"Dagli tempo."

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Gemma si sbagliava terribilmente.

Louis non si fece vivo né il giorno seguente né durante tutta la settimana che seguì.

Harry, nonostante fosse ancora arrabbiato e ferito, iniziava a preoccuparsi per lui.
-Dagli tempo.- Gli disse Gemma, dopo il suo ennesimo commento preoccupato, esattamente una settimana dopo il loro litigio.
Harry iniziò a mordersi nervosamente il labbro inferiore, poi annuì lentamente, si infilò il giacchetto e il cappello e uscì di casa per prendere un po' d'aria.
Stava seguendo le indicazioni del dottore alla lettera, riposandosi anche grazie a sua madre, che non gli lasciava fare il minimo sforzo, impedendogli anche di aiutarla in casa.
Iniziava però ad annoiarsi: non poteva andare a correre, non poteva allenarsi, si sentiva in gabbia.
Inoltre, non riusciva a smettere di pensare a Louis.
Per quanto cercasse di mostrarsi sereno con i suoi famigliari, per non dare loro ulteriori preoccupazioni, era ancora sconvolto dal litigio della settimana precedente.
Si sentiva arrabbiato, confuso, preoccupato e triste allo stesso tempo.
Louis aveva passato il limite, certo, ma nonostante questo gli mancava.
Gli mancava come l'ossigeno.

Camminando con lo sguardo fisso sul marciapiede, non si accorse della figura che gli andava incontro.
-Harry!- Si sentì chiamare.
Alzò il viso e si trovò davanti la madre di Louis, che lo guardava con aria molto preoccupata.
-Buonasera.- La salutò.
-Harry, tu come stai?- Gli chiese lei, agitata.
-Sto bene adesso, sto cercando di riposarmi. Che succede?-
L'espressione della donna non lasciava presagire niente di buono.
-Louis.-
Sentendo quel nome, Harry sentì il cuore affondargli dentro il petto.
-Cosa? Che ha fatto? Che è successo?- Chiese, sperando con tutto se stesso che l'amico stesse bene e non si fosse cacciato in qualche guaio.
-Speravo me lo dicessi tu.-
Harry, confuso da quella risposta, guardò perplesso Johanna.
-Io.. Noi.. Abbiamo litigato una settimana fa, poi non l'ho più visto.- Spiegò.
-Oh Dio.- Esclamò lei, portandosi le mani sul viso, con aria disperata.
-Che è successo?- Chiese nuovamente Harry, cercando di ottenere una risposta. L'attesa lo esasperava.
-Non lo vedo da una settimana. Non è tornato a casa da quando è uscito quella sera dopo il vostro litigio. Non ha chiamato. Niente. Non so assolutamente niente.- Rispose lei, scoppiando in lacrime.
Harry, sempre più scioccato, le si avvicinò e la abbracciò.
-Tornerà, davvero. Non può essere andato lontano.- Disse, rivolgendosi a se stesso più che a lei.
La salutò velocemente, poi iniziò a girare tutti i bar e i luoghi della città dove Louis poteva essere andato.
Andò perfino alla scuola di musica, dove però gli dissero che Louis non si faceva vivo dal primo Febbraio.
Harry imprecò mentalmente più volte, prima di rassegnarsi e tornare a casa.
-Lou, dove cazzo ti sei cacciato?-
Chiese, rivolto al buio della sua camera.
Era disposto a perdonarlo, a dimenticarsi di tutti quello che si erano detti, a smettere di pensare a lui, a smettere di amarlo, se solo avesse saputo che stava bene.
Aveva bisogno solo di quello. Di sapere che stava bene e che tutto sarebbe tornato alla normalità.
Ma quest'ultimo desiderio era un'utopia, e Harry lo sapeva.
Niente sarebbe tornato come era prima.

Louis, seduto su uno sgabello in un bar, buttò giù un bicchiere di un qualche superalcolico. Doveva essere il sesto o settimo che beveva, aveva perso il conto da un pezzo.
Sentiva dolore dappertutto, non si ricordava dove fosse, o perché si trovasse lì.

Dopo essersi pulito per bene la faccia dal sangue, una settimana prima, era salito sul primo autobus che era passato ed era finito in una cittadina poco distante Holmes Chapel.
Lì, si era infilato in un bar e aveva iniziato a bere, finendo inevitabilmente per ubriacarsi.
Poi aveva iniziato a girare tra i tavoli alla ricerca di una ragazza con cui passare la notte.
Aveva trovato, invece, un ragazzo, un certo James che si era dimostrato molto interessato a lui e altrettanto disponibile ad un'avventura di una notte.
Louis, troppo stordito dall'alcol, non aveva realizzato per niente la situazione.
Così, fece per la prima volta sesso con un uomo, che non ci andò per niente leggero, anzi. Non si preoccupò di prepararlo alla sua presenza e affondò violentemente dentro di lui.
Louis, quando la mattina dopo si era ritrovato terribilmente dolorante e si era ricordato l'accaduto, aveva ricominciato a bere, per poi fare sesso con un altro uomo la sera.

La stessa cosa si ripeteva ormai da una settimana. Dopo il dolore del primo giorno, Louis la mattina si svegliava appagato, anche se non aveva il coraggio di ammetterlo a se stesso e così ricominciava a bere.
Quella sera, dopo che ebbe bevuto il famoso sesto o settimo bicchiere, un ragazzo lo avvicinò.
-Hey!- Lo salutò.
-Andiamo da te?- Chiese Louis, scendendo dallo sgabello e barcollando cercando di stare in piedi.
-Come scusa?- Chiese l'altro, confuso.
-Credo che tu abbia frainteso. Era un saluto di cortesia, sono sposato e ho due figli. Sono un ufficiale dell'esercito e sono appena tornato.- Solo allora Louis riuscì a mettere a fuoco la sua figura e a notare la divisa che indossava.
-Tu non hai nessuno che ti aspetta a casa?- Gli chiese il soldato.
Quelle parole fecero scattare qualcosa nella mente di Louis.
Fece un passo indietro e urtò lo sgabello, rovesciandolo e cadendoci sopra.
-Grazie!- Urlò, alzandosi e correndo all'impazzata fuori dal locale e poi sulla strada.
Non capiva più nulla, sentiva solo che doveva tornare a casa, anche se non sapeva dove fosse.
Aveva degli occhi verdi fissi in testa, ma era talmente ubriaco da non ricordare a chi appartenessero. O almeno era quello che ripeteva a se stesso.

Nonostante l'alcol e i suoi tentativi di auto convincimento sapeva che quegli occhi verdi erano la sua casa, la sua ancora e il suo porto sicuro. Non avrebbe mai potuto dimenticarli, ma non avrebbe mai confessato di sapere a chi appartenessero, neanche sotto tortura.

It was always you.|Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora