11. L'accelerazione gravitazionale che uccide noi formiche

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Accelerazione gravitazionale: accelerazione che un corpo subisce quando è lasciato libero di muoversi in caduta libera in un campo di forza conservativa, chiamata gravità. 

CAPITOLO 11.


Shad strofina via le minuscole macchie di sangue che le mie nocche hanno lasciato sul vetro dell'espositore. Mi trascina via prima dell'orario di chiusura, e impiego più del necessario a rendermi conto che è da Xanders che mi sta portando. Appena ci riesco mi aggrappo con tutte le mie forze allo stipite di una porta a caso e scuoto la testa. Non posso, non ancora, non quando Zelda Hodgkin mi sta con il fiato sul collo.
È lì, nel bel mezzo del corridoio, che rivelo tutto a Shad: il previsore, l'auricolare, la molecola dell'oblio, tutto.
Quando finisco di parlare lei mi butta le braccia attorno al collo, perché sa che le probabilità di scoppiare a piangere sono così alte da far venire le vertigini. Mi farebbe sentire meglio, credo, allentare la pressione e annegarla nelle lacrime, ma sono troppo spaventata per permettermi di avere la vista annebbiata.
Con la fronte puntata contro la sua spalla dico solo: - Adesso mi credi?
Shad continua a tenermi stretta. Riesco a sentire i piccoli circuiti del suo corpo che ronzano nelle orecchie ogni volta che il suo petto si alza e si abbassa.
- Ti ho sempre creduto, Sybil, ed è per questo che dobbiamo chiedere aiuto a qualcuno di competente.
Ha qualcosa in mente: non serve sentirselo dire, glielo leggo in faccia, come se la rete di strisce metalliche che le attraversano le tempie fosse carta stampata. Appoggio la mano sullo stomaco e inspiro lentamente, espiro, inspiro di nuovo e poi annuisco. Devo togliermi questi vestiti e lavarmi la faccia e riprendere il controllo di me stessa, prima di fare qualunque altra mossa. Shad vuole lasciare fuori da questa storia la sua famiglia, e io non posso darle torto. Xanders non rientra nella mia definizione di "competente", anche se ammetterlo mi costa più del previsto, quindi propongo l'unico nome per cui le mie labbra si sforzino di muoversi.
- Nicholas.
Shad passa in rassegna i sintomi del mio disturbo post-traumatico da stress, come se avessi perso il senno da qualche parte nell'edificio, o sulla Luna. Forse sono davvero pazza, o forse no: di sicuro sento che l'ansia che mi porto cucita addosso si è fatta così stretta in vita che faccio fatica a respirare.
- Non è esattamente la prima persona di cui fidarsi, Sybil.
- Lo so, ma è il più bravo in tutto e finirà per scoprirlo comunque, visto che è stato lui a parlarmi del previsore.
Shad non sembra affatto sicura della sua affidabilità, ma finisce per appoggiare la mia scelta pur di non turbarmi ulteriormente. Si guarda i vestiti - informali -, e le scarpe - da ginnastica - poi trasalisce. Torniamo in camera per arraffare alla svelta qualcosa di più elegante e anonimo da mettere per andare a cercarlo senza dare nell'occhio. Chissà con chi sta ballando, adesso. Qualcuno che gli pesti i piedi come me, mi auguro.
- Resta qui.
Shad s'infila un soprabito abbastanza largo e scuro da nascondere le spigolosità delle sue protesi, con il badge appeso al proprio posto.
- Non gli permetteranno di lasciare la cerimonia, ma gli farò capire di raggiungermi appena possibile.
Sfilo la sottile coroncina argentata che mi comprime la fronte e gliela passo: la prende subito per non dover commentare il tremore delle mie dita, e subito dopo se l'appoggia sulla testa. Le sta larga nel punto in cui i suoi capelli sono rasati, all'attaccatura del materiale perlaceo che sostituisce l'epidermide. Sta per dirmi che sono al sicuro, ma solo perché è Shad e detesta veder soffrire le persone. Piuttosto preferirebbe scaricare il dolore su di sé, come sta fancendo in questo momento. Lo so per certo perché presentarsi a quel ballo è l'ultima cosa che vorrebbe dover affrontare. Tutta quella gente, quelli sguardi impressionati su di sé, e quelle splendide ragazze dalle silhouette perfette che si divertono a metterle in mostra: per Shad è un incubo, dover sfoggiare gli impianti metallici che irrigidiscono il suo corpo.
Vorrei potermi alzare da questo letto per andare di persona.
Vorrei essere quel tipo di amica.
Ma non lo sono.
E non mi muovo.
- Sarò di ritorno nel giro di dieci minuti, - promette.
Ed è così, in effetti. Ho appena il tempo di cambiarmi prima che mi raggiunga e si chiuda la porta alle spalle con l'espressione raddolcita dal successo: Nicholas ha ricevuto il messaggio, e sarà presto qui. Ma a quanto pare "presto", per Nicholas Reichenbach, è un concetto più relativo del tempo stesso. È l'una passata quando sentiamo bussare alla porta e Shad si alza in piedi per aprirla. Il corridoio debolmente illuminato rivela la figura quasi evanescente di Nicholas: ha un braccio dietro la schiena e l'altro piegato sullo stomaco a tenere compostamente la giacca dello smoking. È tardissimo, ma lui non ha un solo capello fuori posto, come se l'assenza di sonno non avesse fatto altro che rifinire il suo aspetto al millimetro.
- Dove sei stato?
- Non potevo andarmene a mezzanotte come Cenerentola, - commenta, accomodandosi nella stanza senza chiedercene il permesso. Cerca l'appendiabiti e si disfa della giacca con noncuranza. Poi mi vede. Vede qualcosa sul mio volto cinereo e si avvicina con cautela, facendo di nuovo quella cosa con lo sguardo: lo punta sulla mia gola per qualche secondo, poi cambia obiettivo e si mette le mani in tasca.
- Il previsore, - comincia, curvando leggermente la schiena per studiarmi da vicino. Vengo investita dall'odore pungente del suo dopobarba e raggiunta dalla nausea. La colpa, in realtà, è del mio disturbo-ansionso-generalizzato che, a questo punto, immagino si definisca tale perché scatenato da elementi disturbatori tra i più ridicoli e disparati, come il profumo di Nicholas.
A pochi passi da me, con la giugulare ben in vista che ne diffonde l'aroma ad ogni pulsazione.
Dio, sto per rimettere la cena.
- Fammi indovinare, sei andata a cercarlo e ci hai trovato dentro qualcosa di tua sorella.
- L'intero previsore era di mia sorella, - sospiro, e scatto dall'altra parte della stanza prima che la bile decida di andarsene a spasso lungo la mia gola.
- Non venirmi a dire che è stato donato da lei.
- Il donatore è anonimo, ma chiunque esso sia sapeva che lo avrei riconosciuto. Lilith ce lo aveva in mano il giorno dell'attentato, - dico.
- Era per un progetto di scienze, e io gliel'ho rotto poco prima che...
- Poco prima che...
Poco prima che la scuola saltasse in aria, e la pelle delle mie braccia si sciogliesse, e quarantuno persone si accendessero a mo' di torce.
Le parole arrivano fino alla soglia delle mie labbra, sbirciano fuori e subito dopo si rifiutano di dare il loro contributo. Nicholas mi squadra, poi indossa un sorriso professionale e pulito. Un sorriso, adesso.
- Avresti potuto contattare chiunque, e invece hai scelto di chiedere aiuto a me.
- Dunque c'è qualche ingranaggio funzionante, tra tutti quegli assoni.
Qualcuno mi dia una buona ragione per non prenderlo per la gola e ssstringere quel dddannnato cccollo. Così, tra due pugni.
Eppure è qui perché io ho chiesto di lui. Mi sono già pentita di averlo fatto, però, quindi tanto vale soffocare lo stress soffocando Nicholas.
- È chiaro che si tratti di una provocazione. Sanno che l'originale previsore sismico che tua sorella ha portato a scuola quel giorno è stato probabilmente divorato dalle fiamme, e che Zelda non può crederti sulla parola.
- Nessuno può credermi sulla parola, - mi lamento.
- Io sono qui perché ti credo, creaturina.
Mi lascio sfuggire un suono imbarazzante, come un gorgoglio. C'è una parte di me a cui viene il mal di testa solo ad averlo vicino, con i suoi giudizi spietati e le sue maschere, e un'altra che brama disperatamente di saper distinguere se dietro le sue parole, le sue espressioni, e il suo intero apparire si celi anche uno straccio di essere. Il risultato a cui s'impuntano entrambe, però, è il solito: Nicholas Reichenbach è una, nessuna e centomila persone insieme. A seconda di quella che gli torna più utile.
- E anche perché volevo sapere cosa ci fosse di più urgente che ballare un valzer con il sottoscritto.
Mi affretto a strozzarlo.
Ma Shad arriva prima del mio tentativo di omicidio preterintenzionale.
- Oh, - commenta, e io le rivolgo un'occhiataccia, chiarendo che non stavamo proprio ballando. Al massimo ondeggiavamo tenendoci a debita distanza l'uno dall'altra. Nicholas liquida tutto con un gesto della mano. Spulcia la nostra scrivania in cerca di qualcosa da sgranocchiare: caramelle, realizzo, e affondo la faccia nel  tessuto della tenda che nasconde la finestra. Il genio di cui tutti parlano se la prende con calma e va a caccia di dolciumi.
- Non ne avete di cioccolatini? - chiede, ed è piuttosto scocciato, come se avessimo dovuto offrirgli qualcosa già da un pezzo.
- Ci credo che il vostro cervello funziona a rilento.
- Il nostro tasso glicemico è ottimale, Nicholas, visto che abbiamo un'idea, - precisa Shad, e mi fa l'occhiolino chiudendo in uno scatto la palpebra di materiale sintetico. Non so di cosa stia parlando, ma mi riscaldo per qualche istante con un barlume di speranza; almeno fino a quando Nicholas non trova una striscia di liquirizia gommosa e comincia a mangiucchiarla con la schiena appoggiata alla scrivania. Si allenta il nastro nero che gli circonda il collo, facendo scivolare piano il dito da una parte all'altra del colletto.
Lo fa apposta.
- Ah, sì, il tuo piano.
Si stiracchia quel che basta per rendere attillata la camicia.
Shad, lo fa apposta, capisci?
- Intercettare la rete di Szilàrd e accedere al suo computer personale per scaricare i dati di tutti gli oggetti donati all'Esposizione. Statisticamente parlando il tuo piano è debole.
- Traduco per la creaturina qui presente: fa schifo.
Subito dopo le labbra di Nicholas, arrossate dalla liquirizia, mimano un "non c'è di che" in mia direzione.
Shad rimane interdetta per una o due eternità prima di riprendere il controllo della sua mascella e chiudere la bocca. Io mi tuffo di nuovo nella tenda di velluto e inspiro qualcosa che mi distragga dal dopobarba di Nicholas: detergente alla lavanda. Buono. Fresco.
Mi domando se Nicholas avesse previsto tutto prima ancora di mettere piede qui dentro, visto che fino a qualche minuto fa volteggiava nella sala da ballo del settantanovesimo piano, e adesso ha già preso il controllo della situazione. Dovrei compiacermene: è per questo che ho cercato lui.
- Come facevi a saperlo?
- Suvvia, Sharazad, è con me che stai parlando, quindi fidati se ti assicuro che la sicurezza informatica rintraccerebbe una minaccia esterna nel giro di, concedetemi qualche calcolo, quattro secondi.
Fa scoccare la lingua.
- E ho arrotondato per eccesso.
- Hai un piano migliore? - chiede Shad.
- Hai intenzione di aiutarci? - chiedo io, riemergendo dalla stoffa. Detesto la nota di disperazione nella mia voce, ma non riesco a sopprimerla. Mentirei se dicessi che la vista di quel previsore non mi avesse spezzato qualcosa dentro: è come se l'ultimo brandello di convinzione a cui mi tenevo stretta si fosse disfatto in una nuvola di polvere, lasciandomi addosso la sensazione di essere sporca, macchiata dalla debolezza.
Dovrei avere fiducia e invece ho paura. Il mio mantra non funziona più.
Nicholas fa finta di pensarci su.
- Ho l'unico piano che possa mai funzionare, ma è così rischioso che non ho intenzione di aiutarvi. Ho risposto in maniera soddisfacente ad entrambe?
Ne ho avuto abbastanza, ma adesso basta. O siamo alleati o non siamo niente, ed è arrivato il momento di deciderlo.
- Nicholas, se ti ho disturbato è perché sei abbastanza intelligente da capire che devo sparire dalla vostra vita.
- Corretto, - ribatte lui. Ignoro la reazione sofferente del mio corpo a quanto sentito.
- E non vedo l'ora di sparire dalla vostra vita, - continuo, - ma non posso farlo se voi maledetti alieni vestiti con completi di Prada vi prendete gioco di me.
- Tutto quello che ti chiedo è di dirmi che cosa posso fare: al resto ci penserò io.
- E giuro sulla mia vita che se dovessero scoprirmi, non rivelerò mai il tuo nome, - aggiungo, perché immagino che voglia sentirselo dire.
- Non ne avrai l'occasione, perché ti cancelleranno la memoria, - dice, più altero di prima.
- Una puntura e avrai perso per sempre tua sorella.
E forse sarebbe meglio che accadesse.
Magari è proprio quello che pensa, mentre se ne sta lì, sul suo trono di superiorità, guardando giù per godersi lo spettacolo di chi, come me, non ha più carte da mettere in tavola. Nella lista delle risorse che mi sono rimaste pregarlo è all'ultimo posto, sotto una fila di tentativi fallimentari che mi hanno spinto a questo. A compiere un passo verso di lui con la coda tra le gambe.
- Per favore, - sussurro, e se sapesse quanto mi costa pronunciare queste parole non mi volterebbe le spalle. Se sapesse com'era, scongiurare Lilith quando avevo bisogno di una mano che mi tirasse su dal fango, e sentirsi, sapersi più debole e inutile e persa, accetterebbe senza discussioni.
C'è un lungo silenzio, poi Nicholas si preme le tempie tra il pollice e il medio.
- Spero che quello che sto per dire sia solo l'effetto di un inceppamento delle pompe sodio-potassio deli miei neuroni, - sibila.
- Se vuoi sapere chi ha donato quel previsore e con che pretesto, devi avere accesso al computer di un membro del Comizio. Non di uno qualunque, ma di qualche pezzo grosso, il che vuol dire, nel nostro caso, a quello di Szilàrd o a quello di Zelda. Sharazad aveva ragione su questo, ma non accetta che l'unico modo per ottenere quei dati è scaricarli di persona.
- Fuori discussione, - lo interrompe Shad.
- Bisogna entrare nel loro ufficio e hackerare il loro computer nel minor tempo possibile. Qualunque intervento indiretto, o a distanza, con un altro pc, per capirci, sarebbe segnalato immediatamente alla sicurezza informatica. Se potessimo mettere le mani sul sistema, invece, potremmo disattivare almeno una parte dei controlli e guadagnare del tempo prezioso.
- Non se ne parla: se ci scoprono, e ci scopriranno, le faranno il lavaggio del cervello. E io finirò in prigione.
- E la Villa risentirà dello scandalo, - dice Nicholas, masticando l'ultimo pezzetto di liquirizia.
- È per questo che io non vi aiuterò.
- Alphy sarebbe in grado di hackerare un computer del genere? - chiedo a Shad, ma so già qual è la sua risposta. Nicholas rovescia la testa all'indietro per il divertimento, come se il soffitto fosse più  stimolante delle mie idiozie.
- Per favore, creaturina, non è il momento di fare dell'ironia. Servo almeno io, se non addirittura Armand o Beatrice.
Shad risolve i miei dubbi prima ancora che abbia il tempo di articolarli in una domanda di senso compiuto.
- Gli ultimi due sono degli ingegneri informatici, - chiarisce.
- Scordatevi di chiederlo alla mia ragazza.
Adesso è la "sua" ragazza, certo.
- Io sarei disposta a farlo, - azzarda Shad, perché rassicurarmi è quello che si sente in dovere di fare, - ma da sola sarà difficile riuscirci.
Non c'è niente da fare, quindi. Sono circondata dai complici di mia sorella e posso solo rimanere con le mani in mano mentre i Novi si fanno beffe di me alle mie spalle. Dopotutto non posso chiedere a Shad di rischiare il suo futuro per me: se Nicholas non è disposto ad aiutarci non avremo speranze di portare a termine la missione, e io non riuscirei a perdonarmelo, se dovesse accaderle qualcosa. Così mi alzo in piedi e asciugo le mani umide di sudore sulla maglietta, scuotendo la testa.
- Lasciate perdere, troverò un altro modo.
Con le gambe incrociate davanti a sé, Nicholas mi rivolge una smorfia arrogante, come di chi ami le sfide e non possa fare a meno di tenersene lontano. Mi ricordo di quella volta in cui fece in modo che scoprissi degli attentati di Washington; di come si fosse definito in crisi d'astinenza. In crisi d'astinenza da problemi da risolvere, certo; di giochetti con cui impegnare la mente e dimostrare di essere il migliore.
Forse posso sfruttare questo punto a mio favore.
- È troppo anche per te, Nicholas, - sussurro, guardandomi le scarpe con aria afflitta.
L'importante è essere convincente. Sto per tirare su con il naso in una pessima recita da quattro soldi quando mi rendo conto che si è irrigidito.
- Credo di non aver capito, - dice a denti stretti.
- È una situazione troppo difficile da gestire, perfino per te.
Momento imbarazzante, realizzazione del significato delle mie parole, espressione di chi è appena stato insultato pubblicamente. Nicholas mi fa capire che di tutto quello che avrei potuto dire, questa è stata l'affermazione più avventata e pericolosa e stupida, ma è proprio questo che volevo. Vederlo serrare la mascella, scostarsi prepotentemente i capelli dalla fronte; ferire la sua mania di protagonismo e godermi lo spettacolo del suo ego che sanguina sulla moquette della nostra stanza.
- Tu non mi conosci ancora, creaturina, ma per questo non ti biasimo: scoprirai che sono io ad essere troppo per qualunque situazione.
Subito dopo scatta verso la sua giacca, estrare un cellulare di ultima tecnologia e fa per portarselo all'orecchio.
- Armand mi deve un favore. Un favore di dimensioni planetarie, per inciso: non è nella condizione di dirmi di no.
- Sei un vigliacco, Nicholas!
Shad gli si fa incontro con il dito meccanico che emana una luce fredda: la sua reazione mi coglie alla sprovvista, e per qualche secondo mi rifiuto di registrarne la rabbia. È curioso che Nicholas sia l'unico ad avere il potere di portare allo stremo della pazienza la persona più gentile che io conosca.
- La creaturina sa che ho molto da perdere: mi sono già fatto impietosire abbastanza per i miei gusti, quindi toglimi quella mano dalla faccia prima che te la smonti.
- Se hai intenzione di ricattarlo con quello che penso, non ti rivolgerò mai più la parola.
Alzo le mani in segno di pace, ma è a quel punto che Nicholas Reichenbach comincia ad urlare. E fa paura, più del previsore sismico e delle minacce di Zelda Hodgkin messi insieme, come se ci fossimo rimpicciolite fino a scomparire, e lui potesse farci crollare il grattacielo addosso.
- Voi avete il diritto di pretendere da me la risoluzione dei vostri stupidi problemi dal momento in cui ho conoscenze e agganci e influenza e denaro, ma quando è il mio turno di fare una richiesta sono un vigliacco, non è vero?
Le mie braccia.
Ancora alzate.
Il mio cuore.
Altera il ritmo dei propri battiti.
- Non è vero? - grida e Shad arretra così tanto da doversi sedere sul letto. Mi ricordo della storia di Nicholas, della morte di suo padre, e di quel ragazzino che scalciava e tirava pugni contro i vetri - proprio come me - e gridava così forte da graffiarsi la gola.
Mi appiattisco contro la parete.
Sono la stessa persona?
La sua faccia deformata dall'ira scompare con la stessa velocità con cui è venuta fuori, ma da dove venga e dove torni a nascondersi non è dato di saperlo. Un secondo prima non c'era, e poi eccola lì, a storcere le linee perfette dei suoi zigomi.
Poi di nuovo nel nulla.
Nicholas stira il collo di scatto, tenendo gli occhi chiusi. Dopo qualche secondo li riapre e sono di un verde più scuro e freddo sotto quel cipiglio, come se la pioggia e il gelo fossero scesi sui ciuffi d'erba delle sue iridi e li avessero imprigionati nella brina. Parla molto lentamente, ed è ancora peggio di quando urlava.
- Faccio una telefonata.
Non so che cosa sussurri dentro quel telefono, ma qualunque cosa sia ha il potere di far comparire Armand davanti alla nostra porta e di renderlo docile e umiliato come un cane bastonato. Shad non apre bocca, quindi a dare le spiegazioni è Nicholas, che lo fa in maniera concisa e indiscutibile. Armand ha la corporatura così fragile che pare sul punto di spezzarsi, ma appena Nicholas finisce di dare le direttive annuisce.
- Va bene, lo faccio.
- Voglio che entriate nell'ufficio di Szilàrd, - mormora Nicholas, il tono così piatto da pensare che sia registrato, - non me la sento di tradire Zelda in questo modo.
- Va bene, - ripete Armand, e quando alza il viso verso di me sembra così smarrito da non sapere come mi chiamo. Mi riconosce? Mi odia?
Se lo fa, è giusto che sappia che io non mi sento in colpa nemmeno un po', e che è la sensazione peggiore del Mondo. Dove sono il magone e la mortificazione di sé?
- Mi dispiace, Armand, - azzardo, con il sapore di bugie nella saliva.
Lui ripete - Va bene, - come un disco rotto.
Come chi ha paura di Nicholas Reichenbach.
Come tutti in questa stanza.

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