Capitolo 19

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La mia vista era leggermente appannata, grazie alla quale non riuscivo a capire dove mi trovavo. Tastai tutto ciò che c'era attorno al mio corpo, ma ciò che sentivo era una distesa infinita di materasso e lenzuola stropicciate. Mi voltai a sinistra inarcando le sopracciglia, ma la mia vista sembrava voler restare impastata dal sonno. Per un attimo mi sentii cieca, ma quando portai, sebbene con difficoltà, i pugni chiusi agli occhi per poterli strofinare, qualcosa me lo impediva. Toccai con le dita la massa fredda che si trovava tra le mie dita e i miei occhi, la afferrai alle sue estremità e la sfilai dalla testa. Ora la vista sembrava essere ritornata: la stanza era sempre la stessa, e dall'altra parte si trovava un Riccardo accovacciato sul tappeto. I brividi mi percossero la schiena, arrivando sin alla punta dei piedi freddi, alzai la coperta scoprendomi in intimo e non riuscendo a capire come ci fossi finita, le immagini della sera prima iniziavano a riaffiorare sfocate la mia mente.

"Ab!" le urla di Riccardo, provenivano dalla cucina da almeno cinque minuti "Guarda che la festa inizia alle otto! Datti una mossa!" ma io non mi ero ancora degnata di presentarmi, nel mio elegante vestito nero. Corsi in bagno e cercai la pochette viola, come mi aveva indicato Edoardo, dentro ci sarebbero stati i trucchi di sua sorella, che avrei potuto usare tranquillamente. Era da molto tempo che non mi truccavo ma, in fondo, non mi sono mai truccata tantissimo, neanche per andare al liceo o alle feste eleganti, non che ce ne fossero state molte nel mio passato. Appena ebbi finito, infilai le scarpe e corsi per il corridoio. prima di entrare in salotto, mi fermai di colpo aggiustandomi i capelli sotto il cappello, in un modo alquanto frenetico. Feci il mio ingresso nel salone, cercando di sembrare una ragazza più calma e naturale, forse con pessimi risultati. Mi fermai davanti a Riccardo, che continuava a mordersi il labbro con fare seducente, devo smetterla di guardargli le labbra mi appuntai in mente, e spostai lo sguardo sui suoi occhi. "beh" prese a parlare balbettando leggermente "S-sai già quello che penso quindi... ecco, saltiamo la parte dei complimenti vari e andiamo che sei bellissima"concluse in fretta, per poi correggersi notando il mio sguardo confuso "C-cioè volevo dire... andiamo che siamo... in ritardo" scosse la testa andando verso la porta. Solo in quel momento notai com'era vestito: aveva una canottiera bianca strappata da qualche parte, mentre un disegno indefinito si trovava nero sul suo petto; il tatuaggio era completamente in risalto, e mi ricordò vagamente la prima volta che lo vidi; i pantaloni neri e strappati mettevano in evidenza le sue gambe snelle. In poche parole, era tremendamente sexy. Aprì la porta di scatto, rivelando un Edoardo intento ad aggiustarsi i pantaloni. Si voltò a guardarci, per poi posare lo sguardo su di me. "Wow Ab, sei veramente bellissima" sorrise avvicinandosi a me per posarmi un bacio sulla guancia. Si allontanò sistemandomi il cappello sulla testa. "Andiamo che siamo in ritardo" Riccardo alzava gli occhi al cielo scendendo rumorosamente le scale "Ehi le hai almeno fatto un complimento coglione? Ti ha fatto un complimento o lo devo costringere?" disse Edoardo per poi rivolgersi a me non ottenendo una risposta da Rick, alzò un sopracciglio fissandomi negli occhi, mentre le mie guance andavano a fuoco. "Si certo" riuscii a dire alla fine, mentre salivamo nella macchina di Riccardo "A modo suo" sorrisi.

Aprii la portiera della macchina, e davanti mi si presentò uno spettacolo disgustoso: un palazzo alto e grigio torreggiava sopra le nostre teste, avrà avuto si e no una decina di piani; alcune finestre ai piani superiori erano rotte, mentre da altre spuntavano dei barlumi di luce debole; sotto tutto ciò, da un piccolo locale, usciva un rumore sordo, quello che alcuni ragazzi chiamano musica. Le finestre del locale erano colorate e alcune presentavano dei graffiti azzurri, o almeno delle sottospecie di scritte che dovrebbero avere un certo stile. Mi avvicinai piano a Riccardo, che guardava con disgusto e curiosità Edoardo"Sai" disse sussurrando, affiancandomi nella strada buia "E' quella che i ragazzi d'oggi chiamano musica"  risi per la sua affermazione, seguendo Edoardo all'interno dello squallido locale. Subito la musica troppo forte mi tappò le orecchie, ma dopo essermele stappate mi ci abituai gradualmente. Seguii Riccardo, tenendolo per la maglietta, mentre mi guardavo intorno: mille ragazzi e ragazze sudaticci si strusciavano l'uno contro l'altra. Viva l'igiene insomma. Le luci erano basse, era quasi buio, ma potevo vedere la smorfia disgustata di Riccardo. Alcune luci bianche si alternavano ad altre rosse, e le persone nella sala ballavano a ritmo. Ci sedemmo al bancone, con Edoardo alla destra di Riccardo intento a parlare con il barista, e Rick che si guarda attorno curioso, mentre io mi limito a fissare Riccardo in tutta la sua bellezza. Vengo distratta da un bicchiere contenente un liquido trasparente che, ovviamente, non contiene acqua. Mi volto verso Riccardo che svuota il suo in un colpo solo. Inarco le sopracciglia spalancando leggermente gli occhi a quella vista: avevo sempre pensato, in fondo, che Riccardo fosse un ragazzo fuori dalle regole, ma io non lo ero. Io non sono la tipica ragazza da festa, anzi sono il contrario. E ora? Bevo? Senza pensare presi il bicchiere in mano, e versai tutto il liquido in gola e mentre passava attraverso essa, lasciava una scia di bruciore che si prolungava sin allo stomaco. Spalancai gli occhi ancora una volta, mentre lo sguardo di Riccardo si posava preoccupato sul di me. "Ab, tutto okay?" chiese dolcemente, e la sua voce mi fece dimenticare immediatamente il bruciore allo stomaco. Annuii velocemente, mentre la mano di Rick strofinava la mia schiena "Sicura?" chiese di nuovo, mentre io annuivo un'altra volta, poco sicura di ciò che stavo dicendo. E mentre mi passavano un'altro bicchiere, mi convinsi pian piano che sarebbe stato ciò che avrei dovuto fare quella sera.

Avevamo riso tutta la serata, per un motivo sconosciuto. Molte ragazze spesso si avvicinavano e fissavano Riccardo curiose, ma stranamente a lui non importavano. La rabbia scattava in lui nell'esatto momento in cui, alcuni ragazzi si avvicinarono al tavolo chiedendomi di andare a bere qualcosa. La mano di Riccardo si avvicinò velocemente al mio fianco, e mi attirò bruscamente a sé. I brividi percorsero la mia schiena in quell'istante e non potei far a meno di mordermi il labbro guardando imbarazzata verso i miei piedi. "Scusa amico, non ti avevo visto" disse subito il ragazzo dal volto oscurato (nei miei ricordi), alzando le mani in segno di resa dopo aver notato lo sguardo fulmineo di Riccardo. "Non ti azzardare a guardarla, amico" la voce dura di Riccardo tuonò piena di rabbia al mio fianco, e non riuscii a trattenere un sorriso a quelle parole. Dopo quell'episodio la serata passò in fretta: tra le risate e le battute, però, un momento di essa mi scivolò nella mente. La faccia di Riccardo si mostrò d'un tratto seria, quasi triste. "I tuoi genitori saranno felici di riaverti a casa" abbassò lo sguardo, intento a guardare le sue dita torturarsi l'un l'altra e automaticamente, dalla bocca mi scivolò la verità. "Sempre se i miei "genitori" mi vorranno" dissi marcando la parola genitori tra delle virgolette immaginarie. Subito il suo sguardo si fece curioso, ma poi scosse la testa "Beh se non ti vorranno, puoi sempre andare dai tuoi amici no?"

"Si certo! Ma quali amici" abbassai lo sguardo, mentre la sua testa si voltava di scatto verso di me. Con la coda dell'occhio riuscii a vedere i suoi occhi, e per la prima volta vidi un sentimento che non avrei voluto vedere: compassione. Ma tutto ciò che fece fu abbracciarmi, e lì per lì rimasi pietrificata sotto le sue braccia, ma poi mi lasciai andare in quel posto così caldo e accogliente. "La mia porta sarà sempre aperta per te. Ti voglio bene Abigail"

Mi alzai di scatto dal letto, guardando Riccardo seduto sul suo, con le mani in testa e lo sguardo basso. "Che mal di testa" sussurrò dolorante tenendo sempre lo sguardo abbassato "Non ricordo quasi nulla". A quell'affermazione mi drizzai con la schiena, come se volessi ascoltare meglio, ma una domanda mi scivolò via dalle labbra "Ricordi per caso..." non riuscii a finire, che mi bloccai, cercando di cancellare ciò che avrei voluto dire. Alzò per un attimo la testa, mi guardò negli occhi, mordendosi il labbro, per poi annuire. "Perchè li hai chiamati "genitori"?" mi chiese d'un tratto.

E ora?


Okay sono tornata. Personalmente penso che questo capitolo abbia perso un po' nelle ultime righe. Non mi ha entusiasmata così tanto. Ma non trovavo altro modo per scriverlo. Vi chiedo umilmente scusa. Anche per 'aggiornamento in completo ritardo.

LukyGirlxx










Vagabonda a Parigi || Riccardo RidolfiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora