso come se un drago di grossa taglia gli avesse appena defecato sulla scarpa.
« Vedi, Ronald » riprese il nonno, continuando a tenere la spalla di Draco. « Mi manca l'Australia. Capisci, l'aria inquinata di Londra non fa bene ad un povero vecchio come me... E poi ti dicevo di quel mio vicino, il signor Morlow... » aggiunse, mentre la sua espressione si tramutava in una smorfia cospiratoria.
Nonna Jean tese il braccio oltre Draco per posare una mano sulla gamba del marito.
« Greg, caro, non annoiare Draco con queste storie ».
Il nonno si liberò dalla sua mano, indignato.
« Se tu avessi voluto restare in Australia, Monica, non avrei nessuna storia da raccontare sul signor Morlow! »
Mamma mise in moto con un rumore molto più forte del necessario e Draco, dal sedile posteriore, sussultò, lanciandole l'espressione diffidente di chi vede un Troll di montagna con in mano una bacchetta magica.
« Com'è andato l'esame, Rose? » mi chiese mamma, mentre armeggiava con il volante per uscire dal parcheggio.
La sua voce sembrava tutto sommato abbastanza controllata, ma nello specchietto retrovisore ebbi modo di vedere che la sua espressione era tutto fuorché rilassata. Se le avessi detto cosa avevo fatto ai capelli dell'esaminatore sarebbe morta sul colpo, come minimo, perciò decisi di tenermi sul vago. In fondo, se lei pensava che per una virgola sbagliata un esame fosse insufficiente, non mi sembrava necessario che fosse informata proprio di quella virgola. Scrollai le spalle.
« Direi bene ».
« Quanto bene? » indagò con tono aggressivo.
« Bene abbastanza » risposi. « Insomma, penso di essere stata promossa ».
Evidentemente, però, "bene abbastanza" non era una rassicurazione sufficiente per mia madre. Anzi, a giudicare dal modo in cui svoltò bruscamente in una strada laterale, sgommando, doveva star pensando che l'esame fosse stato un disastro e che stessi tentando di arrampicarmi sugli specchi finché potevo.
« E quando arrivano i risultati? » chiese ancora lei.
Alzai gli occhi al cielo e scambiai un'occhiatina divertita con Draco, che in realtà a giudicare da come si teneva aggrappato al sedile, non doveva essere divertito proprio per niente da quella situazione.
« Fra un paio di giorni » sbuffai. « Manderanno un gufo ».
"E grazie tante per la stima immensa nei confronti della mia intelligenza!"
Qualche mese prima me la sarei presa a morte e le avrei rinfacciato di non avere la minima fiducia in me e nelle mie capacità intellettuali, ma al momento ero troppo sollevata per fargliene una colpa, perciò mi limitai a scuotere la testa mentre mamma si mordeva le labbra con aria palesemente preoccupata. In fondo era pur sempre Hermione Granger: era risaputo che fosse spaventata a morte da qualsiasi tipo di attività che prevedesse una valutazione finale.
« E comunque è andata bene sul serio! » sbottai, tanto perché almeno la smettesse di pensare alla mia bocciatura e si concentrasse sul traffico londinese prima di essere coinvolti in un incidente.
Scorpius voltò il capo verso di me e mi sembrò che mi avesse rivolto l'ombra di un sorriso incoraggiante. Nonno Wendell mi batté una vigorosa pacca sulla spalla.
« E brava la mia Rose » si complimentò. « Quindi ora sei capace di trasformare le persone in animali, giusto? »
Si fregò le mani con un'espressione decisamente inquietante stampata sul volto.
« Finalmente Morlow avrà quel che merita... »
« Greg! » sbottò nonna Jean, tirandogli una poderosa manata sulla coscia.
Nonno Wendell si ritrasse, offeso oltre ogni dire, non sapevo se più per lo schiaffo o perché nonna Jean non credeva che il signor Morlow meritasse di essere Trasfigurato in un criceto.
« Monica, cara, ti ho detto decine di volte cosa nasconde Morlow in cantina! » esclamò. « Non so ancora come tu possa credere che sia una brava persona, quel guardone, truffatore, ignobile... »
Draco, in mezzo al battibecco tra i due coniugi Granger, aveva tutta l'aria di star pregando Merlino per trovarsi ovunque meno che lì. Anche perché mamma – tra il mio esame, le stramberie del nonno Wendell e la sua ovvia crisi premestruale di mezz'età causata dell'imminente matrimonio per cui, ci scommettevo, riteneva ed avrebbe sempre ritenuto di non essere pronta – stava guidando con la destrezza di uno Snaso a cavallo di una Firebolt. Mentre Scorpius dava a mia madre indicazioni per l'aeroporto di Gatewick – nonno Wendell era troppo scombussolato per venir trasportato con una Passaporta Continentale – Draco si arrischiò a chiedere: « Hermione, non che non mi fidi di te, sia chiaro, ma tu sei sicura... »
Ebbe un momento di esitazione, che presumibilmente impiegò per riflettere sul suo futuro matrimonio e chiedersi se e come quel commento avrebbe potuto rovinarlo. Alla fine parve decidere che la sicurezza della sua regale persona veniva prima dell'orgoglio mezzosangue di mia madre, perché terminò la frase con un gemito. « ...Sei sicura che spostarsi su questo affare non sia pericoloso? »
A giudicare da come teneva la mano serrata sulla bacchetta doveva essere seriamente convinto che la morte stesse per piombargli addosso. Ridacchiai sotto i baffi, mentre nonno Wendell si professava d'accordo con lui.
« Ah, non so mica se questo triciclo è sicuro, io ».
Nonna Jean roteò gli occhi, con l'aria rassegnata che assumeva ogni volta che il marito ricominciava con uno dei suoi discorsi.
« Vi avrei portati con la mia macchina » continuò nonno Wendell, ignorandola con la solita testardaggine con cui ignorava chiunque gli dicesse che il suo cognome era Granger e che sua moglie di nome non faceva Monica. « Se solo quella canaglia di Morlow non mi avesse rubato il motore da sotto il cofano, l'altra notte ».
A giudicare dall'espressione che si dipinse sul volto di Draco, in quel momento doveva star amando incondizionatamente il signor Morlow. Nonna Jean, invece, doveva starsi chiedendo perché diavolo non avesse scelto di andare a vivere qualche isolato più in là.
« Greg, caro » sospirò. « Era solo finita la benzina ».
« E allora ce l'ha rubata Morlow dal serbatoio » concluse nonno Wendell, che a quanto pareva necessitava di prove ben più schiaccianti per lasciarsi dissuadere. « L'ho visto che girava per il giardino tutto tronfio con delle taniche in mano, questa mattina, e mi stavo giusto chiedendo cosa avesse in mente quel disgraziato... »
Poi, voltandosi verso Draco come se lo avesse visto per la prima volta solo in quel momento, il nonno aggiunse: « E tu, Ronald, ragazzo... non avevi i capelli rossi, una volta? »
A quella domanda furono le guance di Draco a tingersi di rosso.
« Veramente, signore... »
Mamma sbuffò, esasperata. « È Draco, papà ».
« Oh » sobbalzò il nonno, guardandosi attorno con aria profondamente tradita. « E perché accidenti non me l'avete detto prima? »
Rimase intento a scrutare Draco dalle punte (laccate) delle scarpe alle punte (altrettanto laccate) dei capelli per un paio di secondi. Poi sembrò accettare il fatto che non si trattava di Ron e si strinse nelle spalle.
« Certo che li cambi in fretta ».

***

Che i Malfoy fossero ricchi sfondati, pur con tutte le tasse di guerra che erano stati costretti a pagare, era risaputo. Ma che il castello in Costa Azzurra in cui fummo accolti quel pomeriggio fosse di loro proprietà superò ogni mia più sfrenata fantasia. Mentre seguivamo un maggiordomo impomatato all'interno dell'edificio, pensai confusamente che Draco doveva aver riallacciato i rapporti con  i genitori, se gli era stato permesse di dare il ricevimento in casa loro. Una delle loro tante case – pardon, regge – come ebbe cura di precisare il maggiordomo.
Varcai l'enorme arco di pietra che dava accesso alla corte interna del maniero, a bocca aperta. Il sole estivo, grande e giallo come in Inghilterra non si era mai visto negli ultimi cent'anni, batteva sul lastricato grigio della corte, facendolo risplendere di una bella sfumatura calda. L'aria profumava di lavanda e di pino e quando, di tanto in tanto, un colpo di brezza si insinuava sotto gli archi del castello, portava con sé un lieve aroma di mare. Una targa di marmo, appena sopra il portone che dava accesso al corpo centrale del castello, recitava:

Famiglia Malfoy
Residenza Estiva

Mi voltai verso Draco, sbattendo le palpebre nel tentativo di abituarmi alla vista di tutto quel sole e di tutta quella meraviglia.
« T-tu mi vuoi dire che... che venivi qua ogni estate? » balbettai.
Draco mi rivolse uno sguardo perplesso, come se non capisse il motivo di tanto trambusto per un banale castello in Francia.
« No, non spesso » rispose. « Mia madre preferiva la villa in Italia ».
« La villa in Italia... »
Non mi ero ancora del tutto ripresa dallo sconcerto quando, davanti a noi, comparvero due signori alti, distinti, entrambi con i capelli così chiari che non capii se fossero biondo albino o semplicemente bianchi. Forse, in fondo, Draco non era tinto.
I coniugi Malfoy vestivano in modo estremamente elegante, ma allo stesso tempo austero, e anche i loro volti regali ma segnati dalle rughe trasudavano un misto di alterigia, sdegno e chiusura che mi mise a disagio da subito. Ci salutarono entrambi educatamente – ma non cordialmente – e Narcissa si sporse rigidamente verso mia madre per sfiorarle appena la guancia con la sua. Scorpius si avvicinò ai nonni e li salutò con un certo imbarazzo, come se temesse che potessero dimostrarsi disgustati anche davanti a lui.
"Calvin, dico, ma che razza di famiglia è mai questa?"
Quando fu il mio turno di salutare e di venir presentata, Lucius Malfoy mi rivolse uno sguardo che, se non fosse stato troppo gelido per lasciar trasparire un'emozione del genere, sarebbe stato di puro schifo.
Calvin mise giù il cartellone con cui stava inneggiando al mio ingresso in "che razza di famiglia è mai questa" tramite matrimonio con Scorpius e cominciò a riconsiderare seriamente la propria opinione sui Malfoy.
« Tu sei Rose Weasley, suppongo » disse Lucius senza quasi staccare le labbra mentre parlava.
Mi ritrovai ad essere combattuta tra l'istinto di rispondere male al capostipite dei Malfoy e quello di non mandare a rotoli il matrimonio di mia madre. Il secondo, in realtà. Al primo ci avevano ben pensato lei e mio padre. La fatica di decidermi mi fu risparmiata da Draco, che sopraggiunse in quel momento e mi posò una mano sulla spalla.
« Io trovo che Rose Granger suoni molto meglio » disse.
L'espressione sdegnata in cui si esibì Lucius lasciò chiaramente intendere che il cognome Granger non lo schifasse meno del precedente. Ma tutto ciò non fu nulla in confronto all'espressione di cieco terrore che si dipinse sul suo volto quando nonno Wendell si fece avanti e gli strinse calorosamente la mano tra le sue.
« Perché non Rose Wilkins? » propose. « Tra gli aborigeni australiani è tradizione dare ai figli il cognome della madre ».
Lucius, che chiaramente non vedeva alcuna differenza tra mio nonno e gli aborigeni australiani, si affrettò a sfilare la mano dalla sua presa e sibilò un tutto fuorché credibile: « Piacere ».
Narcissa, al suo fianco, avrebbe probabilmente dato di stomaco se non fosse stata troppo aristocratica per farlo in pubblico. La salutai nel modo più educato che mi venne in mente e restai in sua compagnia il minimo indispensabile perché non mi si potesse rinfacciare di esser stata scortese. A quel punto, con mio (e suo) sommo sollievo, borbottai qualche idiozia sul fatto che era stato un vero piacere conoscerla e mi aggregai alla piccola comitiva che stava entrando nel castello per provare gli abiti da cerimonia.
I Malfoy, ovviamente, erano troppo ricchi e troppo aristocratici per non avere una schiera di Elfi Domestici al loro servizio, perciò, subito oltre il portone d'ingresso, fummo avvicinati da una losca creaturina raggrinzita. Aveva il naso lungo, con la punta rivolta verso il basso, ed indossava un cencio che aveva tutta l'aria di essere più lercio delle magliette ormai date per disperse che di tanto in tanto venivano rinvenute sotto il letto di Jamie.
« Seguitemi, signorino Scorpius, prego » disse, guardando il suo padroncino con aria adorante.
Mia madre, quando si trovò tra le gambe un Elfo che si offrì di scortarla nelle sue stanze e di aiutarla a provare l'abito da sposa, ebbe un mezzo infarto, ma per amor di Draco – o forse solo per non venir ammazzata dalla padrona di casa – s'improvvisò schiavista.
"Ma quanti ne hanno? Cos'è, un esercito?"
Sbuffai, mentre un terzo Elfo Domestico mi veniva incontro con l'aria di chi è stato costretto ad ospitare in casa sua un ex detenuto e non è del tutto sicuro di potergli voltare le spalle senza ritrovarsi un Anatema che Uccide in mezzo alle scapole. O, più probabilmente, vista l'opinione che i suoi padroni dovevano avere di noi Weasley, era solo convinto che se non mi avesse tenuta d'occhio avrei cercato di rubare l'argenteria. Alzai gli occhi al cielo e mi incamminai dietro Scorpius, con l'Elfo che mi sorvegliava attentamente a qualche passo di distanza. Provai l'irrefrenabile impulso di dare fuoco ad uno dei preziosi arazzi che decoravano le pareti solo per dargli fastidio.
Appena mi fu fatto vedere l'abito che avrei dovuto indossare al matrimonio – un orrendo vestito rosa con maniche a sbuffo e gonna a palloncino – mi sorse il sospetto che tutto ciò fosse un complotto. L'abito di Scorpius era un normalissimo abito nero da mago, elegante e raffinato, ma non appariscente. Gli unici dettagli davvero di nota erano gli orli verde-argento e i bottoni con lo stemma dei Malfoy. Come il vecchio Scorpius, era bello, ma banale: solo da vicino si vedevano le piccole cose che lo rendevano unico.
Mi riscossi con un sussulto da quei pensieri assolutamente fuori luogo e fuori di testa.
"Calvin... cosa diamine sto pensando?" piagnucolai. "No, aspetta..." mi affrettai ad aggiungere, davanti al teatrino di marionette in cui stava facendo sbaciucchiare un pupazzo biondo ed una bambola dalla chioma rossa. "Cosa diavolo stai pensando tu! Piantala di confondermi le idee! E vestiti, per Merlino!"
Lanciai uno sguardo implorante all'Elfa Domestica che mi stava porgendo l'orrendo abito rosa.
« Questo... è il mio vestito? » chiesi, anche se definirlo un vestito mi sembrava decisamente troppo lusinghiero.
« Sì, signorina » rispose quella piuttosto sgarbatamente, e stese il braccino ossuto per tendermi il vestito.
Fui costretta a fare un passo indietro per non venire in contatto con la ripugnante seta rosa dell'abito. Chissà perché, ero certa che se l'avessi anche solo sfiorato mi sarei trasformata in una specie di confetto formato gigante. In fondo, provenendo dai Malfoy, non si poteva certo escludere che fosse stato maledetto.
« Non è che per caso c'è stato un errore? » tentai ancora, speranzosa.
L'Elfa mi ficcò l'abito in mano senza tante cerimonie.
« No, signorina, nessun errore » tagliò corto.
Quando vidi l'abito destinato a Hugo – un vestito azzurro pieno di pizzi e merletti che sembrava essere appena saltato fuori da un tendone del circo – capii che l'unico errore, lì, era la presenza della stirpe Weasley al matrimonio.
Storsi il naso, mentre Scorpius s'infilava in una stanza adiacente per provare il suo abito. L'Elfa mi scoccò un'occhiatina malevola.
« Non provate il vestito, signorina? »
« Non so da che parte s'infili » replicai. « Sai, noi Weasley di solito viviamo nei porcili e ci vestiamo con pelli di montone ».
L'Elfa mi guardò con disgusto e sibilò qualcosa che preferii non capire ("Dico, ma si è vista lei com'è vestita?"). Ad ogni modo, non aggiunse altro.
Pochi secondi dopo, Scorpius uscì dalla stanza che aveva usato come camerino. Malgrado tutto, non potei evitare di rimanere impalata a fissarlo con la bocca aperta ed una faccina da cerebrolesa per la quale ringraziai sentitamente Godric di non avere uno specchio sotto il naso. Calvin, che a quanto pareva era appena riuscito a conquistare l'ultimo angolino di cervello funzionante di cui disponevo, smise di giocherellarsi dentro le mutande ed assunse immediatamente un contegno più aristocratico.
Scorpius inarcò un sopracciglio.
« Mi va troppo corto? » chiese, in direzione della mia espressione tutto-meno-che-decorosa.
Più che come gli stava il vestito, in effetti, sembrava che mi avesse appena chiesto implicitamente in che condizioni erano i miei neuroni. Non che non me lo chiedessi anch'io.
« No, ti sta da... insomma, è a posto... » risposi debolmente, mentre l'Elfa Domestica si sperticava nelle lodi più sfrenate, con cui concordai segretamente.
Calvin si sistemò il colletto della camicia bianca e lisciò la stoffa del raffinato mantello da mago con un gesto estremamente elegante. Mi chiesi disperatamente se ci fosse un incantesimo in grado di accopparlo e liberarmi per sempre delle sue imbarazzanti turbe ormonali.
"Calvin, non puoi farmi questo! Sono già nella cacca di drago fino al collo, è meschino infierire in questo modo!"
Scorpius girò il collo per controllare il vestito da tutte le angolature, poi annuì con aria soddisfatta.
« Direi che va bene. Grazie, Tipsy »
L'Elfa Domestica sembrò sul punto di svenire dalla gioia per quel "grazie" ed emise un urletto adorante.
« Oh, voi non dovete ringraziare, signorino Scorpius... Siete un ragazzo così gentile... Non come la feccia Mezzosangue che imbratta il buon nome dei maghi » aggiunse, voltandosi verso di me tanto per assicurarsi di essere stata abbastanza chiara nel suo riferimento.
Per tutta risposta le rivolsi una smorfia grottesca.
« Tipsy, sai che mio padre non vuole che tu dica queste cose sui suoi ospiti » la riprese Scorpius blandamente. « Se hai voglia di parlarne il nonno sarà più che felice di ascoltarti ».
Tipsy abbassò lo sguardo, afflitta da quel mezzo rimprovero, e piagnucolò le sue scuse, promettendo che si sarebbe buttata giù dalla torre più alta del castello per punizione. Mentre Scorpius le spiegava pazientemente che suicidarsi tutto sommato era un po' eccessivo, mi ritrovai – per l'ennesima volta – ad osservarlo di sottecchi.
Non avevo mai visto Scorpius nel suo habitat naturale e non riuscii a capacitarmi di quanto – proprio lui, lo Scorpius troppo timido anche per chiedere un favore ad un compagno di scuola – sembrasse a proprio agio in quei panni nobiliari. L'abito nero gli calzava alla perfezione e, nonostante come scelta di abbigliamento non rientrasse propriamente nei miei gusti, era impossibile non notare come lo faceva sembrare più grande e più sicuro di sé. Anche perché Calvin me lo stava urlando nelle orecchie da una decina buona di minuti, dannato modello dall'arrapo facile.
Sembrava una specie di baronetto Serpeverde, con i capelli biondi e appena un po' mossi che sfioravano gli orli del colletto alto e gli occhi verde chiaro, limpidi ed espressivi. Bello, intelligente, ricco. Per un attimo mi venne quasi da ridere, perché centinaia di ragazze se lo sarebbero sposato senza esitazioni solo per l'ultimo motivo, o magari anche per il primo, mentre io me n'ero a stento accorta. Mi ero a stento accorta di chi fosse Scorpius in realtà, per tutto quel tempo; di quanto io e lui fossimo diversi e provenissimo da famiglie diverse, nonostante ci fossimo trovati a dover condividere un genitore.
Quando Scorpius alzò gli occhi ed incrociò il mio sguardo, ebbi un tuffo al cuore. Per un paio d'istanti rimasi immobile, persa nei suoi occhi chiari, mentre il mio unico neurone superstite mi urlava furiosamente di distogliere lo sguardo da lui. Ma non ce la facevo, accidenti a me e a Calvin, non ce la facevo proprio. E non potevo farci niente.
"Come diavolo ho fatto a trovarlo banale e addirittura bruttino, per tutti questi anni?" mi chiesi, ripensando a tutte le volte che mi era passato sotto il naso in Sala Grande e avevo storto il naso con malcelato disgusto. Ripensando a come, negli ultimi giorni, mi ero illusa che sarei riuscita a farlo di nuovo, una volta tornati a scuola.
E di colpo, quando ormai la preoccupazione per l'esame si era dissolta e sembrava che andasse tutto bene, la verità mi crollò addosso con tutto il suo peso. Su di me, su di lui, su di noi. E, soprattutto, sulla mia immensa stupidità.
"Stupida, stupida, stupida!"
Arrossii violentemente e, prima che Scorpius potesse informarsi sullo stato di salute del neurone di cui sopra, mi affrettai a sparire dietro la prima porta che trovai, blaterando qualche insensatezza a proposito di provarmi l'orrendo vestito rosa. Appena sentii la serratura scattare alle mie spalle, mi tirai un ceffone in pieno viso. Forte.
"Miseriaccia! Quanto sono stupida!"
Appoggiai la schiena alla porta e chiusi gli occhi, cercando di calmarmi (più o meno con lo stesso successo di un pinguino obeso che tenta di spiccare il volo, ma sorvoliamo).
"Miseriaccia, miseriaccia e ancora miseriaccia! Calvin, lo vedi che mi hai definitivamente fatta impazzire?"
Calvin abbassò lo sguardo, leggermente imbarazzato, e lasciò perdere la cintura che aveva baldanzosamente cominciato a slacciare quando gli occhi di Scorpius avevano intercettato i miei.
L'abitino rosa cadde a terra e la lucida seta si stropicciò sotto i miei piedi, ma non mi degnai di raccoglierlo. In realtà, se l'avessi ridotto così male da non poterlo più indossare, sarebbe stata probabilmente l'unica nota positiva di quel pomeriggio di merda.
E a proposito di merda...
"Sono nella merda fino al collo, Calvin!" piagnucolai.
Come diavolo avevo fatto a pensare che sarei riuscita a dimenticarlo con un semplice schiocco di dita, in un paio di settimane? Tessa MacMillan aveva ragione, tutto sommato: dovevo essere proprio un'idiota senza speranze.
"Pensavo di esserci quasi riuscita sul serio... ma diamine, qua sono tutti che si sposano e che vivranno per sempre felici e contenti e... merda... quanto sono idiota..."
Scossi la testa con un sospiro sconsolato.
"Seriamente, Calvin, adesso non posso innamorarmi anche dello Scorpius stronzo..."
Peccato che, come il modello mi fece notare con un certo imbarazzo, era già successo.

***

I coniugi Malfoy si erano cortesemente rifiutati di avere la marmaglia Weasley a meno di dieci chilometri di distanza dalla loro proprietà, perciò fu predisposto che gli invitati venissero alloggiati in un paese lì vicino. Di invitati, a dire il vero e vista la discrepanza tra le amicizie di Draco e quelle di mia madre, ce ne furono assai pochi al di fuori dei parenti. La mattina del giorno dopo, quando volai al villaggio sulla vecchia Nimbus 2001 di Draco, riuscii a vedere di sfuggita solo una Pansy Parkinson truccata vistosamente ed ancor più vistosamente di pessimo umore e un paio di altri vecchi compagni di scuola di mia madre, tutti con la stessa aria perplessa di chi non sa bene cosa ci faccia in Costa Azzurra al matrimonio di due ex nemici giurati.

Perchè sul campanello di casa mia c'è scritto Weasley-Malfoy?!Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora